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La natura liquida dell’amore

Recensione di “Camere separate” di Pier Vittorio Tondelli

Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Bompiani
Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Bompiani

Nella cronaca impotente, nella memoria nuda di una storia d’amore troncata dall’incomprensibilità della morte, Pier Vittorio Tondelli si racconta con accenti di straziante sincerità. In una prosa che appare timida, ritrosa, e che ha il suono flebile del sussurro, l’autore sceglie la trasparente semplicità della confessione per cercare di dar forma al proprio mondo interiore in tumulto, per provare a mettere ordine in un’esistenza spesa tra meraviglia e passione, e inseguita, bramata e posseduta, anche se mai fino in fondo.


Camere separate, pubblicato da Bompiani nel 1989, è un romanzo di non comune potenza narrativa; un viaggio della carne e dell’anima nel labirinto inestricabile dei sentimenti, in quell’umanità contraddittoria, fragilissima e straripante che scintilla e rivela integralmente se stessa soltanto nel coinvolgimento amoroso.

Alter ego dichiarato di Pier Vittorio Tondelli è Leo, il protagonista del libro, scrittore di successo poco più che trentenne devastato dalla prematura scomparsa dellamato Thomas; nel ricordo della loro relazione Leo vive come un recluso, assaporandone la dolcezza, indugiando nella ricostruzione dei momenti di crisi, delle parentesi di buio (quasi fosse alla ricerca di una propria responsabilità, di un errore, di una colpa che potesse spiegare il suo lutto, il precipitare improvviso della fine, dinanzi alla quale ogni cosa, da un attimo con l’altro, ha cessato di avere un senso, una ragione), cercando il proprio cuore e il proprio spirito nel cuore e nello spirito della persona cui aveva deciso di donarsi. La scrittura di Tondelli, densa, carica di dolore e insieme gonfia di speranza, assettata di futuro, avida di promesse, procede per accumulo spingendosi consapevolmente verso un corto circuito che dà l’esatta misura dell’essenziale inconoscibilità dell’amore; tuttavia è proprio la natura liquida del sentimento, la sua incommensurabilità a conquistarci, ad attrarci irresistibilmente, come un canto di sirena, e questa seduzione l’autore la disegna in tutte le sue sfumature, nello splendore abbagliante ed effimero dell’attrazione fisica come nel bisogno quotidiano dell’altro, nell’abitudine della vita di coppia (cui i giovani guardano con un misto di desiderio e diffidenza) e nei suoi caldi chiaroscuri.

“Amore è ora un corpo longilineo e asciutto”, scrive Tondelli narrando il primo incontro intimo tra Thomas e Leo “dalle membra ancora adolescenti, morbide, sinuose e nobili. È un viso allungato dalle forti mascelle squadrate. È una coppia di occhi intensi e neri su cui, ogni tanto, ricade un ciuffo di capelli color miele scuro. È un particolare modo di muovere le mani o di lasciarle penzolanti, parallele alle gambe. È finalmente una voce, l’intonazione di un bacio soffocato, l’emozione di una risata aperta e squillante”; e dal corpo, descritto con una cura e un’attenzione e una dolcezza che hanno la forma purissima di una dichiarazione d’amore, lo scrittore di Correggio trova la via d’accesso per l’anima, in primo luogo per la sua, per quel luogo di sole e d’ombra dove l’uomo vive davvero, e dove soltanto le parole, le parole che si scelgono (nello stesso modo in cui si scelgono le persone) possono giungere: “Prende in corpo in lui il progetto di scrivere libri per dieci, venti persone. Dei libri espressamente destinati a chi può comprenderlo, agli amici di cui si fida. Che lo rispettano, che gli prestano attenzione, che non giudicano se ha fatto una cosa buona o cattiva, ma che interpretano la disponibilità di partenza, la sua necessità di raccontare qualcosa a qualcuno”.

Storia di una necessità, racconto di un bisogno, confessione di un amore, riassunto di una vita e del suo brusco abbraccio con la morte (il romanzo, che in qualche modo si apre con la scomparsa di Thomas, trova una sua tragica circolarità nella malattia incurabile di cui soffre Leo, e che Tondelli accenna nelle ultima pagine del libro, richiamandosi alla sua situazione reale, all’Aids che l’aveva colpito e che l’avrebbe condotto alla morte nel 1991, a soli 36 anni d’età), Camere separate è un magnifico e crepuscolare romanzo “di parole”; è il testamento letterario di un uomo e di un amante che, con limpida innocenza, affida alla scrittura la propria voce, il proprio affanno esistenziale, la propria disperata volontà di vita.

Eccovi l’incipit. Buona lettura.

Un giorno, non molto distante nel tempo, lui si è trovato improvvisamente a specchiare il suo viso contro l’oblò di un piccolo aereo in volo fra Parigi e Monaco di Baviera. All’esterno, ottomila metri più sotto, la catena delle Alpi appariva come un’increspatura di sabbia che la luce del tramonto tingeva di colori dorati. Il cielo era un abisso cobalto che solo verso l’orizzonte, in basso, si accendeva di fasce color zafferano o arancione zen.

Inquadrato dalla ristretta cornice ovoidale dell’oblò il paesaggio gli parlava del giorno e della notte, dei confini fra i mondi della terra e dell’aria e da ultimo, allorché si accese una luce nella carlinga e su quell’olografia boreale apparve il riflesso del suo volto appesantito e affaticato, anche del sé. La sua faccia, quella che gli altri riconoscevano da anni come “lui” – e che a lui invece appariva ogni giorno più strana, poiché l’immagine che conservava ogni giorno del proprio volto era sempre e immortalmente quella del sé giovane e del sé ragazzo – una volta di più gli parve strana. Continuava a pensarsi e a vedersi come l’innocente, come colui che è incapace di fare del male e di sbagliare, ma l’immagine che vedeva contro quello sfondo acceso era semplicemente il viso di una persona non più tanto giovane, con pochi capelli fini in testa, gli occhi gonfi, le labbra turgide e un po’ cascanti, la pelle degli zigomi screziata di capillari come le guance cupree di suo padre. In sostanza un viso che subiva, come quello di ogni altro, la corruzione e i segni del tempo.

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