Vai al contenuto
Home » Recensioni » È la nostra vita la sola possibile misura del tempo

È la nostra vita la sola possibile misura del tempo

Recensione di “Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati

Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, Mondadori
Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, Mondadori

“Ma altre volte […] la mia vita effettiva […] mi appariva come una parte di realtà che non era fatta per me, contro la quale non c’era possibilità di ricorso, in seno alla quale non avevo alleati, e dietro la quale non si nascondeva niente. Mi sembrava, in quei momenti, di esistere nello stesso modo degli altri uomini, che sarei invecchiato, che sarei morto come loro, e che in mezzo al mucchio sarei stato semplicemente uno dei tanti”. Probabilmente, nessuno più di Marcel Proust ha compreso che il senso del tempo non è qualcosa di astratto ma coincide con quello della nostra esistenza e che il futuro, che specie in giovane età immaginiamo, abita là dove prende forma quel che desideriamo, dove coltiviamo le gioie più segrete in attesa di dar loro espressione, verità, vita.

In questo senso, Il deserto dei Tartari, il romanzo più noto di Dino Buzzati, pubblicato nel 1940, è un’opera squisitamente proustiana, fin dal suo concepimento, originato, per ammissione dell’autore, “dalla monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l’idea che quel tran-tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell’esistenza ad orario nelle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva”. L’universale tema del sogno e della ricerca della sua realizzazione che dapprima si fa dubbio, poi paura di fallire e infine, di fronte all’incolmabile abisso che separa quel che è da ciò che vorremmo (e che per un tratto di strada crediamo perfino di aver diritto di ottenere), muta in aperta disillusione, in disperata afflizione, si raccoglie in Proust nell’intimità sconfinata del ricordo personale, mentre Buzzati lo affida all’invenzione creatrice della fantasia, alla sua suggestiva potenza creatrice. Così, l’io proustiano che apertamente confessa se stesso, ne Il deserto dei Tartari lascia spazio al personaggio del sottotenente Giovanni Drogo, pallido alter ego dello scrittore bellunese, e la vita quotidiana del giovane Marcel cede il passo al destino militaresco di Drogo, inviato a prestare servizio nella lontana e isolata Fortezza Bastiani, avamposto costruito agli estremi confini settentrionali di un regno uguale e nel medesimo tempo diverso da qualsiasi altro regno, un tempo presidio strategico ma ora poco più che superflua memoria di un passato glorioso. Tra i camminamenti, le sale e i cortili della Fortezza, Drogo consuma la sua intera vita nella vana attesa di un attacco nemico, lentamente sprofondando nell’uniformità di giorni, mesi e anni tutti uguali, nelle sabbie mobili di una promessa il cui mantenimento è costantemente differito. Proust e il suo destino letterario inseguito fino alla morte tra caparbietà e frustrazione, e Drogo-Buzzati, alla ricerca di sé nell’orizzonte vuoto e immobile che circonda la fortezza (nel medesimo tempo sua casa e sua prigione), si incontrano nell’attimo, sospeso e dilatato a dismisura, che precede la consapevolezza del naufragio, in quello spazio, personale, intimo eppure condiviso da tutti, che trasforma la nostra ansia nella più dolorosa delle certezze.  

Intrisa di rassegnazione, di una sofferenza sussurrata e inevitabile, la prosa di Buzzati racconta con commossa partecipazione l’infelice eredità dell’essere al mondo; l’inutile ribellione di Drogo alla fortezza, cui non può rinunciare perché farlo significherebbe voltare le spalle alla sua stessa vita, si spegne da sé, quasi senza alcun sussulto degno di nota, nello stesso modo in cui il sonno sopraggiunge a concludere le nostre affannate ore di veglia: “[…] ma Giovanni capiva pure di non poter restare tutta la vita tra le mura della Fortezza. Presto o tardi qualche cosa bisognava decidere. Poi le abitudini lo riprendevano nel solito ritmo e Drogo non pensava più agli altri, ai compagni che erano fuggiti in tempo, ai vecchi amici che diventavano ricchi e famosi, egli si consolava alla vista degli ufficiali che vivevano come lui nel medesimo esilio, senza pensare che essi potevano essere i deboli o i vinti, l’ultimo esempio da seguire”. 
 
Eccovi l’inizio del romanzo. Buona lettura.
Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione. Si fece svegliare ch’era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò nello specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa cera un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo. Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide all’Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l’incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni uno ad uno, che sembrava non finissero mai.

6 commenti su “È la nostra vita la sola possibile misura del tempo”

  1. Buzzati è il mio autore preferito e ogni volta che vedo una recensione sul Deserto non riesco a resistere, devo commentare. Questo libro per me è più che un invito a cogliere l’attimo e vivere la vita, è più che il rimpianto per le speranza del giovane uomo ormai anziano e disilluso. Drogo, alla fine ne esce vincitore. E non si capisce perché. Dovrebbe essere il personaggio più patetico e più triste del libro, spoglio vecchio e solo. Ma ne esce ancora con coraggio e dignità. Buzzati ha continuato a scrivere articoli per il Corriere da quando è entrato, appena ventenne, fino a qualche giorno prima di morire. Dopotutto lui nella sua routine di giornalista un po’ ci credeva. Il mistero e la meraviglia di Buzzati stanno in questo delicatissimo equilibrio di terrore e dolcezza, un monumentale memento mori, che pesa sulla schiena di tutti, che non vogliono pensarci, che si affannano, che evitano la morte che cercano rifugio nella gloria, nella felicità del focolare, nella ricchezza nella scrittura. Leggi il Deserto dei Tartari e pensi: “No. io non farò così, la mia vita costruirà grandi cose, amerò tante persone”. Senza capire che siamo tutti Drogo, perché tutti dobbiamo morire. L’unica salvezza, in questa vita resta l’eleganza, quel minimo di dignità che non ci fa scoppiare a piangere ogni minuto per la caducità dell’essere umano.

    P.S. complimenti per i 19 di Google+ è incredibile! 🙂

    1. Ti ringrazio molto. Buzzati è un autore che amo molto anche io, anche se quel che più apprezzo di lui è la sua vena fantastica, quel surrealismo sognante che tuttavia ha agganci fortissimi con la realtà e che a mio avviso raggiunge la perfezione nei racconti de “La boutique del mistero”. Se ti interessa nel blog ci sono altri Buzzati, a partire proprio da questo libro di racconti

      1. Certo che mi interessa! Tu passa da me…troverai il Buzzato più estremo…da una parte gli articoli di cronaca nera raccolti da Mondadori, dall’altra quello più intimo di Un amore…e capirai che è lo stesso di fiabe e racconti..;) ciao!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *