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Delitti filosofici, enigmi metafisici, misteri letterari

Recensione di “Lettere e filosofia” di Pablo De Santis

 

Pablo De Santis, Lettere e filosofia, Sellerio
Pablo De Santis, Lettere e filosofia, Sellerio

“Non sono gli assassini ma i sopravvissuti a tornare sul luogo del delitto”. È con questa riflessione, provocatorio ribaltamento di una delle “regole auree” del giallo – o se si vuole di uno dei suoi più noti luoghi comuni – che si apre Lettere e filosofia, curioso romanzo poliziesco di Pablo De Santis, scrittore e soggettista televisivo e teatrale nato a Buenos Aires nel 1963.


Occuparsi, a qualsiasi titolo, di letteratura in Argentina, significa misurarsi con l’eredità, meravigliosa (per qualità) e terribile (per complessità) di Jorge Luis Borges, forse l’autore che più di qualsiasi altro ha ridisegnato i confini di tutti i generi narrativi, mystery compreso. E De Santis, che di Borges, e di un altro grande maestro del surrealismo letterario come Adolfo Bioy Casares, è prima di tutto un fervente ammiratore, accetta la sfida; assimila la lezione dell’autore di Finzioni (e di moltissimi altri lavori, entrati di diritto nel novero dei capolavori assoluti della letteratura mondiale) e costruisce un giallo in cui dilemmi e misteri da risolvere sono principalmente filosofici, e dove la verità non coincide con il pragmatico scioglimento dell’enigma e l’arresto del colpevole ma è strettamente connessa al linguaggio, al suo utilizzo e soprattutto al suo significato.

Intendiamoci, non è che in Lettere e filosofia manchino i cadaveri (tutti rigorosamente assassinati), è solo che gli omicidi non sono fini a se stessi; è come se i fatti di sangue, che nei classici romanzi gialli alimentano l’intera vicenda raccontata – in una parola, non potrebbe esserci romanzo se non ci fosse il suo “primo motore immobile”, il delitto – qui schiudessero altre porte oltre quella, scontata, della narrazione, e proiettassero scrittore e lettori in una nuova dimensione (quella della “letteratura oltre la letteratura” inventata da Borges), dove a contare davvero è il senso ultimo di quel che accade, che, sembra fin troppo ovvio sottolinearlo, non riposa nei fatti concreti, ma nel modo in cui, attraverso le parole, li si descrive.

Ambientato, come apertamente si dichiara fin dal titolo, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires, un edificio un tempo nobile e oggi prossimo al crollo a causa di una gravissima emorragia di studenti (per la quale non sembrano esserci cure) e della totale mancanza di manutenzione, il romanzo di De Santis (il primo pubblicato in Italia, da Sellerio) racconta due storie parallele; l’indagine sull’opera di uno scrittore che forse non è mai esistito e l’inchiesta avviata per smascherare l’autore di una serie di omicidi. Inutile dire che le due vicende hanno molto in comune; le vittime del misterioso e inarrestabile assassino, infatti, sono le stesse che si danno battaglia – rigorosamente accademica – per cercare di scoprire tutto quello che è possibile scoprire sullo scrittore che probabilmente non è altro che un’invenzione, o uno scherzo di cattivissimo gusto, ma che sembra abbia lasciato, come unica e labile traccia di sé, frammenti di un romanzo che tratta proprio dei delitti che si stanno verificando.

Tra coincidenze a dir poco sospette e misteri che è più saggio provare a risolvere ricorrendo alla lettura di saggi filosofici piuttosto che alle indagini “vecchio stampo” della polizia, la vicenda si snoda tra labirinti veri (quelli della facoltà universitaria in lento disfacimento) e simbolici (quelli dell’inchiesta, così come quelli nei quali si smarriscono professori e ricercatori alle prese con l’enigma dello scrittore sul quale, per quanti sforzi si facciano, non si hanno notizie certe), tra i bizantinismi burocratici dell’ateneo (descritti con ironica malignità), le rivalità, tanto pompose quanto meschine, che dividono i professori (alle quali De Santis si applica con divertito accanimento) e una tensione di fondo che cresce inesorabile e riempie di terrore tutti gli attori coinvolti, dall’ultimo dei comprimari fino al protagonista: un giovane bibliotecario cui il destino ha dato appuntamento in un dipartimento universitario in rovina.

Eccovi l’inizio del romanzo. Buona lettura.

 
Il vecchio edificio della Facoltà è oggi ridotto a una rovina con un guardiano davanti al portone. Molti libri sono stati riposti in scatole di cartone e sacchi di plastica e dirottati nello scantinato della Biblioteca Centrale, dove attendono il momento di una nuova catalogazione. Nessuno sa quanti volumi siano ancora dispersi o sepolti.
Un ricercatore osa, di tanto in tanto, penetrare nel palazzo in rovina e percorrere i corridoi pieni di macerie e le scale bloccate. Dopo essersi arrampicati alle funi che pendono dal vano degli ascensori si arriva agli istituti. Al momento della catastrofe erano ancora in funzione i dipartimenti di Filosofia Antica, Neurolinguistica, Lingue Morte, Letteratura Argentina e altri due o tre che non ricordo più: anche nella mia testa abbondano le macerie.
Da quando è avvenuta la catastrofe sono entrato più volte nell’edificio a cercare le carte che sono il centro di questa storia. Oggi sono tornato, ma per un altro motivo: ero deciso a scrivere le prime pagine del mio resoconto. E solo in questo luogo in rovina posso cominciare.
All’arrivo ho ricevuto, come ogni visitatore, una targhetta di riconoscimento (totalmente assurda visto che nell’edificio non c’è nessuno da cui farsi riconoscere), la mascherina regolamentare (era in voga la teoria secondo cui la polvere dei libri nuoce alla salute) e una pila, perché non c’è luce elettrica e vasti settori delle rovine sono lontani dalla luce naturale […].
Alcuni giorni fa ho cercato, per la prima volta, di mettere per iscritto la mia avventura. Non sono andato oltre qualche rigo incomprensibile. Ci ho provato più volte, in diversi orari, a macchina e a mano, finché non ho scoperto che solo qui potevo cominciare a scrivere la verità. Per questo sono venuto nel luogo del freddo, della polvere e della paura.

Quando gli racconto il mio pellegrinaggio fra le macerie, l’amico Grog mi dice: «Non sono gli assassini ma i sopravvissuti a tornare sul luogo del delitto».

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