Recensione di “La montagna dell’anima” di Gao Xingjan
Una prosa evocativa, potente, che sembra avere lo stesso respiro della natura che descrive e partecipare della sua sovrumana immortalità, dell’eterna circolarità del suo tempo, scandito dall’alternarsi delle stagioni. Ne La Montagna dell’Anima, Gao Xingjian, Premio Nobel per la letteratura nel 2000, racconta di un viaggio diverso da qualsiasi altro.
A compierlo, per ragioni tra loro diversissime, sono due persone, il primo in cerca di un luogo di cui ha sentito meraviglie (la Montagna dell’Anima che dà il titolo al romanzo), il secondo – uno scrittore perseguitato dal regime al potere, alter ego dell’autore – in cerca di un senso da dare alla propria esistenza. A unire il destino di entrambi è la sete d’assoluto, riflessa nell’incanto della foresta incontaminata che ricopre la montagna così come nei luoghi attraversati dallo scrittore, nei villaggi brulicanti di vita, nelle singole storie degli abitanti, e nei ricordi che di volta in volta destano.
La Montagna dell’Anima è un libro unico, un capolavoro indimenticabile, e Gao Xingjian una delle voci più limpide e intense della letteratura contemporanea, un autore da leggere assolutamente. Quest’opera, di vertiginosa bellezza, non è soltanto un lavoro stilisticamente perfetto, un capolavoro di eleganza, un magistrale esercizio di stile che lascia sbalorditi per la sua raffinatezza formale; è, ed è certamente questa la cosa più significativa, un romanzo coraggioso, sfrontato e disarmante come la verità.
Verità a fianco della quale questo scrittore si è sempre schierato, senza temere di pagare il prezzo di questa sua scelta.
Eccovi due estratti del romanzo. L’inizio e un piccolo momento del viaggio dello scrittore.
Sei salito all’alba su una corriera traballante, di quelle che in città non si usano più, e dopo dodici ore di sobbalzi su impervie strade di montagna, sei arrivato in questa cittadina del sud. Con lo zaino in spalla e un borsone in mano, fermo alla stazione invasa da cartacce di gelati e avanzi di canna da zucchero, scruti l’umanità che ti circonda. Uomini piegati da sacchi di ogni dimensione e donne con bambini in braccio scendono dagli autobus o attraversano il piazzale, mentre giovani con le mani libere, senza sacchi né ceste, pescano dalle tasche semi di girasole, se li ficcano in bocca uno dietro l’altro e sputano la scorza con gesti abili ed eleganti, emettendo un leggero sibilo. Hanno l’aria spensierata e disinvolta, tipica del luogo. Sono a casa, perché dovrebbero sentirsi a disagio? Le loro radici affondano in queste terre da generazioni, è inutile che tu venga qui da tanto lontano a cercare le tue.
Hai vagato da una città all’altra, da un capoluogo di distretto a uno di provincia, da una provincia all’altra, da una regione all’altra e così via, senza fine. Talvolta in un vicolo dimenticato dalla pianificazione urbana ti è capitato di scoprire d’improvviso una vecchia casa con la porta aperta. Ti fermavi e gettavi un’occhiata al cortile con i panni stesi su bastoni di bambù, avevi l’impressione che bastasse entrare per tornare all’infanzia e ravvivare i ricordi appannati […]. Devi sapere che ciò che cerchi è raro. Non essere incontentabile, dopotutto puoi ottenere solo ricordi vaghi e indistinti come sogni, ricordi che non fanno mai appello alle parole. Quando li enunci sono solo frasi concatenate, nient’altro che frammenti passati al setaccio attraverso le strutture della lingua.