Recensione di “Mandragola” di Niccolò Machiavelli
“Si rida dunque degli errori degli uomini, poiché è sforzo vano cercare di correggerli”. Attribuita a Niccolò Machiavelli, questa amara, disincantata sentenza costituisce la morale (se di morale è il caso di parlare) e il senso ultimo del suo capolavoro comico, La Mandragola, commedia in cinque atti considerata dalla critica una delle opere più belle e importanti dell’intera storia della letteratura.
L’intreccio, ambientato a Firenze al principio del XVI secolo, narra del diabolico piano ordito dal giovane Callimaco (in questo aiutato dal servo Siro e dall’amico Ligurio) per conquistare la donna di cui si è invaghito, Lucrezia, moglie di messer Nicia, dottore in legge tanto colto quanto ingenuo e credulone. Dal momento che Lucrezia non riesce a restare incinta, Callimaco, istruito a dovere da Ligurio, che si finge amico di Nicia ma in realtà lo canzona senza sosta – approfittando anche, ogni volta che può, delle sue notevoli ricchezze – si presenta al dotto magistrato nei panni di un famosissimo medico giunto da poco da Parigi, dove la sua arte e i suoi miracolosi rimedi sono tenuti in gran conto. Messo al corrente del problema, propone la sua soluzione: si dia da bere a Lucrezia un portentoso preparato ottenuto dalla radice di mandragola, e poi, quella notte stessa, si giaccia con lei; la gravidanza sarà certa. Tuttavia, un inconveniente c’è, e non di poco conto: il primo (e si badi, solo il primo) che avrà rapporti con Lucrezia dopo che lei avrà preso la pozione morirà nel giro di otto giorni. Infallibilmente. Che fare, dunque?
Nicia non vuol certo morire, ma neppure desidera che la moglie, donna d’onestissimi costumi e di provata virtù, si dia a un altro; e che dire dell’infamante eventualità di divenir cornuto avendo per giunta dato il proprio assenso al verificarsi della cosa? Ancora una volta, è Callimaco, sempre spalleggiato da Ligurio, a suggerire una via d’uscita: si scelga un qualsiasi garzone (che naturalmente sarà lo stesso Callimaco travestito per l’occasione) trovato per caso tra le vie di Firenze, lo si obblighi a consumare il rapporto carnale con Lucrezia e lo si abbandoni al suo infelice destino; a Nicia sarà sufficiente questo piccolo sacrificio per poi tornare a godere delle grazie della moglie in piena libertà e con la certezza assoluta d’esser padre di lì a un anno, parola del dottor Callimaco, che in caso di fallimento del rimedio proposto è pronto a versare al suo nuovo cliente, a titolo di risarcimento, ben duemila ducati. Ottenuto l’assenso dell’uomo, occorre avere anche quello della moglie, e a questo pensa frate Timoteo, figura di religioso che Machiavelli dipinge con tutta la perfidia ( o meglio, con tutto il cinico realismo) di cui è capace: ingannatore e mentitore al pari degli altri personaggi della commedia, Timoteo supera di gran lunga i suoi compari in abiezione perché non si fa scrupolo di insozzare, per raggiungere i suoi bassi scopi, morale e fede, cardini della spiritualità dell’uomo e della sua educazione cristiana.
L’argomentazione che Machiavelli mette in bocca a frate Timoteo per convincere Lucrezia a darsi a uno sconosciuto (nella meravigliosa undicesima scena del terzo atto) è un capolavoro di mistificazione, ma soprattutto è la denuncia implacabile di come la religione, già considerata perfetto instrumentum regni, sia anche un utilissimo grimaldello in grado di violare le anime dei più semplici: usa dunque Dio per quel che più ti conviene, dichiara senza mezzi termini l’autore del Principe, e otterrai ciò che vuoi. Non devi, dice a Lucrezia Timoteo, crucciarti per ciò che stai per fare, poiché non si deve mai abbandonare un bene certo per un male incerto, e in questo caso il bene certo è importantissimo, perché si tratta di una gravidanza (“acquisterete un’anima a Messer Domeneddio”) , mentre il male incerto è la morte (qui data come probabile) di uno sconosciuto. Quanto all’amore carnale, all’adulterio vero e proprio, beh, qui il peccato non esiste, “perché la volontà è quella che pecca, non el corpo; e la cagione del peccato è dispiacere al marito, e voi li compiacete”.
