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Vivere e morire a Marsiglia

Recensione di “La trilogia di Fabio Montale” di Jean-Claude Izzo

Jean-Claude Izzo, Trilogia di Fabio Montale, e/o
Jean-Claude Izzo, La trilogia di Fabio Montale, e/o

Il tallone d’Achille dello sbirro Fabio Montale (un po’ personaggio inventato e un po’ alter ego del suo creatore, Jean-Claude Izzo) è anche il suo maggior punto di forza: una straripante umanità.


Il suo mondo è un cerchio perfetto, un gioco d’incastri nel quale ogni cosa trova il proprio posto: l’amicizia nata da giovanissimi tra i banchi di scuola e sulle strade, alimentata da rivalità e gelosie che di colpo esplodono, si consumano e mutano nel loro opposto, in una fratellanza, in una comunione di spiriti che nulla può spezzare; la lealtà assoluta ai propri principi e la fermezza necessaria a difenderli sempre, in qualunque frangente; l’acuta consapevolezza che rinunciare a battersi per ciò in cui si crede equivalga a rinunciare a se stessi; l’amore, capace di vivificare gli uomini anche dopo il più doloroso dei naufragi; il benefico tepore delle piccole cose che la vita elargisce tutti i giorni, quasi sempre nell’indifferenza generale: un buon pranzo consumato tra scherzi e risa, l’immortale respiro del mare che accarezza Marsiglia, la bellezza, in ogni sua forma, e la possibilità di testimoniarla, di renderle omaggio, e di ringraziare per essa.

Fabio Montale è il protagonista di tre romanzi gialli, Casino totale, Chourmo e Solea, recentemente pubblicati in un unico volume dalla Casa Editrice e/o (lo vedete in foto) arricchito da una bellissima introduzione, che racconta l’uomo e l’autore Izzo, a cura di Nadia Dhoukhar.

Del genere poliziesco Izzo conserva gli elementi indispensabili – uno o più fatti di sangue, indagini, colpi di scena, soluzione del caso – ma li cala in una realtà particolare, più ampia, più dolorosa, più vera; li rende espressione dell’inesorabile tramontare dei sogni che ciascuno di noi nutre.

Gli uomini come Montale (e più ancora, gli uomini che Montale ama) possono vivere in un unico modo, cercando “di innalzare la realtà al livello dei loro sogni”; ma la realtà non si lascia domare, non china il capo al guinzaglio dell’idealista, al suo ordine morale semplice e cristallino, che vuole il male nettamente separato dal bene, che chiede comprensione per gli sbagli, compassione per la sofferenza, indulgenza per la sfrenatezza della gioventù, e alla fine del cammino una giustizia che abbia il sapore della misericordia di Dio, o dell’utopia egualitaria comunista, e redistribuisca pene e premi secondo colpe e meriti. La realtà, per quanto si lotti per evitarlo, è caos, Casino totale, un girone dantesco nel quale Montale viene gettato fin dalle prime righe del romanzo, quando ritrova cadavere, nei vicoli della città vecchia di Marsiglia, il suo amico d’infanzia Ugo. È l’inizio di un cammino straziante, una via della croce che riporterà Montale al suo passato, ai compagni perduti ma mai dimenticati, agli amori mai spenti, e ai pericolosi legami che questo groviglio di vite ancora mantiene con il presente di Marsiglia, con le spietate regole del milieu criminale, con lo spettro della vendetta, dei conti in sospeso da regolare. A qualsiasi costo.

La trilogia di Fabio Montale (da leggere tutta d’un fiato) è un commosso viaggio nel debole cuore dell’uomo, tanto facile alla morte quanto capace di moti che niente e nessuno potrà cancellare. Con Fabio Montale, Izzo ha dato alla letteratura poliziesca una profondità e un’autenticità di sentimenti prima sconosciute. Un merito che pochi scrittori possono vantare.

Ora l’incipit del primo capitolo di Casino totale (non è l’inizio vero e proprio del libro, prima c’è il prologo, ma ho ritenuto che queste righe rendessero meglio il senso del lavoro di Jean-Claude Izzo). Buona lettura.

Mi accovacciai davanti al cadavere di Pierre Ugolini. Ugo. Ero appena arrivato sul posto. Troppo tardi. I miei colleghi avevano giocato ai cow-boys. Quando sparavano, uccidevano. Semplice. Seguaci del generale Custer. Un buon indiano è un indiano morto. E a Marsiglia erano tutti indiani, o quasi.

Il fascicolo Ugolini era piombato sulla scrivania sbagliata. Quella del commissario Auch. In pochi anni, la sua squadra si era fatta una brutta reputazione, ma aveva dato buoni risultati. Se necessario, chiudevano un occhio sui suoi eccessi. A Marsiglia la lotta al grande banditismo è una priorità. Un’altra è il mantenimento dell’ordine nei quartieri nord. Le periferie dell’immigrazione. Le cités proibite. Questo è il mio lavoro. Ma io non ho il diritto di toppare. Ugo era un vecchio compagno d’infanzia. Come Manu. Un amico. Anche se con Ugo non c’eravamo più sentiti, da vent’anni. Manu e Ugo, era un colpo troppo duro per il mio passato. Avrei voluto evitarlo. Ma non ci avevo saputo fare.

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