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La storia, lungo il fiume

Recensione di “Il mulino del Po” di Riccardo Bacchelli

 

Riccardo Bacchelli, Il mulino del Po, Mondadori
Riccardo Bacchelli, Il mulino del Po, Mondadori

Romanzo storico e saga familiare, Il mulino del Po, capolavoro di Riccardo Bacchelli, è un grandioso affresco, di raro splendore letterario, che, nell’arco di poco più di un secolo che va dalla fine del dominio napoleonico allo scoppio del primo conflitto mondiale, racconta le vicende di quattro generazioni di una famiglia di mugnai, gli Scacerni.


Ambientata in massima parte nella campagna ferrarese (in modo particolare nella zona del delta del Po), quest’opera monumentale, schietta e sincera nel registro narrativo – peraltro sempre caratterizzato da una raffinatezza stilistica non comune – offre al lettore, insieme a una storia ricchissima, che sembra non esaurirsi mai e che coinvolge fin dalle prime righe, preziose e profonde riflessioni di ordine sociale, politico ed economico. Bacchelli, esempio assai raro nella storia della letteratura, interpreta con commovente umiltà il suo ruolo di scrittore; la sua prosa lieve (ma non per questo superficiale), descrive ogni cosa con rispetto assoluto e si sforza prima di tutto di comprendere la realtà di cui parla, qualsiasi essa sia, dal singolo uomo all’evento cruciale che cambia la vita di migliaia di persone.

È così per il capostipite della famiglia Lazzaro Scacerni – semplice soldato inquadrato nelle truppe napoleoniche che nel 1812 si ritirano disordinatamente dalla Russia al termine della fallimentare campagna di guerra – la cui entusiastica vitalità, il temperamento generoso e sanguigno e la tempra eccezionalmente forte riflettono le caratteristiche del mondo contadino dipinto dall’autore; per le disgrazie causate dalle catastrofi naturali (le piene del fiume, che in più di un’occasione minacciano l’integrità del mulino) o dalle malattie (Lazzaro e la moglie Dosolina muoiono per un’epidemia di colera a poche ore di distanza l’uno dall’altra), restituite al lettore con il rigore documentario della cronaca e nello stesso tempo con una semplicità d’accenti infinitamente più intensa di qualsiasi ricercata soluzione a effetto; e ancora per il progressivo crescere degli ideali risorgimentali che, tra infiniti travagli, condurranno all’unità d’Italia.

Pur senza mai abbandonare il suo ruolo di “testimone di un’epoca”, Riccardo Bacchelli si dimostra romanziere eccelso anche nella caratterizzazione dei personaggi e nel racconto delle loro avventure, con la seconda generazione degli Scacerni rappresentata dal figlio di Lazzaro, Giuseppe – soprannominato coniglio mannaro per il carattere pavido e soprattutto per la spaventosa avidità – che si disinteressa completamente del mulino lasciandone per intero l’incombenza alla moglie Cecilia, e poi ancora con le vicende, spesso drammatiche, che occorrono ai loro sette figli; fino all’epilogo della Grande Guerra, nel cui baratro la famiglia si estingue.

Il mulino del Po è un’opera meravigliosa, un classico della letteratura; è romanzo, saggio e puntuale ricostruzione storica. È uno dei vertici della letteratura, non solo italiana.

Eccovi l’incipit, buona lettura.

– Vi pare lo stesso? – chiese ai soldati l’ufficiale indicando il fiume.

Guardavano la corrente, e non risposero né sì né no, pontieri e zappatori mescolati, avanguardia sparuta del IV Corpo, che era quello italiano comandato dal vicerè Eugenio. La scortavano validi marinai della guardia reale. Il fiume era il Vop, l’otto di novembre del 1812. Mingherlino e stremato, il capitano Maurelio Mazzacorati era uno dei pochissimi ufficiali ancora forniti d’un cavallo, dopo il disastroso passaggio del Dniepr, e Maloiaroslavez undici volte persa e ripresa, e venti giorni di ritirata coi cosacchi dell’etman Platof alle costole; aggiungasi la bufera di vento e di neve, facevan due giorni, che aveva disfatto il campo del IV Corpo con perdita di tutto il carreggiato.

A guardare il cavallo scheletrito, che rabbrividiva a testa bassa sulle quattro zampe irrigidite, si penava poco a capire che in breve sarebbe rimasto appiedato anche il Mazzacorati, che ripeteva, quasi da sé:

– Pare lo stesso fiume di quest’estate? 

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