Recensione di “Finzioni” di Jorge Luis Borges
Autore tra i più importanti della storia della letteratura, Jorge Luis Borges, romanziere eccelso, poeta sublime, saggista meticoloso, e ancora storico, filosofo, immaginifico creatore di storie e di mondi, è prima di tutto e per sua stessa ammissione un lettore. Un lettore infaticabile, curioso, coltissimo, attento.
I suoi numerosi capolavori letterari sono un laboratorio scientifico, un’officina alchemica, un’irraggiungibile caverna all’interno della quale uno stregone, indifferente al trascorrere del tempo (o più probabilmente antico quanto il tempo stesso), trasforma in qualcosa di nuovo e perfetto miti, suggestioni, temi, argomenti, riflessioni e intuizioni per secoli raccontati e trasmessi attraverso i libri.
Come fosse un mosaico che muta al mutare dello sguardo che lo osserva, l’opera di Borges sembra non avere né inizio né fine; ogni suo lavoro, sia esso in prosa o in versi, è un viaggio, unico e irripetibile, nello sconfinato universo letterario, esplorato e restituito al lettore con eleganza d’esteta, passione d’amante e ineguagliabile talento narrativo. Non esiste, dunque, nella produzione del grande scrittore argentino, qualcosa che somigli a un “centro”, uno scritto che, più o meglio di altri, riveli qualcosa di particolarmente significativo dell’autore o dei suoi temi prediletti (in questo senso, è affascinante attribuire agli scritti di Borges la definizione di Dio elaborata dalla Scolastica e ripresa, tra gli altri, da Niccolò Cusano e Giordano Bruno; un cerchio infinito il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo), tuttavia, a mio avviso, ci sono libri che non possono non essere letti, e in special modo Finzioni, una raccolta di otto racconti indimenticabili per perfezione stilistica e originalità di contenuto.
Scrive Domenico Porzio nella bellissima prefazione all’opera omnia di Borges pubblicata da Mondadori (due volumi, collezione I Meridiani, ma per quanto riguarda il solo Finzioni vi consiglio l’edizione Einaudi, tradotta e curata da Franco Lucentini): “Una memoria prodigiosa, nutrita da molteplici esperienze culturali, occidentali ed orientali, vigilata e accompagnata da una provocatoria reattività creativa. La ripetitiva vanità della Storia, le inappagate e cicliche interrogazioni delle filosofie e delle teologie, sollevate a materia di lucida e appassionata poesia. La proclamata certezza nell’equivalenza tra scrittura e lettura come momenti concomitanti e indispensabili all’accadimento del fatto estetico. L’inevitabile ribaltamento («il debole artificio di un argentino smarrito nella metafisica») nella irrealtà di ogni manifestazione del reale. Il meditato e risentito stupore, lo smarrimento gnostico, dinanzi all’insondabile destino dell’uomo e al mistero della creazione. La profonda, stoica commozione per le inutili speranze del progresso e delle rivoluzioni. L’idolatrica esplorazione dei miti e delle sorgenti delle antiche letterature e dell’epica da cui scaturì la poesia, poiché tutto accadde per divenire libro; il sospetto che anche la creazione sia un libro scritto dallo Spirito, del quale noi siamo le inconsapevoli lettere e parole. L’applicazione coinvolgente della tecnica della narrativa poliziesca per diramate e sorprendenti indagini speculative. Il dono e la conquista di una scrittura di ironico nitore e di classica semplicità. Una letteratura che è specchio implacabile e non rassegnato della nostra angoscia, della nostra crisi di identità, pur eludendo il tragico quotidiano. Un’avventura in versi e in prosa nell’immaginario, alla ricerca dei profetici frammenti di verità che lo Spirito ha elargito alla letteratura, mutevole caleidoscopio che ogni lettore modifica e ricrea. Sono queste alcune magie parziali che hanno progressivamente portato le pagine di Borges al centro di un’attenzione ormai planetaria”.
Di questa “parziale” magia è intrisa ogni riga di Finzioni, un libro di racconti unico nel suo genere, un’ininterrotta teoria di meraviglie nella quale la verità e il suo opposto si confondono fino ad annullarsi, fino ad annullare qualsiasi differenza fra loro. E quel che resta non è che bellezza, nella sua forma più pura.
P.S. Questa è la centesima scheda del blog. La dedico a Borges come personale omaggio a uno degli scrittori che più mi hanno influenzato. Spero che quanto ho scritto e riportato spinga qualcuno tra voi a scoprire Borges o a riscoprirlo (nel caso avesse già letto qualcosa di suo ma non ancora Finzioni).
Ora lascio la parola al grande argentino, non al primo dei racconti di Finzioni questa volta, ma alla sua premessa. Credo non possa esserci miglior invito alla lettura.
Gli otto scritti che compongono questa raccolta non hanno bisogno di chiarimenti importanti. L’ottavo (Il giardino dei sentieri che si biforcano) è poliziesco: i lettori assisteranno all’esecuzione e a tutti i preliminari di un delitto il cui scopo non ignorano, ma che non comprenderanno, mi sembra, fino all’ultimo paragrafo. Gli altri sono fantastici. Uno – La lotteria a Babilonia – non è del tutto esente da simbolismo. Non sono il primo autore del racconto La biblioteca di Babele; i curiosi della sua storia e preistoria potranno interrogare una certa pagina del numero 59 di «Sur», in cui figurano i nomi eterogenei di Leucippo e di Lasswitz, di Lewis Carroll e di Aristotele. In Le rovine circolari tutto è irreale; in Pierre Menard, autore del Chisciotte è irreale il destino che si impone il protagonista. La lista degli scritti che attribuisco a Menard non è divertentissima, ma non è arbitraria; è un diagramma della sua storia mentale…
Delirio faticoso e avvilente quello del compilatore di grossi libri, del dispiegatore in cinquecento pagine d’un concetto la cui perfetta esposizione orale capirebbe in pochi minuti! Meglio fingere che questi libri esistano già, e presentarne un riassunto, un commentario. Così fecero Carlyle in Sartor Resartus, Butler in The Fair Haven: opere che hanno il difetto, tuttavia, di essere anch’esse dei libri, non meno tautologici degli altri. Più ragionevole, più inetto, più pigro, io ho preferito scrivere, su libri immaginari, articoli brevi. Questi sono: Tlön, Uqbar, Orbis Tertius; Esame dell’opera di Herbert Quain; L’accostamento ad Almotasim. L’ultimo è del 1935; ho letto da poco The Sacred Fount (1901), il cui argomento generale è forse analogo. Nel delicato romanzo di James il narratore cerca di scoprire se sia A, o se sia B, a influire su C; nell’Accostamento ad Almotasim egli presenta o indovina, attraverso B, la remotissima esistenza di Z, che B non conosce.