Vai al contenuto
Home » Recensioni » Tra il dio dell’amore e il dio della guerra

Tra il dio dell’amore e il dio della guerra

Recensione di “Marte in Ariete” di Alexander Lernet-Holenia

recensione - Alexander Lernet-Holenia, Marte in Ariete, Adelphi
Alexander Lernet-Holenia, Marte in Ariete, Adelphi

Da una parte la danza dionisiaca dello spirito, l’immateriale universo di pensieri, desideri e sentimenti il cui respiro libero non conosce restrizioni di sorta e ignora, con fanciullesca indifferenza, persino l’ordinato scorrere del tempo e le leggi della fisica; dall’altra l’imperio soffocante della materia, la dittatura spietata del reale, contro cui anche il più nobile dei sogni è destinato a infrangersi.


Sono questi gli estremi lungo i quali si muove Marte in Ariete di Alexander Lernet-Holenia, romanzo di squisita raffinatezza, geniale e ricchissimo, che nel suo ellittico, iperbolico e grottesco narrare denuncia l’orrore fisico della guerra e la notte etica del nazismo con il tono gaio di un canto e la prosa vivace e primaverile di uno scherzo ben orchestrato, muovendosi con grazia e funambolica maestria lungo il sottile confine che separa verità e immaginazione. Nato da un’esperienza personale insieme curiosa e drammatica – Lernet-Holenia, che era stato ufficiale dell’esercito asburgico durante il primo conflitto mondiale, venne richiamato in servizio alla vigilia dell’invasione tedesca della Polonia – il romanzo ha il suo apparente protagonista nell’alter ego dell’autore (“un certo Wallmoden”), ma la sua avventura, nettamente distinta nelle due parti in cui si divide l’opera, non è che un pretesto per raccontare ben altro, e cioè il fiorire di un’anima toccata dall’amore e il suo successivo sacrificio, compiuto in nome di un dovere universale; più forte, certo, del destino di un singolo, ma per questa ragione anche talmente impersonale da risultare spogliato di qualsiasi umanità.

Di stanza nei pressi Vienna, Wallmoden, senza neppure capire bene come, conosce l’affascinante e misteriosa baronessa Pistohlkors, della quale immediatamente si invaghisce, ma la donna, indecifrabile di carattere e sfuggente nei modi, finisce per attirarlo in un intricato gioco di seduzione nel quale ben presto si perde. In pari tempo cacciatore e preda, Wallmoden, ormai quasi del tutto dimentico del suo ruolo di ufficiale (a ricordargli chi è, e per quale motivo si trova a Vienna, è soltanto la decisione di farsi fare un paio di stivali nuovi, che darebbero maggior lustro alla sua uniforme), vive in una languida atmosfera di sogno, in un mondo nuovo dai contorni sfumati, nel quale la sola “realtà” è proprio la persona che si sforza in ogni modo di conquistare. Attorno a lei, come attori di una commedia, ruotano figure altrettanto inafferrabili, perdigiorno dai modi assai originali e dalla conversazione brillante che sembrano sapere tutto di Wallmoden, persino quali saranno le sue prossime mosse.

Eppure, per quanto fonte di continuo imbarazzo, l’oscurità che circonda l’ufficiale Wallmoden è mille volte preferibile all’ordine e alla chiarezza del reggimento di cui fa parte, perché nella nebbia artificiale di quel corteggiamento senza capo né coda egli è vivo e consapevole di esserlo, è uomo, e lo è pienamente, mentre nel rigore e nella disciplina militaresca, nella chiarezza assoluta dell’ordine gerarchico, nel trasparente significato di simboli e parole d’ordine tutto ciò che lo caratterizza e distingue, rendendolo individuo, non ha alcun diritto di cittadinanza. 

Finché, d’improvviso come era cominciata, la lucida follia di Wallmoden si spegne nell’urgenza dei preparativi di guerra, e quel che un attimo prima era soltanto l’ultima notte da trascorrere prima di poter passare la giornata accanto alla baronessa finalmente conquistata non diventa il tempo brutale dei preparativi e delle marce alla volta del confine. E allora è il vento della realtà a spazzare via le nubi dell’eccitazione e della fantasia; sono i soldati estenuati dalla fatica e spaventati da ciò che li aspetta a sostituirsi agli uomini e ai ragazzi la cui vita è come rientrata in sé, ammutolita; è il caldo soffocante e maligno dell’estate declinante ma ancora vigorosa a bersagliare coloro che fino a qualche ora prima accarezzava gentile sussurrando suadenti promesse. 

Potente e incisiva, bizzarra e lieve, la sinfonia letteraria di Marte in Ariete si contraddistingue per il seducente contrappunto lirico e la garbata ironia che l’attraversano. La sua bellezza conquista tanto quanto la sua puntualità impressiona, perché Lernet-Holenia, esteta del sogno al pari del Cervantes autore del Don Chisciotte raccontato da Borges, è anche lucida coscienza del suo tempo e delle tenebre che lo hanno avvolto.

Eccovi l’incipit del romanzo (la traduzione, edizione Adelphi, è di Enrico Arosio). Buona lettura.

All’inizio dell’estate 1939, il protagonista – per non dire l’eroe – di questo veridico racconto, un certo Wallmoden, decise che con il 15 di agosto avrebbe cominciato un’esercitazione militare, assolvendo così un suo dovere. Tuttavia, gli sarebbe stato difficile dire il perché aveva scelto quella data e non un’altra. Infatti avrebbe potuto benissimo decidersi per il 1° settembre, anzi sarebbe stato più logico – e certo in seguito le differenze sarebbero state notevoli; e nessuno avrebbe avuto qualcosa da ridire nemmeno se egli si fosse presentato, poniamo, il 15 settembre o addirittura il 1° ottobre. Eppure raggiunse il suo reggimento, come abbiamo detto, già il 15 agosto. Più tardi dichiarò che quella data l’aveva escogitata di proposito, senza però aggiungere in base a che cosa. Aveva avuto la sensazione, disse soltanto, che qualcuno lo attendesse là proprio quel giorno. Ma chi poteva essere mai? Impossibile infatti che qualcuno lo aspettasse davvero al reggimento. Ancora nessuno lo conosceva, e quindi di sicuro il servizio non sarebbe stato differito per la sua assenza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *