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L’Oriente e l’Occidente in una miniatura

Recensione di “Il mio nome è rosso” di Orhan Pamuk

Orhan Pamuk, Il mio nome è rosso, Einaudi
Orhan Pamuk, Il mio nome è rosso, Einaudi

Il mio nome è rosso, di Orhan Pamuk, premio Nobel per la Letteratura nel 2006, è un romanzo perfetto. Lo è dal punto di vista dell’architettura narrativa, che mescola magistralmente, armonizzandoli tra loro, generi differenti (il giallo, il racconto amoroso, quello d’avventura, l’invenzione fiabesca e la rievocazione storica), così come per quel che riguarda lo stile di scrittura, sempre equilibrato, affascinante, di incantevole bellezza formale e nello stesso tempo dotato di una capacità d’analisi, di una radicalità di pensiero e di una coerenza intellettuale di rara profondità. Scrittore dotato di sensibilità acutissima e cristallino talento, Pamuk esplora l’infinito universo delle parole con entusiastica, ardente meraviglia e consumata saggezza; ed è grazie a questo atteggiamento – proprio del filosofo come dell’amante – che il grande autore turco riesce a dare alla sua prosa una ricchezza espressiva unica, caricandola di suggestioni ed emozioni, facendola esplodere, come fuoco d’artificio, in magnifici arabeschi, e poi confinandola nello spazio essenziale eppure ricchissimo di un cuore, di un’anima, luoghi dello spirito in cui dimorano gli uomini e i loro sogni, le loro speranze, le loro paure, il loro dolore.

In questo lavoro, ambientato a Istanbul alla fine del XVI secolo, Pamuk riprende uno dei suoi temi centrali, quello del conflitto (sempre incombente) e dell’incontro (auspicabile) tra Oriente e Occidente, dell’assoluta inconciliabilità, ma anche di un’eventuale mediazione – e ancor più di una feconda contaminazione, che si ha il dovere morale di cercare, di perseguire – fra tradizione e modernità; teatro di questo scontro tra culture è il laboratorio di miniatura del Sultano, dove lavorano, agli ordini dell’anziano Maestro Osman, alcuni artisti dotati di eccezionale talento. La miniatura, il disegno ricercato e preciso che impreziosisce le pagine dei libri commissionati da sovrani, khan e scià in perenne ricordo delle loro gesta e delle vittorie conseguite in battaglia, diviene, nei continui rivolgimenti e nelle lotte intestine che dilaniano l’Impero Ottomano, bottino di guerra, passa di mano in mano al pari di altri tesori, ma non ha nulla a che vedere con il resto dei trofei, per quanto splendidi e preziosi possano essere. I libri miniati, infatti, così come coloro che li creano (le cui vite finiscono per divenire una cosa sola con le opere cui si consacrano, per fondersi con esse), custodiscono e tramandano la storia dei popoli e delle nazioni, sono il modello eterno di tutto ciò che sarà; gli eserciti schierati e pronti all’assalto si fanno archetipo di ogni combattimento, proprio come la struggente storia d’amore di Cosroe e Sirin rivive, intatta, nelle passioni di ciascuno. Attraverso la miniatura (disegno immortale in quanto rappresentazione delle cose non così come le vediamo ma nel modo in cui Allah le vede), Pamuk spalanca al lettore un orizzonte da Mille e una notte, dove trovano posto racconti, aneddoti, ricordi, fantasie, la vita straordinaria di Behzat, il più grande fra i miniaturisti, e la descrizione del leggendario Libro dei Re di Scià Tahmasp.

Testimonianza di un sapere millenario, questa fittissima rete di rimandi è la cornice – come le pagine lo sono per i disegni – della trama vera e propria, che viene raccontata dando voce a tutti i protagonisti della vicenda (persone, ma anche disegni, colori, oggetti, e persino la morte e Satana). Un maestro miniaturista, soprannominato Raffinato, viene ucciso; lavorava, assieme ai suoi tre colleghi Cicogna, Oliva e Farfalla, a un libro che il Sultano in persona aveva commissionato a Zio Effendi, un esperto di pittura che aveva conosciuto la ritrattistica dei pittori veneziani e ne era rimasto affascinato e sconvolto. Il libro, una volta concluso, sarebbe stato qualcosa di rivoluzionario; inviato in dono al Doge, avrebbe mostrato tutta la potenza del Sultano e lo avrebbe fatto in modo inequivocabile per i veneziani e per tutti gli occidentali: attraverso disegni fatti all’europea, disegni che mostravano le cose, e le persone, dal punto di vista di chi guarda e non da quello eterno e immutabile di Allah. Per questa ragione Zio Effendi e Maestro Osman sono divisi da una rivalità insanabile; il primo, agli occhi del secondo, è corrotto da un’idea di pittura che è soltanto egoistica esibizione di talento, mentre Osman, per Zio Effendi, non è che un uomo stupido, incapace di vedere il destino ultimo di tutto ciò che ha vita: la morte e l’oblio. Tocca a Nero, nipote di Zio Effendi innamorato fin da bambino della bellissima Seküre, la figlia dell’uomo, scoprire l’identità dell’assassino e portare a termine il libro, perché soltanto in questo modo avrà la possibilità di coronare il proprio sogno più grande e sposare Seküre. Ma la via verso la verità è tanto tortuosa quanto pericolosa.