Non contento della propria abilità oratoria, Timoteo, per dare ancor più forza alla sua tesi, non esista ad appoggiarsi anche all’autorità delle Scritture, e così il suo misfatto può dirsi compiuto: “dice la Bibbia che le figliuole di Lotto, credendosi essere rimaste sole al mondo, usorno con el padre; e, poiché la loro intenzione fu buona, non peccorno”. Ed ecco che Lucrezia, che certo è donna onorata ma anche personaggio di una rappresentazione che negli uomini non vede altro che vizio, come d’incanto si lascia persuadere. La conclusione della commedia coincide con il pieno compimento dell’inganno: Callimaco, travestito da garzone, ottiene l’agognato rapporto con Lucrezia; lei, scoperta la sua vera identità, lo accetta come amante e, trascorsa la notte degli inganni, Callimaco, di nuovo nelle vesti di eminente medico, accetta la ricompensa di un felicissimo e grato Nicia: il permesso di abitare in casa sua.
Folle girotondo di menzogne e tradimenti, viltà e astuzie, corruzioni e appetiti da soddisfare a qualsiasi costo, La Mandragola è una trasparente allegoria della condizione umana dal sapore tragico condotta con superba forza comica; l’umanesimo che presenta al lettore è privo di speranza e di pietà; non esiste redenzione possibile per nessuno dei personaggi della commedia perché ciascuno di loro (come del resto fanno tutti gli uomini), obbedisce solo al proprio personale interesse, al proprio misero tornaconto. Tutto il resto, come ben spiega frate Timoteo, non è che male incerto. Si rida dunque di quel che accade, perché il motteggio di Machiavelli è irresistibile e ricco di trovate geniali,ma a commedia finita non ci si dimentichi di Callimaco, Nicia, Ligurio, Lucrezia, frate Timoteo e di tutti gli altri, perché, proprio come noi, sono uomini e donne.
Eccovi l’inizio dell’opera. Buona lettura
Iddio vi salvi, benigni uditori,Quando e’ par che depenna,Questa benignità da lo esser grato.Se voi seguite di non far romori,Noi vogliàn che si intenda,Un nuovo caso in questa terra nato.Vedete l’apparato,Qual ora si dimostra:Quest’è Firenze vostra;Un’altra volta sarà Roma o Pisa,Cosa da smascellarsi dalle risa.Quell’uscio, che mi è qui sulla man ritta,La casa è d’un dottore,Che imparò in sul Buezio legge assai.Quella via, che è colà in quel canto fitta,È la via dello Amore,Dove chi casca non si rizza mai.Conoscer poi potrai,A l’abito d’un frate,Qual priore o abateAbiti el tempio che all’incontro è posto,Se di qui non ti parti troppo tosto.Un giovane, Callimaco Guadagno,Venuto or da Parigi,Abita là, in quella sinistra porta.Costui, fra tutti gli altri buon compagno,A’ segni ed a vestigiL’onor di gentilezza e pregio porta.Una giovane accortaFu da lui molto amata,E per questo ingannataFu, come intenderete, ed io vorrei,Che voi fusse ingannate come lei.La favola Mandragola si chiama.La cagion voi vedreteNel recitarla, com’io m’indovino.Non è el componitor di molta fama;Pur, se voi non ridete,Egli è contento di pagarvi el vino.Un amante meschino,Un dottor poco astuto,Un frate mal vissuto,Un parassito di malizia el cucco,Fien questo giorno el vostro badalucco.