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Antropologia forense, scienza letteraria

Recensione di “Corpi freddi” di Kathy Reichs

Kathy Reichs, Corpi freddi, Bur
Kathy Reichs, Corpi freddi, Bur

Non è né banale né ovvio sottolineare il fatto che Kathy Reichs, prima di essere una scrittrice, è un’antropologa forense, perché la sostanza letteraria dei suoi thriller (intreccio, stile, svolgimento della vicenda, qualità della prosa, ambientazione, costruzione dei personaggi) resta in qualche modo in secondo piano se paragonata all’importanza che riveste, nel progressivo dipanarsi della trama, il contributo medico-scientifico.


Non a caso, la protagonista dei romanzi della Reichs, a partire da quello d’esordio, Corpi freddi, pubblicato nel 1997, è il suo trasparente alter ego: Temperance Brennan, antropologa forense impiegata presso il Laboratorio di Medicina Legale di Montréal. È lei il centro del romanzo, lei, la quarantenne Brennan, e tutto ciò che riguarda la sua vita, una figlia, un matrimonio fallito alle spalle, lo spettro dell’alcolismo (nel cui abisso in passato è precipitata riuscendo per un soffio a sfuggire all’autodistruzione) sempre pronto ad assalirla, e più di ogni altra cosa il suo lavoro, nel quale è espertissima: lo studio delle ossa umane e animali, la loro catalogazione, la datazione.

In Corpi freddi Kathy Reichs si immerge completamente nel suo personaggio scegliendo di raccontare in prima persona quel che accade; la sua scrittura, specie quando si abbandona ai disegni d’ambiente o indugia sui dubbi e i tormenti della protagonista, è diligente, ordinata, scorrevole, a ben guardare non priva di una certa grazia, ma queste positive caratteristiche sembrano dipendere, più che da pregi intrinseci, da un’essenziale assenza di responsabilità.

L’autrice americana sfrutta le grandi potenzialità letterarie della propria professione, costruisce intorno a esse la storia che intende narrare (una serie di sconvolgenti ritrovamenti di resti umani, tutte donne fatte a pezzi, avvolte in sacchi della spazzatura e abbandonate in terreni appartenenti alla chiesa, che fa sorgere in Temperance Brennan il sospetto che in città agisca un feroce serial killer, mentre i poliziotti incaricati delle indagini rifiutano di dar credito a questa intuizione costringendo l’antropologa a investigare, non senza pericolo, per proprio conto), riempie pagine di dettagli tecnici (tutti molto ben raccontati, e di grande interesse) e in più di un’occasione si affida all’effetto della descrizione nuda e cruda, all’impressionante concretezza della morte, come per esempio quando narra l’autopsia fatta al primo cadavere recuperato.

“Non essendo stati esposti all’aria e alla luce, gli arti apparivano meno disidratati e conservavano ampie porzioni di tessuti molli putrefatti. Mentre li estraevo dal sacco mortuario mi sforzai di ignorare la sostanza giallastra che si ritirava dalla loro superficie con il movimento pigro delle onde sulla battigia. Davanti a me i vermi colpiti dalla luce abbandonavano i resti scivolando sul tavolo e poi sul pavimento in una pioggia lenta ma costante, e una volta atterrati fra i miei piedi sembravano chicchi di riso in preda alle convulsioni”.

Questo modo di procedere ha il merito di aprire una dimensione nuova al genere; l’esattezza scientifica, infatti, dà al romanzo una credibilità che altre opere simili non possono sperare di avere e contribuisce a coinvolgere il lettore in un mistero che d’improvviso non sembra affatto frutto d’invenzione; d’altro canto, tutto quel che accade tra un’autopsia e l’altra, tra un esame di Temperance Brennan e un più approfondito studio che l’antropologa, decisa a far luce sulla catena di delitti nella quale si è trovata invischiata, svolge assieme a qualche collega, si riduce a contrappunto, ad abbellimento, a un innocuo (e per molti versi impalpabile) esercizio di stile.

Kathy Reichs, tuttavia, sa bene come tenere alta la tensione, riesce a dare il giusto spessore ai caratteri di contorno e dosa con abilità i colpi di scena. Così il suo esordio letterario, pur senza essere folgorante, attira l’attenzione; certo, la Reichs inciampia in qualche schematismo di troppo (la differenza marcata, eccessiva, tra i quartieri eleganti di Montréal e le periferie sordide, con il consueto corollario dei tipi umani che abitano le rispettive zone; il maschilismo esibito dai poliziotti; il ricorso al modello abusato della prostituta disillusa e intelligente, che naturalmente finisce per aiutare Brennan a far luce sul caso), ma si tratta di infortuni che il lettore può senza fatica perdonare. Perché Corpi freddi, malgrado i difetti, resta un buon thriller, un libro ben costruito, solido e avvincente. E Temperance Brennan un personaggio che, una volta conosciuto, sa far sentire la sua mancanza.

Eccovi l’incipit del romanzo. Buona lettura.

Non stavo pensando all’uomo saltato in aria. Non ci pensavo più. Adesso lo stavo solo rimettendo insieme. Davanti a me avevo due sezioni del cranio; la terza sporgeva dalla vaschetta d’acciaio colma di sabbia, mentre il collante asciugava sui frammenti ricomposti. Le ossa erano sufficienti a confermare l’identità. Il coroner sarebbe stato soddisfatto.

Era il 2 giugno 1994, giovedì, tardo pomeriggio, e la mente vagabondava nell’attesa che la colla solidificasse. Mancavano ancora dieci minuti alla visita che avrebbe interrotto i miei pensieri, ribaltato la mia vita e modificato per sempre la mia capacità di comprendere i limiti della depravazione umana. Per il momento potevo continuare a godermi la vista sul San Lorenzo, unica nota positiva di quell’angusto ufficio d’angolo. Da sempre l’acqua sortisce su di me un effetto rigenerante, specie quando scorre in modo ritmico. Altro che Lago Dorato, e Freud dica pure quello che vuole.

Stavo pensando al weekend ormai vicino. Avrei potuto spingermi fino a Québec, vedere le Plains of Abraham, mangiare crèpe e cozze e curiosare fra le bancarelle di bigiotteria. Programma piuttosto vago per due giorni di innocente evasione. Abitavo a Montréal da un anno, dove lavoravo come antropologa forense, ma non ero mai stata a Québec e quella gita mi sembrava una buona idea. Un fine settimana senza scheletri, corpi in decomposizione e cadaveri ripescati dal fiume mi avrebbe senz’altro giovato.

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