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La verità canzonata in palcoscenico

Recensione di “L’importanza di essere onesto” di Oscar Wilde

Oscar Wilde, L'importanza di essere onesto. Mondadori
Oscar Wilde, L’importanza di essere onesto, Mondadori
 
Londra, St. James’s Theatre, 14 febbraio 1895. Debutta, ottenendo uno straordinario successo di pubblico, The importance of being Earnest di Oscar Wilde (L’importanza di essere onesto, volonterosa ma insufficiente, e insoddisfacente, traduzione italiana del titolo, paga l’impossibilità di salvare il gioco di parole tra l’aggettivo, earnest, e il nome proprio di uno dei personaggi, Ernest, che caratterizza lo svolgersi della pièce). Ultimo lavoro teatrale del grande autore irlandese, la commedia è un assoluto capolavoro letterario.


 
La scrittura di Wilde, sempre incalzante, viva, provocatoria, contraddistinta da un’ironia finissima, da un gusto per la polemica in punta di fioretto, per la sottolineatura (di un vizio, di un’imperfezione, di una contraddizione) così perfetta da divenir spassosa caricatura senza tuttavia mai sacrificare alla bellezza del motteggio e al suo effetto la propria sostanziale verità, qui sembra accendersi ancor di più, divampare, superarsi.
 
Il risultato è un testo che non somiglia a nessun altro, dove il paradosso e lo squisito disegno della battuta a effetto non hanno soluzione di continuità; la perfezione del linguaggio, l’incantevole armonia del suo procedere, la leggerezza magistrale dello stile, accolgono in sé, come elemento naturale della prosa, ogni forma di eccentricità, che si trasforma, in un geniale rovesciamento di forma e contenuto, in espressione comune, nel quotidiano parlato dei protagonisti.
 
L’importanza di essere onesto è pura ricchezza; la costruzione dei caratteri è impareggiabile (tutti, infatti, risultano indimenticabili), la vicenda – che mutua dal teatro antico il meccanismo classico dei riconoscimenti, delle identità svelate da un colpo di scena (che interviene provvidenziale a sistemare anche la più intricata e imbarazzante delle situazioni) e reinventa in chiave farsesca un altro felicissimo cliché narrativo (quello dei gemelli) – impeccabile nello svolgimento, e il ritmo piacevolmente incalzante; ogni pagina regala sorprese, diverte, sorprende, stupisce, invita alla riflessione, suscita un’aperta, incontenibile ammirazione.
Lo smisurato talento di Oscar Wilde regala l’immortalità a una storia semplice, a un delizioso intrecciarsi di equivoci, all’innocente desiderio di libertà di due giovani aristocratici inglesi: da una parte Algernon Moncrieff, che per sfuggire agli sgraditi obblighi che il vivere sociale gli impone si è inventato un amico invalido (di nome Bunbury) da accudire all’occorrenza, dall’altra Jack Worthing, irreprensibile tutore della nipote di Thomas Cardew, suo padre adottivo, che si concede distrazioni dal suo ruolo grazie all’invenzione di uno scapestrato fratello minore, Ernest (nome con il quale è conosciuto a Londra).
I due si confessano le reciproche false identità già nel primo atto della commedia, nel corso di una conversazione amabilmente neutra, quasi che l’argomento del loro dire non avesse nulla a che fare con le rispettive vite: “Quando ci si investe della responsabilità di fare il tutore”, spiega Jack all’amico, “si deve adottare un alto tono morale in tutto. Fa parte del proprio obbligo. E siccome non è che l’alto tono morale ti porti esattamente alla salute e alla felicità, per poter scendere in città ho sempre finto di avere un fratello minore a nome Ernest, che abita all’Albany e si caccia nei peggiori pasticci”.
E sulla medesima falsariga Algernon replica: “Tu hai inventato un utilissimo fratello minore a nome Ernest allo scopo di poter calare in città tutte le volte che vuoi. Io ho inventato un impagabile amico a nome Bunbury allo scopo di poter andare in campagna quando mi pare e piace. Bunbury è assolutamente inestimabile. Se non fosse per la salute straordinariamente cattiva di Bunbury, per esempio, non potrei pranzare con te da Willis’s, questa sera, perché avrei un impegno con mia zia Augusta da più di una settimana”.
 
Canzonata con una raffinatezza e un’intelligenza che non possono non sedurre, la verità (rappresentata dalle ammissioni di Jack e Algernon) fa il suo ingresso sul palcoscenico per sparire immediatamente dopo, travolta dalle conseguenze delle bugie sparse a piene mani dai due amici, dalle inevitabili incertezze delle loro doppie vite, e naturalmente dall’amore, che investe Jack-Ernest (o meglio Jack nei panni londinesi di Ernest, nome dinanzi cui non si può non capitolare, che infiamma il cuore delle donne, e che nel gioco di parole inglese si pronuncia allo stesso modo di earnest, il cui significato è serio, onesto) e colpisce anche Algernon (in visita alla tenuta di campagna dell’amico Jack nei comodi panni di Ernest), fino al felice scioglimento finale della vicenda, che rimette la verità al posto che le spetta senza tuttavia ripudiare il suo opposto, la menzogna, benignamente giudicata un lodevole artificio d’artista.
 
L’importanza di essere onesto (ottima l’edizione Oscar Mondadori a cura di Masolino d’Amico) è una delle grandi opere della storia della letteratura, un lavoro che merita di stare allo stesso livello dei classici, perché proprio come i classici non è soggetto all’usura del tempo.
 
Eccovi l’incipit. Buona lettura
 
 
Scena: Salottino nell’appartamento di ALGERNON a Half-Moon Street. La stanza è arredata con gusto e lusso artistico. Si sente un pianoforte nella stanza accanto. LANE sta apparecchiando il tè sul tavolino. La musica cessa, e quindi entra ALGERNON.
 
ALGERNON
Hai sentito quello che suonavo, Lane?
LANE
Non mi è parso corretto ascoltare, signore.
ALGERNON
Peggio per te. Io non suono con precisione – chiunque può suonare con precisione – ma suono con una espressione meravigliosa. Per quanto riguarda il piano, il mio forte è il sentimento. La scienza la riservo alla Vita.
LANE
Sì, signore.
ALGERNON
E a proposito di scienza della Vita, hai preparato i tramezzini al cetriolo per Lady Bracknell?
LANE
Sì, signore (li porge su un piatto d’argento.)
ALGERNON
(li ispeziona, ne prende due e si siede sul divano)
Oh!… A proposito, Lane, ho visto sul tuo registro che giovedì sera, quando sono venuti a pranzo Lord Shoreman e il signor Worthing, sarebbero state consumate otto bottiglie di champagne.
LANE
Sì, signore; otto bottiglie e una pinta.
ALGERNON
Perché nelle case degli scapoli la servitù beve invariabilmente lo champagne? Lo domando a semplice titolo di informazione.
LANE
Attribuisco il fenomeno alla qualità superiore del vino, signore. Ho avuto spesso modo di osservare che lo champagne è di prima scelta solo molto di rado presso i ménages coniugali.
ALGERNON
Santo cielo! È così deprimente il matrimonio?
LANE
Io la considero una condizione assai gradevole, signore. Benché fino ad oggi le mie esperienze in materia siano state assai limitate. Sono stato sposato una volta sola. In seguito a un malinteso con una certa giovane.
ALGERNON
(languido) Non so fino a che punto mi interessi la tua vita privata, Lane.

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