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Un grande scrittore travestito da regista

Recensione di “Saperla lunga” di Woody Allen

Woody Alle, Saperla lunga, Bompiani
Woody Allen, Saperla lunga, Bompiani

1969. Woody Allen debutta al cinema con Prendi i soldi scappa (anche se in realtà il primo lungometraggio, Che fai, rubi?, di cui firma sceneggiatura e regia, è del 1966), spassoso e genialoide finto documentario che racconta le tragicomiche avventure di Virgil Starkwell, ladruncolo fallito capace solo di combinare pasticci.


È l’inizio di una sensazionale carriera, segnata, certo, da alti e bassi come qualsiasi altra carriera, ma comunque splendida, inimitabile per molti aspetti; di più, “il curriculum cinematografico” di Allen è talmente ricco e affascinante da aver oscurato i numerosi altri talenti artistici del cineasta, primo fra tutti quello di scrittore (comico, o meglio umoristico, s’intende). Già dal suo primo lavoro (il folgorante Saperla lunga, pubblicato nel 1973), il lettore si accorge con gioia di trovarsi davanti a un maestro, a un autore talmente grande da potersi permettere di scherzare con la scrittura rispettandone in pieno (e addirittura esaltandole) regole, stile, peculiarità di genere, capacità di avvincere, conquistare, emozionare, e naturalmente divertire. 

Coltissimo conoscitore d’uomini, osservatore attento della realtà delle cose, spirito critico finissimo, Woody Allen traduce in irresistibili toni surreali la “folle normalità” dell’esistenza quotidiana; costruisce racconti brevi che sono altrettante istantanee di vita, si prende voluttuosamente gioco di tutto, specie degli argomenti più spinosi, più difficili, più lontani dall’idea stessa di parodia (la religione innanzitutto, da lui, ebreo, amata e odiata, la cultura “alta”, in primo luogo la filosofia, probabilmente letta, e compresa, da giovanissimo, ma mai digerita del tutto, il sesso, alfa e omega del suo percorso di uomo e artista – “provo un intenso desiderio di tornare nell’utero… Di chiunque”, recita una delle sue battute più belle – la morte, la tragedia incancellabile dello sterminio nazista), procedendo, senza logica apparente, dall’elaborazione di personali diari di memorie alle torride atmosfere hard boiled, da corrispondenze epistolari (memorabile quella del racconto intitolato “Il carteggio epistolare Gossage-Vardebiadan”, centrato su un’assurda partita a scacchi), fino al suo amore più grande, la sceneggiatura (in “La morte bussa”). Senza sforzo apparente, Allen scatena risate a non finire; nel suo mondo alla rovescia, nel quale il “principio di realtà” non è l’impossibile, ma semplicemente il contrario, l’esatto opposto di quel che normalmente accade (un po’ come se il mondo, e con lui ognuno di noi, si guardasse allo specchio e osservasse il proprio riflesso prendere vita), l’eccezione si fa regola e causa un dolce effetto di straniamento, di rassicurante leggerezza (perché com’è possibile avere paura di una realtà in cui perfino il Terzo Reich somiglia a una barzelletta?), che quasi per legge fisica muove a un’aperta, franca ilarità. Come scrive Umberto Eco nella prefazione all’edizione italiana del libro (Bompiani): “La sua comicità nasce sempre da una situazione normale rovesciata. Questo è il meccanismo più semplice, tanto che gli amici lo hanno soprannominato Allen Woody: ‘Portavo sempre una pallottola nel taschino all’altezza del cuore. Un giorno qualcuno mi ha tirato contro una Bibbia e la pallottola mi ha salvato la vita… Io e mia moglie non riuscivamo a tirare avanti così e allora ci siam detti: o facciamo una vacanza insieme o divorziamo; poi abbiamo deciso che un viaggio alle Bermude finisce in quindici giorni mentre un divorzio è una cosa che ti dura tutta la vita’. Talora invece il meccanismo è dato dall’inserzione violenta, nel corso di un discorso elevato, di elementi quotidiani, altrettanto veri e plausibili. Ecco Woody Allen che discute di metafisica: ‘Cosa conosciamo? Cioè cosa siamo sicuri di conoscere, o sicuri che conosciamo di aver conosciuto, se pure è conoscibile? Possiamo conoscere l’universo? Mio Dio, è già così difficile non perdersi in Chinatown…’. Oppure: ‘Il punto pertanto è: esiste qualcosa fuori di noi? E perché? E devono proprio fare tutto quel rumore?’”.  

Saperla lunga è un gran bel libro, scritto da un uomo di immenso talento, che regala autentiche perle di humour. Leggerlo è un piacere, un limpido godimento intellettuale: raffinato come il migliore dei vini, come il cioccolato più puro, come un frutto consumato fuori stagione. Leggerlo è farsi un regalo, volersi bene. Eccovi l’incipit. Buona lettura. 

Ero seduto nel mio ufficio a pulire la mia calibro trentotto e mi stavo chiedendo quale sarebbe stato il prossimo caso. Mi piace fare l’investigatore privato e, anche se di tanto in tanto qualcuno mi massaggia le gengive con un crick, il dolce profumo dei bigliettoni verdi mi convince che ne vale la pena. Per non dire poi delle pupe, una mia esigenza accessoria che antepongo solo al respirare. Questo è il motivo per cui, quando la porta del mio ufficio si spalancò per lasciar passare Heather Butkiss, una bionda dai lunghi capelli che entrò a lunghi passi dicendo di essere una modella per nudi a cui serviva il mio aiuto, le mie ghiandole salivari ingranarono la quarta. Ella indossava una minigonna ed un golfino aderente e il suo corpo descriveva una tale serie di parabole che avrebbe fatto venire l’infarto a un bue tibetano. 
“Cosa posso fare per voi, dolcezza?”. 
“Voglio che troviate qualcuno per mio conto”. 
“Una persona smarrita? Avete chiesto alla Polizia?”. 
“Non esattamente, Mr Lupowitz”. 
“Chiamatemi Kaiser, dolcezza. Va bene, allora chi è il tizio?”. 
“Dio”.

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