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Il drive-in alla fine del mondo

Joe R. Lansdale, Drive-in. La trilogia, Einaudi
Joe R. Lansdale, Drive-in La trilogia, Einaudi

L’Orbit è un drive-in, il più grande del Texas, probabilmente il più grande mai esistito. Ed è un’attrazione irresistibile, specie il venerdì sera, quando sui suoi sei maxischermi si proiettano senza sosta i film della Grande Nottata Horror. Un appuntamento che attrae folle oceaniche, file interminabili di auto, legioni di appassionati di ogni età pronti a godersi ore e ore di libertà assoluta tra pellicole che rigurgitano violenze di ogni sorta.

L’Orbit è una zona franca in cui tutto è permesso; è il luogo d’elezione per gli amanti delle mattanze cinefile, ma anche il ricovero perfetto per giovani fidanzati in cerca di reciproca soddisfazione; è un rumoroso cortile di casa dove organizzare un barbecue con amici e perfino la meta di tranquille famiglie desiderose di trascorrere una serata “diversa dal solito”. Ma soprattutto è l’ambientazione, il “set” (e il termine non è casuale) della trilogia di Joe R. Lansdale (in Italia pubblicata da Einaudi, nell’eccellente traduzione di Vittorio Curtoni, Delio Zinoni e Alfredo Colitto, con il titolo di Drive-in La trilogia), vorticoso affresco letterario dominato dal caos, dall’assurdo, dalla follia, e naturalmente dal più puro orrore.

Narratore brillantissimo, dotato di una dirompente forza comica e di una visionarietà esplosiva, Lansdale costruisce un vibrante “romanzo in tre atti” – è consigliabile leggere la trilogia in un’unica soluzione per apprezzarla come merita – una sceneggiatura delirante (ma che conserva una propria ferrea coerenza interna) che, abbandonato presto tutto ciò che siamo abituati a considerare normale, ordinario, sensato, precipita protagonisti e lettori in una dimensione parallela fatta d’oscurità (reale e metaforica) e dominata da unico dio: la morte. Accade tutto in un attimo; nel pieno della Grande Nottata Horror, una cometa appare in cielo, o per dir meglio quel che si vede è qualcosa di indistinto, di un acceso colore rosso, che sembrerebbe una cometa se, a un certo punto del suo viaggio verso il drive-in non si mettesse a sorridere. E quel sorriso, proprio come il si gira! di un regista, cambia per sempre ogni cosa.

Le tenebre si fanno più dense, acquistano consistenza, circondano il drive-in rendendo impossibile a tutti la fuga (chi ci prova, semplicemente scompare, inghiottito da quel buio misterioso), e lasciano gli spettatori alle prese con la loro nuova vita, diventata d’improvviso sopravvivenza. Impossibilitati ad andarsene, alle prese prima con la scarsità di cibo e bevande (non ci sono che popcorn, snack e bibite gassate vendute nei chioschi), poi con il loro esaurimento, uomini e donne non ci mettono molto a perdere ogni pudore, ogni inibizione. E così la violenza, fino a poco prima “imprigionata” nella pellicola, nei singoli fotogrammi, deflagra tra i reclusi del drive-in, che in un’orgia di abiezioni si danno allo stupro, all’omicidio, al cannibalismo, finché a regalar loro uno scampolo di senso non giunge una creatura deforme, il Re del Popcorn, il cui corpo è l’abominevole risultato della fusione di due persone. Non è il caso di riassumere quel che accade da questo momento in poi, basti dire che la fantasia di Lansdale corre senza freni affastellando, in un febbrile crescendo creativo, dinosauri e diluvi universali (o almeno una loro dignitosissima replica), pesci gatto delle dimensioni di un hangar e cowboy sadomasochisti con un televisore al posto della faccia, creature aliene che sembrano prese di peso dai film degli Anni 50, ologrammi tecnologicamente avanzatissimi e perfino una Città di Merda, così ribattezzata dai suoi abitanti.

