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Hornby, un ragazzo di talento

Recensione di “Un ragazzo” di Nick Hornby

 

recensione Nick Hornby, Un ragazzo
Nick Hornby, Un ragazzo

Membro a pieno titolo di quella nutrita schiera di autori che, dopo un più che promettente inizio, ha progressivamente perduto smalto (come se avesse detto tutto quel che aveva da dire) e continuato a dare alle stampe romanzi soltanto per abitudine o forza d’inerzia, Nick Hornby resta comunque un piacevolissimo scrittore.


I suoi libri migliori (Alta fedeltà, Febbre a 90’ e Un ragazzo; di tutti gli altri, a mio avviso, si può tranquillamente fare a meno) sono dei piccoli gioielli; brillanti nello stile, ricchi di intelligente sarcasmo e soprattutto capaci di raccontare, con rara chiarezza e sorprendente acume, riflessioni, punti di vista, emozioni e sentimenti che i lettori, almeno una volta nella loro vita, hanno sperimentato esattamente in quella maniera.

E così, quella che si presenta – e a tutti gli effetti è – come pura letteratura d’evasione, diviene, anche grazie al cristallino talento narrativo di Hornby, una particolarissima forma di racconto psicologico nel quale lo sviluppo della vicenda (già molto coinvolgente di per sé) si fa esperienza condivisa; in questo modo, ogni distanza tra i personaggi del romanzo e chi assiste alle loro avventure si annulla ed è come se il libro si trasformasse in una sorta di diario personale; di più, in una perfetta modalità d’espressione del mondo interiore di ogni singolo lettore.

In Un ragazzo, per esempio, l’opera più sfaccettata, complessa, divertente e commovente della già citata “trilogia” dello scrittore inglese, il finto cinismo del protagonista (l’ultratrentenne Will Freeman, belloccio, ricco abbastanza da non aver bisogno di lavorare per vivere, alla continua ricerca di relazioni amorose non impegnative, meglio se con donne deluse da precedenti relazioni naufragate nel peggiore dei modi, e meglio ancora se con figli a carico), il suo esibito egocentrismo, la ricerca della battuta a effetto, le tecniche di seduzione e conquista, in alcuni casi geniali, in altri tragicamente imbarazzanti, e ancor di più il suo modo di pensare, che Hornby descrive nel dettaglio, senza risparmiare ironie e freddure che centrano immancabilmente il bersaglio, hanno molto, davvero molto in comune con il comportamento di tanti coetanei di Will. E questa consonanza non è artificiale né furbescamente costruita a tavolino, perché in fondo i facili amori di Will, rincorsi con fervore da collezionista, le relazioni appaganti solo e soltanto perché del tutto esenti da complicazioni sono goffi tentativi di nascondere la sua insicurezza, di ignorare la paura di riconoscersi per quel che è, un uomo adulto, e di agire di conseguenza (e adesso alzi la mano chi non ha mai dovuto affrontare simili stati d’animo).

Il resto della storia non è altro che gioioso entusiasmo letterario, spiccata attenzione per gli aspetti buffi e grotteschi della vita e invidiabile freschezza e fluidità di scrittura: Will che ha la geniale intuizione di trovare le sue nuove fidanzate in incontri di sostegno per genitori single e perciò si inventa un figlio che non ha (il piccolo Ned, ostaggio della perfida madre ogni volta che riesce a combinare un appuntamento); l’imprevisto che cambia tutte le carte in tavola e che gli fa incontrare la persona più lontana dal suo ideale femminile, Fiona, madre assillata da problemi di ogni tipo, trasandata nel vestire, hippy convinta, vegetariana intransigente, politicamente impegnata, musicalmente ferma a Joni Mitchell e Bob Marley – un’autentica tragedia per Will – e con un figlio dodicenne, Marcus, che definire disadattato è poco e che a scuola è il bersaglio di ogni genere di beffa e scherzo (e ancora una volta, alzi la mano chi, per le stesse ragioni di Marcus o per altri motivi comunque non troppo diversi dai suoi, non si è ritrovato, in qualche occasione, a essere lo zimbello dei compagni); e poi il rapporto, prima d’amicizia e poi di totale complicità, tra il ragazzo e Will che per entrambi segnerà l’inizio di una nuova vita. Marcus imparerà finalmente cosa significa vivere un’adolescenza normale, al passo con i tempi, e Will che lasciarsi andare ai sentimenti senza cercare scorciatoie e comode via di fuga può essere pericoloso, ma è anche il solo modo di amare veramente qualcuno (e che il più delle volte, rischiare vale la pena).

