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Morselli, Pizia letteraria

recensione - Guido Morselli, Il comunista, Adelphi
Guido Morselli, Il Comunista, Adelphi

Ignorato in vita (tragicamente troncata da un suicidio nel 1973), Guido Morselli, uno dei più originali, intelligenti e talentuosi autori del panorama letterario italiano, viene scoperto ad appena un anno dalla scomparsa. La sua vasta produzione incontra immediatamente i favori di critica e pubblico, eppure, nonostante questo palese riconoscimento (meritorio, ancorché tardivo), o forse proprio a causa di esso, lo scrittore bolognese resta ancora oggi una sorta di curiosità, di oggetto misterioso; un nome noto, anche se non notissimo, cui si continua a guardare come a una sorpresa inaspettata, un’eccentricità, una pietra su cui si inciampa per caso e che solo una volta raccolta rivela le proprie particolarità, pregi che non solo la rendono diversa da tutte le altre ma la fanno somigliare a un prezioso gioiello.


Romanziere realista ma capace di spalancare dinanzi al vero prospettive inedite, Morselli, che meriterebbe ben più attenzione di quella ricevuta finora poiché per importanza e dignità letteraria non è secondo a maestri come Calvino, Sciascia, Buzzati e Vittorini, possiede un dono raro: riesce a dare alla sua prosa la dettagliata precisione di una cronaca (che arricchisce con un linguaggio raffinato, composto e concreto, mai eccessivo o ridondante; un linguaggio semplice e bellissimo, che non lascia spazio alcuno a formalismi tanto gradevoli quanto banali e infruttuosi) e nello stesso momento a regalarle fantasia, intuizione, immaginazione, chiaroveggenza persino.

I temi dei suoi lavori, a partire dalla prima opera pubblicata (Roma senza Papa, 1974, che racconta di una Capitale d’Italia, alla fine del ventesimo secolo, orfana del capo della Chiesa Cattolica, che ha eletto a propria santa dimora, invece del Vaticano, la più tranquilla e dimessa Zagarolo), sono un impressionante squarcio sulla nostra attualità, sono “sogni consapevolmente sognati” che consegnano ai lettori una possibile chiave di lettura del presente, sono arditi, coraggiosi, entusiasmanti viaggi nel tempo compiuti da uno scienziato, non disordinate corse a rotta di collo di artisti magari brillanti ma attratti soltanto dalla dimensione misteriosa e inconoscibile del domani, non dal desiderio di comprendere, e magari anticipare, quel che sarà.

Creatore geniale e instancabile, Morselli racconta di storia (rielaborandola nel modo della possibilità e illustrando con precisione estrema e lucidità inappuntabile un passato alternativo sulle sorti del primo conflitto mondiale) nello splendido e sorprendente Contro-passato prossimo; si cala con magistrale naturalezza nelle atmosfere dei romanzi di fantascienza (naturalmente caricandole di impegnative valenze simboliche) in Dissipatio H.G., l’ultimo dei suoi romanzi, il cui protagonista, aspirante suicida, scopre con sgomento di essere rimasto l’ultimo essere umano vivente del pianeta; esplora, con pudore ma anche con una spietata capacità d’analisi psicologica, l’abisso fisico ed emotivo dell’incesto (in Un dramma borghese) e, in quello che è probabilmente il suo romanzo più articolato e impegnativo (Il comunista), attraversa il labirinto della realtà politica, del credo ideologico e della sua maturazione.

In questo intenso e doloroso romanzo, Guido Morselli narra della progressiva crisi di coscienza (politica) di un leale iscritto al Partito Comunista Italiano, Walter Ferrarini, di Reggio Emilia, militante, deputato e fedele uomo d’apparato la cui vita in massima parte coincide con quella del suo partito. La sua casa è Via delle Botteghe Oscure a Roma (per decenni storica sede del partito) e le sue giornate sono scandite dai riti della politica, da quelli ufficiali a quelli privati, a cominciare dalla quotidiana lettura mattutina dell’Unità. Ferrarini è un soldato, qualcuno su cui si può sempre contare, ma anche da comunista, da sincero partigiano dell’ideologia, non è al riparo da dubbi, domande, interrogativi che lo sollecitano fino a perseguitarlo, fino a trasformarlo nel peggior nemico di se stesso e in un’insidia per il proprio partito.

Dimostrando ancora una volta grande rispetto per la vicenda narrata (e per il suo tormentato protagonista), Morselli si concentra sulla parabola di nascita e morte di un’appartenenza fondata sulla persuasione, sulla forza di un’idea. L’ideologia egualitaria di Ferrarini (e di milioni di altri come lui) si spegne poco alla volta non per colpa dell’uomo ma per consunzione propria. Il suo cammino è segnato; prende vita nella forma di un radicato convincimento personale, trascende le individualità per trasformarsi in un simbolo di unità, in uno scopo da perseguire, ma a contatto con la realtà l’idea perde la propria purezza e torna in qualche modo contaminata al singolo, che a questo punto stenta a riconoscerla, a riprenderla in sé e con sé. Morselli racconta di uno smarrimento ideologico che si fa dramma esistenziale, riflette e fa riflettere sui pericoli di un’adesione acritica a qualsiasi parola d’ordine, foss’anche la più nobile, ma si guarda dall’offrire facili risposte o comode vie d’uscita. Se esiste una percorribile strada mediana tra il comunista di ieri e l’uomo senza ideologia (ma anche senza politica) che vive la desolazione dell’oggi, lo scrittore non ce la indica. Tuttavia ci invita a cercarla; a pensarci, non è cosa da nulla.

Eccovi l’incipit dell’opera. Buona lettura.

Dibattito (e riposo) in Parlamento. Si stava discutendo un’interpellanza sulle condizioni, cattive, delle Ferrovie dello Stato e l’aula già con poca gente si sguarniva, come capita quando si trattano argomenti tecnici; tranne nel settore della sinistra, a cui apparteneva l’interpellante. Malgrado le voci alterne di questi e del ministro Angelini che gli rispondeva, l’ambiente era sonnacchioso; infastidita e divertita perplessità accolse il magro spunto polemico introdotto dall’estrema. L’interruzione si levò da un banco del M.S.I., la voce, a inflessioni fittamente siciliane, aveva pretese di ironia.

– Tu critichi i treni in ritardo. Lo capisci, onorevole Boatta, che la tua critica si riporta a tempi andati quando c’era in Italia oltretutto chi faceva marciare i treni in orario?

– Ci è costato caro – fu l’ovvia risposta del compagno Boatta. Ma l’altro incalzava:

– Non i soli treni marciavano, a quei tempi. Purtroppo questa nostra Italia pusilla….

Qui Boatta perse la pazienza.

– Impara l’italiano fascista! In italiano non si dice: Itàlea

– Sì, da te imparerò. Che dici Itaglia, con la “g”. Buzzurro.

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