Ricordi (nel secondo libro della trilogia l’autore cita anche la propria città natale, Nacogdoches, in Texas, assumendosi “la responsabilità dei commenti tanto positivi quanto negativi su di essa”) amori (il cinema horror prima di tutto, e il drive-in, va da sé), ossessioni (ancora il cinema horror e il drive-in), illusioni e inevitabili delusioni (la letteratura, o almeno certa letteratura: “il sole filtrava dalla finestra e faceva sembrare ancora più vivaci i dorsi rossi e gialli dei volumi di astrologia e numerologia”, scrive Lansdale. “Avevo cercato di credere in quei piccoli bastardi, ma la vita e la realtà continuavano a fare a botte con loro […]. C’era anche uno di quei libri moderni, tanto alla moda, che raccontava che io credevo di essere un fesso, ma in realtà non lo ero. Quello mi era piaciuto più di tutti, finché non avevo realizzato che chiunque avesse i soldi per comperare il libro diventava un tizio con un bel cervello. E l’idea mi aveva, per così dire, sgonfiato le gomme”) sono il magmatico materiale narrativo di questi romanzi. Lansdale offre al lettore un assaggio della sua giovinezza, uno scorcio della sua vita, poi sovverte le regole e lascia che a guidare la sua scrittura sia l’arbitrio imprevedibile della fantasia, dell’invenzione fine a se stessa. E per quanto pazzesca, la sua architettura regge, perché si fonda su una prosa instancabile, vulcanica, spassosa e atroce, che pagina dopo pagina soffia vita ed entusiasmo al racconto. Poco importa che verso la fine del viaggio l’esercizio letterario dello scrittore americano mostri la corda, che il suo funambolismo linguistico perda mordente, che l’insistito ricorso alla metafora scricchioli e il vezzo di braccare similitudini decada in stucchevole maniera… in fondo, sono accadute così tante cose che è del tutto normale che il narratore sia stanco, anzi sfinito. A ben guardare, quel che conta è che ci abbia portato con sé.

Scrive Niccolò Ammaniti: “Io consiglierei a un analfabeta di imparare a leggere solo per poter conoscere Lansdale”. Non potrei essere più d’accordo.

Eccovi l’inizio del primo romanzo, intitolato Il drive-in (un film di serie B con sangue e popcorn, made in Texas). Buona lettura.

Scrivo dei giorni prima che le cose impazzissero, quando c’era da dire addio alle superiori, pensare all’università, alle ragazze, ai party, e alla Grande Nottata Horror del venerdì al drive-in Orbit, quello a fianco dell’Interstatale 45, il più grande drive-in del Texas. Del mondo intero, a dire il vero, anche se dubito che esistano molti drive-in, per esempio, in Jugoslavia.
Pensateci un momento. Ripulite la mente da tutto il resto e vedete se riuscite a immaginare un drive-in tanto grande da poter contenere quattromila automobili. Voglio dire, pensateci sul serio.
Quattromila.
Viaggiando verso l’Orbit, ci capitava spesso di attraversare cittadine con un numero di abitanti inferiore a quattromila scritto sul cartello segnaletico. E considerate che ognuna delle automobili conteneva in genere almeno due persone, spesso di più (senza contare quelle nascoste nei bagagliai), e starete pensando a un sacco di automobili e di persone.
E una volta all’interno, riuscite a immaginare sei mostruosi schermi da drive-in, alti sei piani, con sei pellicole diverse proiettate contemporaneamente?
Anche se riuscite a immaginare tutto questo, è impossibile, se non ci siete mai stati, che riusciate a immaginare quello che succede il venerdì sera, quando il biglietto d’ingresso costa due dollari e le automobili si mettono in fila per la Grande Nottata Horror, per incollare gli occhi su sei schermi che grondano secchi di sangue e sparano decibel di urla dal tramonto all’alba.

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