Romanzo di formazione, storia d’amore, ritratto di un adolescente che si affaccia alla vita adulta e di un adulto che si lascia definitivamente alle spalle la propria adolescenza (per troppo tempo cullata e protetta come un tesoro), Un ragazzo è un libro autentico, sincero nei sentimenti che descrive, leggero senza mai scadere nel luogo comune o nella banalità, diretto nel linguaggio, in qualche caso addirittura crudo, ma lontano da gratuite volgarità. È senza dubbio il migliore e il più felice tra i romanzi di Hornby; e pazienza se l’autore non è più stato capace di ripetersi a questi livelli. La gratitudine per averci regalato Un ragazzo resta.

Eccovi l’inizio. Buona lettura.

 
«E adesso vi siete lasciati?».
«Fai lo spiritoso?».
Spesso la gente pensava che Marcus volesse fare lo spiritoso quando invece era serio. Chissà perché. Chiedere a sua mamma se aveva rotto con Roger era una domanda del tutto sensata, pensava. Avevano litigato di brutto, poi se n’erano andati in cucina, parlavano sottovoce, e dopo un po’ erano usciti con la faccia seria: Roger era venuto lì da lui, gli aveva stretto la mano augurandogli buona fortuna a scuola e se n’era andato.
«Perché dovrei fare lo spiritoso?».
«Be’, a te cosa sembra?».
«A me sembra che vi siete lasciati. Ma volevo solo essere sicuro».
«Ci siamo lasciati».
«Quindi se n’è andato?».
«Sì, Marcus. Se n’è andato».
Pensava che non ci si sarebbe mai abituato.Roger gli piaceva abbastanza, e qualche volta erano usciti tutti e tre assieme; ma adesso non l’avrebbe più rivisto. Non che gli importasse, ma a pensarci era un po’ strano. Una volta era andato in bagno assieme a Roger, quando stavano entrambi per farsela addosso dopo una gita in macchina. Ti verrebbe da pensare che due che hanno fatto la pipì assieme non dovrebbero perdersi di vista.
«E la sua pizza?». Avevano appena ordinato tre pizze quando avevano cominciato a litigare, e non erano ancora arrivate.
«Ce la divideremo. Se abbiamo fame».
«Ma sono grandi. E poi Roger non ne ha ordinata una col salame piccante?» Marcus e sua madre erano vegetariani. Roger no.
«Be’, la butteremo via» disse lei
«Oppure possiamo toglierci il salame. Penso che non ne mettano tanto comunque. È soprattutto formaggio e pomodoro».
«Marcus, in questo momento non riesco proprio a pensare alle pizze».
«Ok, scusa. Perché vi siete lasciati?».
«Oh… per tanti motivi. Non so proprio come spiegartelo».
Marcus non era meravigliato che non sapesse spiegare che cosa era successo. Aveva sentito più o meno tutta la discussione e non ne aveva capito una sola parola; sembrava che da qualche parte mancasse qualcosa. Quando lui e sua mamma discutevano, si riusciva a cogliere l’importante: troppo, troppo caro, troppo tardi, troppo piccolo, fa male ai denti, l’altro canale, compiti, frutta. Ma quando discutevano sua mamma e i suoi fidanzati, potevi stare ad ascoltare per ore senza riuscire a cogliere il nocciolo, l’essenza, l’equivalente della frutta e dei compiti. Era come se gli fosse stato ordinato di litigare e loro saltassero fuori con la prima cosa che gli veniva in mente.

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