Il mio nome è rosso è un capolavoro letterario, un libro densissimo di storia, di invenzioni, di fantasia e di verità. È un autentico tesoro, al pari dei testi di cui parla e che restituisce alla curiosità ammirata del lettore.

Eccovi uno dei momenti più intensi del romanzo, parte del colloquio tra Zio Effendi (che racconta in prima persona) e l’assassino. Buona lettura

«Quando il libro sarà terminato, coloro che vedranno i disegni comprenderanno il mio talento? – chiese con la disinvoltura delle nostre vecchie abitudini di lavoro».

«Se Allah lo vuole, se un giorno finiremo, il Nostro Sultano prenderà in mano e darà un’occhiata a questo libro, certo, prima controllerà, con la coda dell’occhio, se l’oro è stato usato correttamente, contemplerà il suo ritratto come se leggesse la dettagliata descrizione di un individuo, non ammirerà il nostro meraviglioso disegno ma se stesso disegnato, come fanno tutti i sultani, e poi ci farà un gran favore se vorrà perdere del tempo a guardare le meraviglie che disegniamo, ispirati dall’Oriente e dall’Occidente, con tanta fatica, tanto sforzo degli occhi e tanta passione! Anche tu sai che, se non accade un miracolo, non chiederà assolutamente chi abbia fatto la tale cornice, chi la doratura, chi il disegno di quest’uomo e chi di questo cavallo e chiuderà a chiave il libro nel suo Tesoro. Ma noi, come tutti coloro che hanno talento, continuiamo a disegnare, pensando sempre che un giorno avverrà quel miracolo. Rimanemmo un po’ in paziente silenzio».

«Quando accadrà quel miracolo? – domandò -. Quando verranno veramente compresi i disegni che facciamo fino a diventare ciechi?Quando ci concederanno l’amore che merito, che meritiamo?».

«Mai!».

«Come?».

«Non ti daranno mai quello che vuoi – risposi. – In futuro sarai sempre meno compreso».

«I libri rimangono nei secoli», disse con aria orgogliosa, ma non del tutto sicuro di sé.

«Nessun maestro veneziano possiede la tua poesia, la tua fede, la tua sensibilità, la purezza e la brillantezza dei tuoi colori, credimi. Ma i loro disegni sono più convincenti, somigliano di più alla vita. Non disegnano come se vedessero il mondo dal balcone di un minareto e senza badare alla prospettiva, come la chiamano loro, disegnano guardando dalla strada, o dalla stanza del principe, tutto insieme, il letto e la trapunta, il tavolo, lo specchio, la tigre, sua figlia e il denaro; disegnano tutto, lo sai. Io non credo del tutto a quello che fanno, che il loro disegno tenti di imitare il mondo mi sembra un’inezia, mi offende. Ma i disegni fatti con questi metodi hanno un tale fascino! Disegnano tutto quello che l’occhio vede, come l’occhio lo vede. Loro disegnano quello che vedono, noi invece disegniamo quello che guardiamo. Non appena vedi i loro disegni, capisci, con i metodi europei, che è possibile far durare il tuo volto fino alla fine del mondo. Il fascino di una cosa del genere è talmente forte che non sono solo i sarti, i macellai, i soldati, i preti, i droghieri di Venezia a farsi ritrarre, ma quelli di tutti i paesi europei. Perché una volta che vedi quei disegni, anche tu vuoi vederti così e credere di essere una creatura completamente diversa dagli altri, unica, speciale, con le tue peculiarità. I nuovi metodi permettono di disegnare l’uomo non come lo vede la mente, ma come lo vede l’occhio. In futuro, un giorno tutti disegneranno così. Quando si parlerà di disegno, tutto il mondo capirà quello che hanno fatto! Anche un povero stupido sarto che non capisce nulla di miniatura, vorrà farsi fare il ritratto per credere, guardandosi la punta del naso, di non essere uno stupido qualsiasi ma una personalità speciale e unica».

«Eh, allora faremo quei disegni», disse lo spiritoso assassino.

«Non li faremo! – dissi. – Non hai imparato dal defunto Raffinato Effendi che tu hai ucciso, quanto tutti abbiano paura di imitare gli europei? Anche se non avessero paura e ci provassero è la stessa cosa. Nessuno si interesserà ai nostri libri, ai nostri disegni. E quelli che se ne interesseranno, non capiranno niente e arricciando il naso diranno che manca la prospettiva, oppure non troveranno i libri. Perché la mancanza di interesse, il tempo e le disgrazie, pian piano elimineranno i libri. 

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