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Incatenati al potere dell’unico anello

Recensione di “Il Signore degli anelli” di J.R.R. Tolkien

recensione J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli, Rusconi
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli, Rusconi
 

Più che un semplice tema, quello della lotta tra Bene e Male è un modello narrativo, addirittura una sorta di archetipo, che in letteratura è stato declinato praticamente in tutti i generi, dall’avventura al giallo, dalla fantascienza al dramma, dal romanzo storico al fantasy.


Ma è in quest’ultima veste che ha conosciuto la maggior diffusione e il successo più grande, forse perché tra guerrieri, elfi, nani, orchi, draghi (e le migliaia di altre creature nate dall’immaginazione degli scrittori) il conflitto è descritto per ciò che è, divampa proprio come dovrebbero farlo le guerre, con eserciti schierati l’un contro l’altro, clangore di spade ed eroico furore, senza nessun tipo di sovrastruttura, senza architetture, senza espedienti letterari (come per esempio un detective, o un poliziotto, simboli della giustizia, che danno la caccia a un assassino, incarnazione della malvagità, della violenza, di tutto ciò che ci terrorizza).

Nelle opere fantasy, nel cavalleresco Medioevo che, fatte salve le pur numerosissime eccezioni creative, fa da scenario alla gran parte di esse, la battaglia si offre al lettore nella sua essenza; è limpida, inevitabile, procura fremiti d’emozione e costringe a scegliere, a schierarsi. Da una parte o dall’altra; con i buoni o con i cattivi. Senza esitazioni.

Se da un lato può sembrare eccessivo qualificare come classico un fantasy (dai più considerato, forse con un po’ troppa presunzione, un genere letterario minore, una lettura scontata, adatta a un pubblico giovane e disimpegnato), dall’altro non si può negare che alcuni lavori siano stati capaci di imporsi all’attenzione di una platea più vasta di quella dei semplici appassionati, abbiano resistito all’usura del tempo e continuino ancora oggi a esercitare un notevole fascino. Che abbiano, in una parola, proprio quelle caratteristiche che definiscono un classico (almeno in parte). E questo è senz’altro il caso de Il Signore degli Anelli, il romanzo più famoso di J.R.R. Tolkien, pubblicato nel biennio 1954-1955.

Saga avventurosa di amplissimo respiro, quest’opera, la cui trama è talmente nota che non val la pena riassumerla, neppure per sommi capi – basti dire che le sorti di un intero mondo sono legate alla conquista (da parte dell’esercito del male) di un potentissimo anello, o alla sua distruzione (affidata a un manipolo di eroi) – è ben più di un’epica fiaba. È un viaggio meraviglioso, un sogno a occhi aperti di vertiginosa bellezza.

Narratore d’eccezione, Tolkien in questo capolavoro offre al lettore ogni genere di suggestione. L’incanto di luoghi splendidi e terribili (la pacifica e verdissima Contea, dove dimorano gli hobbit, creature buffe e curiose, per nulla eroiche eppure fulcro dell’intera vicenda, Gran Burrone, l’ultimo avamposto degli elfi immortali, la foresta di Lothlórien, la fiera Minas Tirith, la città degli uomini; e ancora le miniere abbandonate di Moria, un tempo gloria e vanto della civiltà dei nani, l’oscura Minas Morgul, dimora del Signore del Male Sauron, l’orgogliosa torre di Isengard, rifugio dello stregone Saruman, corrotto dalla sete di potere, l’inviolabile bastione del Fosso di Helm), la meraviglia di personaggi disegnati con un’accuratezza prossima alla perfezione (il ramingo Grampasso, segnato da un destino regale, gli hobbit Bilbo, Frodo, Sam, Merry e Pipino, le cui vite, travolte dall’anello, cambieranno per sempre, il saggio e potente Gandalf, in passato amico e allievo di Saruman, Gollum, creatura infelice e perduta, irrimediabilmente corrotta dal potere dell’anello, gli amici-rivali Gimli e Legolas, nano il primo, elfo il secondo, il guerriero Boromir, che con tutte le sue forze si oppone al tramonto dell’era degli uomini, l’ent Barbalbero, premuroso pastore di alberi, lo spirito della foresta Tom Bombadil, “Messere di bosco, acqua e collina”), e uno stile di scrittura fluido, armonioso, denso di suggestioni, che senza sosta alterna cupe atmosfere, momenti di palpitante concitazione, episodi di fragorosa allegria e minuziose descrizioni di scontri esaltanti e tragici, nei quali si consumano, insieme, i destini dei singoli e delle masse.

Leggete Il Signore degli Anelli (e se si va guardatevi, o più probabilmente riguardatevi, le ottime trasposizioni cinematografiche – tre film in tutto – dirette da Peter Jackson). È un libro che vi divertirà, vi appassionerà, e che finirete per amare. Eccovi l’incipit.

Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione.

Bilbo era estremamente ricco e bizzarro e, da quando sessant’anni prima era sparito di colpo, per ritornare poi inaspettatamente, rappresentava la meraviglia della Contea. Le ricchezze portate dal viaggio erano diventate leggendarie, ed il popolo credeva, benché ormai i vecchi lo neghino, che la collina di Casa Baggins fosse piena di grotte rigurgitanti tesori. E, come se ciò non bastasse, ad attirare l’attenzione di tutti contribuiva la sua inesauribile, sorprendente vitalità. Il tempo passava lasciando poche tracce sul signor Baggins: a novant’anni era tale e quale era stato a cinquanta; a novantanove incominciarono a dire che si manteneva bene: sarebbe stato più esatto dire che era immutato. Vi erano quelli che scuotevano la testa, borbottando che aveva avuto troppo dalla vita: non sembrava giusto che qualcuno possedesse (palesemente) l’eterna giovinezza ed allo stesso tempo (per fama) ricchezze inestimabili.

«Sono cose che dovremo scontare», dicevano; «non è secondo natura, e ci porterà dei guai!».

Ma finora guai non ve ne erano stati, ed essendo il signor Baggins generoso, la gente gli perdonava facilmente le sue stranezze e la sua fortuna. Mantenne i rapporti con i parenti (eccetto naturalmente i Sackville-Baggins) e contava molti devoti ammiratori tra la gente umile e ordinaria. Ma non ebbe amici intimi fin quando alcuni suoi giovani cugini incominciarono a diventare grandi.

Il maggiore ed il preferito era Frodo Baggins. A novantanove anni Bilbo lo adottò e lo portò con sé a Casa Baggins, e tutte le speranze dei Sackville-Baggins sfumarono. Si dà il caso che tanto Bilbo quanto Frodo festeggiassero il compleanno il 22 settembre.

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