Recensione di “Le avventure di Lufock Holmes” di Cami

Con ogni probabilità, il mystery, con le sue filosofiche implicazioni sul significato della verità e della sua ricerca, e con la metafisica convinzione dell’esistenza di un ordine razionale del mondo che il delitto sconvolge e la sua soluzione ripristina, più di ogni altro genere narrativo presta il fianco alle dissacranti sottigliezze e ai puntuti affondi dell’ironia. C’è infatti qualcosa di assolutamente irresistibile nel prendersi gioco della superiore facoltà del raziocinio e del suo infallibile procedere, nel mettere alla berlina la tanto decantata perfezione dell’intelletto, capace (ma solo nel migliore dei mondi possibili, e dunque non nel nostro) di riportare alla luce ciò che è nascosto, di legare in una solida e conseguente catena di connessioni indizi che a prima vista paiono non avere tra loro nulla in comune.
Maestro di questo humour lieve e spietato, che veste di sgargianti panni giullareschi una severa critica del primato della logica e dell’ottimistica (e in ultima analisi irrazionale) fiducia che gli uomini in essa pongono, è il francese Pierre Louis Adrien Charles Henry Cami, artista originalissimo e “dal multiforme ingegno”, attore teatrale, illustratore e scrittore, grande amico di Charlie Chaplin (che lo definì il più grande umorista del mondo, o per citar con maggior esattezza, “le plus grand humoriste in the world”) e inventore del bizzarro alter ego del più grande investigatore della storia della letteratura: Sherlock Holmes. Alla mente deduttiva dell’eroe di Conan Doyle, Cami, nella sua splendida opera intitolata Le avventure di Lufock Holmes, oppone, in una serie di brevi storie dal ritmo incalzante, raccontate con una prosa chiassosa, esplosiva, ricca di trovate, invenzioni e gag fulminanti, Lufock Holmes, “detective deduttivo dalla testa ai piedi”, prima vittima del suo inarrestabile ragionare.
Il personaggio di Conan Doyle, comicizzato in Lufock Holmes (assonanza da “loufoque” = svitato, pazzo) ricorre tanto spesso nelle “fantasie” di Cami, da divenire in certo senso emblematico, proprio perché la razionalità presuntuosamente oggettiva dell’inglese costituisce un complementare ed irresistibile stimolo alla logica folle, che regge il suo universo. Cami non inventa niente ex novo. I suoi personaggi e le sue storie sono lì, nella conversazione quotidiana, nella cronaca, nella letteratura colta e popolare, nell’aneddotica, in quel repertorio senza fondo, che è il bagaglio culturale dell’uomo comune. È sufficiente esaminarlo con la lente di Lufock. Cami è una “forza”. È un torrente che piomba a cascata dalle altezze vertiginose dell’assurdo, si frange e si sparpaglia nei mille mulinelli degli intrighi più strampalati, svirgola rapidissimo nelle gole dell’incongruo e del nonsense, per poi sfociare, libero dalle restrizioni dell’ovvio e del “buon senso”, nel grande mare compensatore del riso, che tutto esorcizza.