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Dalla Bosnia al resto del mondo

Recensione de “Il ponte sulla Drina” di Ivo Andric

Ivo Andric, Il ponte sulla Drina, Mondadori
Ivo Andric, Il ponte sulla Drina, Mondadori

La profondità dell’analisi sociale e politica di Ivo Andric, l’ampiezza e l’acutezza dei contesti storici nei quali ambienta i suoi romanzi, l’attenzione alle vite dei singoli, considerati, con tolstojana pietà, fulcro del procedere della storia, si devono principalmente alla sua non comune sensibilità, alla sua inesauribile umanità.

Cantore di una terra, la Bosnia, allo stesso tempo tormentata e insignificante (quantomeno se paragonata, senza l’approfondimento che meriterebbe, ai destini di nazioni come l’Inghilterra, la Germania, la Francia, l’Italia), ricchissima di tradizioni e di cultura, luogo di incontro di etnie diverse e soprattutto liquido confine tra Oriente e Occidente, Andric, premio Nobel per la letteratura nel 1961, racconta, con stile inimitabile – capace di mescolare tra loro lirismo, allegoria, simbolismo, ricostruzione storica, riflessioni psicologiche e filosofiche – l’irriducibile complessità di questo angolo di mondo.

La diffusa condizione di povertà e di ignoranza, la semplicità della vita contadina, la spiritualità vivissima che emerge e prende forma nel potente afflato religioso del popolo, il rassicurante richiamo a una sorta di immutabile continuità (che ostinata sopravvive allo scorrere degli anni) legata al ripetersi di antichi riti; tutto questo Andric lo restituisce con la leale, aperta sincerità del testimone ma anche con la trascinante passione di chi sa di essere parte integrante della vicenda che racconta.

Nel suo romanzo più famoso, Il ponte sulla Drina, il grande autore bosniaco narra ben quattro secoli di storia; la sua prosa si concentra sui dettagli di un microcosmo periferico e via via allarga il proprio sguardo fino a comprendere l’intera Europa, e poi il mondo, sconvolto e trascinato oltre se stesso, in una realtà che non si credeva neppure capace di immaginare, dall’esplodere del primo conflitto mondiale. La sua scrittura sembra possedere le medesime caratteristiche della gente che descrive; ha la loro forza, la loro pazienza (che a un primo sguardo si rischia di scambiare per rassegnazione ma che in realtà è straordinaria forza di volontà), ne riflette la semplicità così come l’impressionante vastità del loro mondo interiore; e in un continuo mutare di accenti descrive la vita degli abitanti della cittadina di Visegrad.

Tagliata in due dal fiume Drina, Visegrad è unita da un ponte, fatto costruire nel Cinquecento dal visir Mehemed Pascià Sokolovic. Simbolo della sofferenza e del sacrificio di numerosissimi cristiani (che gli uomini del visir al potere hanno impiegato per la sua realizzazione), il ponte è tuttavia anche ciò che concretamente unisce le due religioni nemiche, quella cristiana e quella musulmana, e gli uomini che le rappresentano. Ed è tra le sue arcate e lungo il suo passaggio (circa duecentocinquanta passi di lunghezza) che, giorno dopo giorno, questi nemici imparano a conoscersi, a vivere, e forse a comprendersi l’un l’altro. Fin quando la guerra non segna il loro ingresso nel mondo, quello stesso mondo di cui hanno sempre fatto parte ma che per secoli si sono illusi di poter osservare da lontano, come spettatori in un teatro.

Il ponte sulla Drina è un’opera splendida, che coniuga il rigore del saggio storico al fascino classico del romanzo. Eccovi l’inizio, buona lettura.

Per la maggior parte del suo corso il fiume Drina s’apre la strada attraverso anguste gole tra scoscese montagne o attraverso profondi canon dai fianchi a picco. Soltanto in alcuni tratti le sue sponde si allargano in aperte pianure per formare, su una o entrambe le rive, distese solatie, in parte piane, in parte ondulate, atte a essere lavorate e abitate. Un ampliamento di questo genere si trova anche qui, presso Visegrad, nel punto in cui la Drina scaturisce con un’improvvisa svolta dalla profonda e stretta gola formata dai Massi di Butko e dai monti di Uzvanica. La curva della Drina è oltremodo angusta e le montagne ai due lati sono talmente ripide e ravvicinate che sembrano un massiccio compatto, dal quale il fiume scaturisce come da una cupa muraglia. Ma qui le montagne si allargano improvvisamente in un anfiteatro irregolare, il cui diametro, nel punto più ampio, non supera la quindicina di chilometri in linea d’aria.

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