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Oltre la semplicità del sangue

Recensione di “Assassino senza volto” di Henning Mankell

 

recensione Henning Mankell, Assassino senza volto
Henning Mankell, Assassino senza volto
 

Scania, sud della Svezia. Una mattina di gennaio, all’apparenza uguale a tutte le altre, la tranquillità del piccolo villaggio di Lenarp va in pezzi: un anziano contadino scopre che i suoi vicini di casa, marito e moglie, sono stati torturati in modo orribile; l’uomo non è sopravvissuto alle sevizie, la donna invece è riuscita a resistere, ma anche per lei è ormai questione di ore, forse addirittura di minuti.

Trasportata d’urgenza all’ospedale, non risponde alle cure, ma prima di morire riesce a sussurrare al poliziotto che l’ha accompagnata una parola: “stranieri”. Del caso, che fin dall’inizio si preannuncia complesso, intricato e particolarmente spinoso,  si occupa la polizia di Ystad, e il responsabile delle indagini è il commissario Kurt Wallander. È la prima inchiesta per lo “sbirro” inventato da Henning Mankell, protagonista di una serie di romanzi gialli che hanno riscosso un immenso successo di pubblico e si sono guadagnati il plauso convinto della critica. Wallander è un funzionario pacato, saggio e riflessivo; non disdegna l’azione, anche se vi ricorre con riluttanza e solo quando le circostanze non gli lasciano altra alternativa, e può contare sulla stima, la considerazione e l’affetto sincero dei colleghi. A ben guardare, è un poliziotto come ce ne sono molti; abile, certo, ma non geniale; risoluto, ma non eroico; esperto, ma non infallibile. 

Mankell costruisce il suo personaggio con grande intelligenza; guarda ai più celebri detective letterari con rispetto ma senza soggezione e brillantemente evita tanto i tranelli dell’emulazione quanto l’ingannevole seduzione dell’originalità a tutti i costi. Così, Wallander nasce senza particolari tratti distintivi, non si fa notare né ricordare per qualche specifica caratteristica, ma si impone comunque all’attenzione del lettore per la sua umanità autentica, per le sue debolezze di uomo e di padre (ha un matrimonio quasi del tutto naufragato di cui occuparsi e una figlia da comprendere fino in fondo e dalla quale essere capito), per i suoi rimorsi di figlio (il padre, che sta lentamente scivolando nella demenza senile, è una figura importante, ma anche ingombrante nella vita di Wallander; è un punto di riferimento e nello stesso tempo un peso), e ancora per i pericoli della sua professione, per gli orrori con i quali è costretto a misurarsi e per le cicatrici che lasciano nella sua anima.

A svelare la sua natura più intima, tuttavia, non è tanto la sua vita privata, quanto i casi di cui si occupa (a cominciare da quello narrato in Assassino senza volto, impeccabile esordio della serie, pubblicato in patria nel 1991 e in Italia dieci anni più tardi): per il commissario Kurt Wallander, infatti, il male compiuto dagli uomini, qualsiasi forma esso assuma (omicidio, violenza fisica o psicologica, tortura, sfruttamento), non si esaurisce nelle conseguenze cui dà vita, per quanto tragiche possano essere; è la sua carica destabilizzante, la sua capacità di distruggere ogni certezza, ogni sicurezza, insinuando al loro posto smarrimento e paura, il pericolo peggiore, ed è quello che bisogna combattere, a ogni costo. Considerato da questo punto di vista, il duplice omicidio con cui si apre Assassino senza voltoè quasi una falsa pista, un indizio messo apposta sotto il naso del lettore per condurlo fuori strada. Perché è indubbiamente vero che è di quel delitto che Wallander e i suoi colleghi si occupano (riuscendo a risolverlo dopo lunghi mesi di indagini infruttuose), ma è altrettanto vero che tutte le gravissime implicazioni che scaturiscono da quel fatto di sangue non sono legate tanto a quel che è effettivamente successo, quanto all’ultima parola pronunciata da una delle vittime prima di morire: “stranieri”. Una parola che immediatamente evoca diffidenza, ostilità, pregiudizio; che identifica un colpevole (o più esattamente un capro espiatorio) e scatena un’istintiva ansia di vendetta.

Scrittore di immenso talento, Mankell con Assassino senza volto non si è limitato a costruire un giallo perfetto, in grado di soddisfare anche gli appassionati più esigenti;è andato oltre, e ha utilizzato le tecniche narrative e gli “ingredienti” di questo genere per realizzare qualcosa di nuovo, per sorprendere; ha raccontato di un mondo (il nostro, quello nel quale viviamo) preda di un’inquietudine diffusa, di un disagio esistenziale crescente, e a queste ombre, che sempre ci accompagnano, ha dato concretezza, consistenza e forma plasmandole come delitti. Poi ha fatto intervenire Wallander; il poliziotto Wallander, che con tenacia risolve i casi di omicidio, ma soprattutto l’uomo Wallander, che del caos generato da quegli omicidi è prima di tutto vittima, proprio come noi.

Eccovi l’incipit del romanzo. Buona lettura.

 
Ha dimenticato qualcosa. Appena si sveglia lo sa con sicurezza. Qualcosa che ha sognato durante la notte. Qualcosa che dovrebbe ricordare.
Si sforza di ricordare. Ma il sonno è come un buco nero. Un pozzo che non rivela niente di ciò che contiene.
Eppure non ho sognato i tori, pensa. Se fosse stato così sarei fradicio di sudore, come se mi fossi svegliato per la febbre nel pieno della notte. E questa notte, i tori mi hanno lasciato in pace.
Rimane disteso al buio e ascolta. Il respiro di sua moglie è appena percettibile e deve sforzarsi per captarne il suono.
Una mattina o l’altra sarà lì, distesa di fianco a me, morta senza che io me ne sia accorto, pensa. Oppure lo sarò io. Uno di noi morirà prima dell’altro. Un’alba sorgerà e nel silenzio delle prime luci del giorno uno di noi si troverà solo.
Guarda la sveglia sul comodino di fianco al letto. Le lancette fosforescenti indicano le cinque meno un quarto.
Perché mi sono svegliato a quest’ora, pensa. Di solito dormo fino alle cinque e mezza. È sempre stato così da quarant’anni. Perché mi sono svegliato adesso?
Tende l’orecchio nel buio e improvvisamente è completamente sveglio.
C’è qualcosa di diverso. Qualcosa che non è come dovrebbe.
Sposta una mano con cautela fino a toccare il volto di sua moglie. Appoggia appena i polpastrelli e sente il calore del viso. Questo vuole dire che non è morta. Questo vuole dire che non è ancora stato lasciato solo.
Continua a cercare di ascoltare nel buio.

La cavalla, pensa. Non nitrisce. Ecco perché mi sono svegliato. D’abitudine, lo fa ogni notte. La sento senza svegliarmi e nel mio subconscio so che posso continuare a dormire.

4 commenti su “Oltre la semplicità del sangue”

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