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Il trillo del diavolo

Recensione di “Doctor Faustus” di Thomas Mann

recensione Thomas Mann, Doctor Faustus
Thomas Mann, Doctor Faustus, Mondadori

 

Il demonio, si sa, si nasconde nei dettagli, e di dettagli, presentati al lettore in forma di riflessioni, approfondimenti, digressioni, allegorie, teorizzazioni, è ricchissimo Doctor Faustus di Thomas Mann, forse l’opera più colta e tormentata del grande autore tedesco. Iniziato nel 1943 e terminato due anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, questo romanzo, che racconta la tragica esistenza di un compositore, Adrian Leverkühn, che stringe un accordo con il diavolo e in cambio dell’eterna dannazione riceve in dono anni di geniale creatività musicale, durante i quali scrive componimenti grandiosi e immortali, è la magniloquente rappresentazione di una sconfitta.

La Germania, che in quella dolorosa congiuntura storica pagava il prezzo del delirio nazista e veniva travolta dalla guerra che per prima aveva scatenato, quel Paese perduto, derubato d’ogni umanità, è il teatro d’elezione di un dramma allo stesso tempo fiammeggiante e crepuscolare, che riassume, nel colpevole destino di un uomo, le eterne responsabilità di un popolo e di una nazione.

Il doppio binario lungo il quale corre l’intera vicenda è fin dal principio esplicitato da Mann, che affida il racconto delle traversie di Leverkühn alla penna del suo più caro amico, l’umanista Serenus Zeitblom, un uomo che ha consacrato se stesso agli studi classici e che, ormai vecchio, chiuso nella sua casa di campagna in compagnia della moglie (mentre i suoi figli, fedeli servitori del Führer, sono al fronte), scrive del grande musicista scomparso mentre intorno a lui la sua amata terra, profanata prima dai nazisti e ora dalle truppe nemiche, brucia tra esplosioni di bombe e rombi di cannone, si consuma tra fiamme che sono la più tetra e impressionante materializzazione del perenne fuoco infernale.

Lo Zeitblom classicista è insieme una chiarissima scelta etica e un preciso indirizzo stilistico; un uomo votato alla cultura, all’amore incondizionato per i libri e per le più sublimi produzioni dello spirito umano è infatti il miglior contraltare possibile alla barbarie dittatoriale, che attraverso il suo “diario” Mann denuncia a più riprese e senza mezzi termini – splendido e terribile è il punto in cui il lucido j’accuse  dello scrittore raggiunge l’acme e in poche, densissime righe paragona lo stato della Germania uscita sconfitta dalla Grande Guerra con quello, ben peggiore, in cui si trova nel momento in cui il protagonista scrive: “Il tempo del quale scrivo fu per noi tedeschi l’epoca del crollo dello Stato, della capitolazione, della rivolta per esaurimento, dell’impotente consegna nelle mani dello straniero. Il tempo nel quale scrivo per affidare ai fogli queste memorie nel mio tranquillo ritiro porta nel grembo orribilmente gonfio una catastrofe della patria al cui confronto la sconfitta di allora sembra una sciagura moderata, la ragionevole liquidazione di un’impresa sbagliata […]. Che si avvicini, che non si possa più arrestare, credo che ormai nessuno dubiti menomamente […]. Che rimanga sotto silenzio è anch’esso un fatto terrificante, giacché, se è già pauroso pensare che in una gran folla di accecati alcuni pochi coscienti debbano starsene con le labbra suggellate, l’orrore è completo quando tutti ormai sanno, ma sono costretti a tacere e l’uno legge la verità negli occhi sfuggenti o angosciosamente sbarrati dell’altro”.

Ma Zeitblom è anche colui che tiene le redini del racconto (ed ecco lo stile), colui che brama la bellezza della forma, la perfezione intrinseca del periodo, e che si illude (perché non può farne a meno) di stemperare l’orrore della parabola esistenziale dell’adorato Adrian Leverkühn nell’abbacinante magnificenza della costruzione linguistica.

E così il cammino del musicista verso la perdizione (la sua precoce intelligenza, la piena coscienza dei propri talenti, non disgiunta da arroganza, il fondamentale rapporto con un entusiasta insegnante di musica, che lo segnerà per sempre, e infine l’incontro con una prostituta, dalla quale contrarrà la sifilide, malattia che, nel suo progredire, assumerà le fattezze del demonio e lo porterà a siglare con lui, o meglio con la sua allucinata visione, il più sciagurato dei patti) viene esposto in uno stile ampolloso, ricercatissimo, vibrante d’emozione, quasi fosse il testamento di un grande della storia.

Del resto, grande, immortale perfino, Leverkün è stato davvero. A questo personaggio d’invenzione, infatti, Mann atttribuisce la rivoluzione della tecnica dodecafonica inventata da un suo contemporaneo, Arnold Schönberg. Di questo nuovo modo di scrivere musica l’autore parla approfonditamente, penetrando fin nel cuore dell’idea e sottolineandone, ancora una volta in chiave etica, lo scopo ultimo: restituire ordine alla musica intesa come esclusivo arbitrio della soggettività.

Doctor Faustus è un romanzo infinito, è un peregrinare continuo tra letteratura, filosofia, teologia, tra le molteplici creazioni dell’ingegno umano.  È un’opera disperata, è la coscienza del fallimento di un’epoca e di una generazione, è un appassionato canto del cigno. Ma è anche un romanzo nel quale l’umanità, nel senso più nobile e puro del termine, rifulge, malgrado ovunque intorno ad essa calino inesorabili tenebre di morte.

Eccovi l’incipit (la traduzione è di Ervino Pocar). Buona lettura.

Se a queste notizie sulle vicende del defunto Adrian Leverkühn alla prima e certo molto provvisoria biografia dell’uomo diletto, così terribilmente provato, innalzato e abbattuto dal destino, alla vita del geniale musicista premetto alcune parole su me stesso e sulle mie condizioni, dichiaro in modo assoluto che non lo faccio per il desiderio di mettere avanti la mia persona. M’induce a questo passo unicamente la supposizione che il lettore – dirò meglio, il futuro lettore, poiché per il momento non sussiste ancora la minima probabilità che questo scritto veda la luce, – a meno che, per un miracolo, esso possa lasciare la nostra fortezza europea minacciata da tutte le parti e recare a quelli di fuori un vago sentore dei segreti della nostra solitudine; – mi sia permesso di ricominciare: solo perché prevedo che si sentirà il desiderio di sapere almeno approssimativamente qualche cosa sul conto dello scrivente, solo per questo premetto alle mie rivelazioni alcune poche notizie su me stesso: non senza la tema, beninteso, di spingere proprio così il lettore a chiedersi se è in buone mani, vale a dire se io, in vista di tutta la mia esistenza, sia veramente uomo da assumermi un compito al quale mi spinge forse più il cuore che qualsiasi altra affinità giustificatrice.

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