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Spettatore dell’incendio della propria casa

Recensione di “Da un castello all’altro” di Louis-Ferdinand Céline

recensione Louis-Ferdinand Céline, Da un castello all'altro, Einaudi
Louis-Ferdinand Céline, Da un castello all’altro, Einaudi

Nel cerchio perfetto della prosa di Louis-Ferdinand Céline la realtà così come noi la conosciamo (o per dir più esattamente crediamo di conoscere) finisce per aderire pienamente all’immagine che ne dà l’autore, per riflettersi in tutto e per tutto nel suo scrivere veemente, in quel rozzo, rabbioso e commosso “poetare in mezzo al fango” che è la più limpida espressione del suo infinito talento letterario, nel suo tratteggio ruvido come un graffio sul muro e nel medesimo tempo sublime, irraggiungibile, nell’adamantino scintillio di ogni parola, di ogni singolo momento del suo torrenziale narrare.


È come se l’iperbole, il mascheramento grottesco, l’irrompere continuo dell’assurdo (ossatura dell’opera céliniana) non fossero espedienti romanzeschi ma un fedele “lavoro di traduzione”; in una parola, sembra che quel che il grande francese racconta sia soltanto il frutto di un’accurata e fedele testimonianza, un resoconto, una cronaca. Eppure per definire Céline e i suoi libri (tutti, senza eccezione, dei capolavori) gran parte della critica ha, a ragione, parlato di “delirio”, e non si può negare che nelle sue pagine abbondino descrizioni e ritratti, di persone come di cose, dominati da tinte d’incubo, da un’irrazionalità contagiosa, dalla violenza, da abissi di colpa e di miseria, e da un’istintualità primitiva e il più delle volte malvagia.

Dove sta dunque la “verità” di Céline? In che senso egli può essere qualificato, e soprattutto letto, come uno scrittore realista? Come molti autori, Céline racconta quel che vive, ma lo fa reinventando completamente l’autobiografia, rifondandolaLa sua rivoluzione, che non è soltanto stilistica e non si esaurisce in una ricchezza linguistica senza pari, in un utilizzo geniale del parlato, nella rivendicazione della sprezzante vivacità del motteggio popolare, nell’interruzione forzata (attraverso i puntini di sospensione) di un discorso che in realtà si snoda libero e ininterrotto come un flusso di coscienza, si compie nel momento in cui tutto questo magnifico rigoglio espressivo si mette al servizio di una personale confessione.

Céline, medico e scrittore, è prima di ogni altra cosa uno psicologo acutissimo, un “collezionista” di verità; del vero quest’uomo non ha paura, non teme di guardare negli occhi il suo prossimo e di indovinarne i luoghi oscuri, né si ritrae dinanzi alle leggi non scritte che governano il mondo e i rapporti tra gli uomini. Vanità da blandire, ossequi da dispensare al potente di turno, tradimenti da perpetrare per ottenere vantaggi, meschinità nelle quali rotolarsi, come maiali nella mota, per una vita intera, coscienze talmente anestetizzate da accettare mute qualsiasi genere di orrore: il campionario di delitti che Louis-Ferdinand Céline offre a se stesso e ai suoi lettori non manca di nulla, e lui lo espone come merce al mercato, gridando a piena voce per attirare quanti più clienti possibile.

Delle altrui miserie Céline non sente responsabilità alcuna, per questo le esibisce, se non con fierezza, con una sorta di rassegnato compiacimento; per l’umanità lo scrittore francese non sente fratellanza, né è spinto a una compassione di facciata; il suo amore (comunque mutilato da una sofferenza viva e da unintelligenza spietata) lo riserva agli animali (il gatto Bébert), alla moglie, a pochissimi amici; il resto non è che distruzione, apocalisse, vendetta (dell’uomo sull’uomo, naturalmente, di Dio non vale neppure la pena di parlare), e macerie per i sopravvissuti. Ed è proprio tra le macerie (quelle terribili della Germania tra il 1944 e il 1945) che Céline ambienta una delle sue opere migliori, Da un castello all’altro, primo capitolo della Trilogia del Nord (che comprende anche Nord e Rigodon, a questa pagina le recensioni di tutte le opere), una peregrinazione dolorosa e disperata in un Paese stremato, vinto, nel quale la mancanza di tutto spinge gli uomini alle peggiori turpitudini. All’inferno in terra Céline assiste come si assiste allo spettacolo terribile della propria casa in fiamme, a volte imprecando, maledicendo, a volte sussurrando, in attesa che la pioggia, o forse soltanto lo scorrere del tempo, spenga il fuoco.

Viaggio indimenticabile nel cuore dell’uomo, Da un castello all’altro è un romanzo impossibile da dimenticare. Non c’è innocenza nelle sue pagine (del resto, come scrive Guido Ceronetti proprio a proposito di Céline, “scrivere non è un mestiere innocente”), ma è proprio con questa purezza perduta che dobbiamo fare i conti; è un compito cui non possiamo sottrarci.

Eccovi l’inizio (la traduzione, nella bellissima edizione Einaudi-Gallimard che mi permetto di consigliarvi, è di Giuseppe Guglielmi).

Per parlare con franchezza, qui fra noi, finisco ancora peggio di come ho cominciato… Oh, non ho cominciato molto bene… sono nato, lo ripeto, a Courbevoie, Senna… lo ripeto per la millesima volta… dopo tanti va e veni termino veramente al peggio… c’è l’età, mi direte… c’è l’età!… si capisce!… a 63 anni e passa, diventa estremamente duro rifarsi una posizione… rilanciarsi a clientela… qui oppure là!… Vi dimenticavo!… io sono medico… la clientela medica, in confidenza, fra voi e me, è mica soltanto questione di scienza e di coscienza… ma innanzitutto, e soprattutto, di fascino personale… il fascino personale passati 60 anni?… puoi fare ancora il manichino, porcellana al museo… forse?… interessare qualche maniaco, cercatore di enigmi?… ma le signore? il vecchione tutto a lustro, profumato, pitturato, laccato?… spaventarmeli! clientela, no clientela, medicina, no medicina, ti rivolta lo stomaco!… se è tutto imbottito d’oro?… ancora!… tollerato? hmm! hmm!… ma la canizie povera?… a cuccia! Ascoltate un po’ le clienti, seguendo i marciapiedi, i negozi… si parla di un giovane collega… «oh, sa, signora!… signora!… che occhi, questo dottore!… ha capito immediatamente il mio caso!… mi ha dato certe gocce da prendere! mezzogiorno e sera!… che gocce!… questo giovane dottore è una meraviglia…». Ma aspetta un po’ per te… che si ragioni di te!… «Scorbutico, sdentato, ignorante, scaracchioso, gobbo…» il tuo conto è chiuso!… la parlativa delle donne è sovrana!… gli uomini rigirano le leggi, le donne si occupano solo di ciò che è serio: l’Opinione!

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