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Il pensiero libero, maledetto dalla tirannide

Recensione di “Etica” di Baruch Spinoza

 

Baruch Spinoza, Etica
Baruch Spinoza, Etica

Assiomi, definizioni. E proposizioni rigorosamente dimostrate. E infine corollari e scolii. Un impianto certo, solido, mutuato dal procedere della geometria per spiegare nel modo più chiaro e distinto possibile la realtà (dunque Dio e la natura, considerate una sola e medesima sostanza, e insieme l’uomo, il suo carattere e il suo modo di condursi nel mondo).


Questa l’architettura, magnifica e ardita, dell’Ethica ordine geometrico demonstrata di Baruch Spinoza, filosofo geniale e “maledetto”, interprete di una razionalità moderna, intransigente e pura; sprezzante nel rifiutare ogni compromesso, ogni debolezza, e nobile nel porsi come unica, insostituibile stella polare di un’esistenza degna e autenticamente virtuosa. Fiero avversario di tutti i nemici della libertà di pensiero (dogmatismo, superstizione, uso tirannico della religione), Spinoza è un pensatore “empio” ed “eretico” (accuse che gli vennero mosse al momento della sua espulsione dalla comunità ebraica di Amsterdam e di nuovo gli furono rinfacciate in occasione della pubblicazione del Tractatus theologico-politicus) nella misura in cui è, aristotelicamente, un discepolo del vero. La conoscenza adeguata della natura (dunque di Dio) e tutto ciò che da questo conoscere si può dedurre con assoluta certezza è infatti la sola autorità che egli riconosce e alla quale è disposto a sottomettersi; una volta stabilito che cosa debba intendersi per Dio, che cosa per natura, una volta determinati i loro attributi (conoscibili soltanto nelle forme dell’estensione e del pensiero), una volta dimostrato che l’uomo è semplicemente parte della natura e non “il fine ultimo della creazione”, e che egli non è libero nella misura in cui crede di esserlo ma lo è, in un senso molto più forte, quando “agisce secondo le leggi della propria natura sforzandosi di conservare il proprio essere”, ecco gettate le fondamenta di un’etica “di ragione” che, come scrive Silvano Tagliagambe dopo aver rilevato come la filosofia spinoziana abbia interessato perfino Antonio Damasio, uno dei maggiori neuroscienziati contemporanei, “rivela un’impostazione sorprendentemente attuale dell’annosa questione del rapporto tra la mente e il corpo […]. Un certo grado di felicità deriva dall’agire in conformità con la nostra tendenza all’autoconservazione […] il bene e il male non sono rivelati, ma vengono scoperti, sul piano individuale, proprio attraverso i dispositivi per l’autoconservazione di cui siamo dotati, appetiti ed emozioni naturali ma anche la capacità di conoscere e ragionare […]. Buone sono allora da considerarsi le azioni che, mentre recano vantaggio all’individuo, non ne danneggiano altri […]. Spinoza ci sta dunque dicendo che la felicità coincide con il potere di essere liberi dalla tirannia delle emozioni negative. La felicità, di conseguenza, non è una ricompensa per la virtù: è la stessa virtù”.

Umanista sincero e profondissima mente analitico-speculativa, Spinoza visse con dignità estrema il proprio destino di filosofo (che egli identificò nella beatitudine tutta terrena di una vita teoretica), sopportando con pazienza e fortezza d’animo affanni, tribolazioni e inimicizie, conseguenza di un’autonomia di pensiero cui non volle mai rinunciare.

Eccovi, in luogo dell’incipit, parte dell’appendice alla prima parte dell’Ethica, nella quale Spinoza dimostra quanto sia illusorio il concetto di libertà che gli uomini applicano a se stessi e quanto assurda l’argomentazione sulle cause finali e specialmente su Dio come principale causa finale. Buona lettura.

Basterà qui porre come fondamento ciò che tutti devono riconoscere: cioè che tutti gli uomini nascono senz’alcuna conoscenza delle cause delle cose, e che tutti hanno un appetito di ricercare il loro utile, e ne hanno coscienza. Da ciò segue infatti, in primo luogo, che gli uomini credono di essere liberi perché hanno coscienza delle proprie volizioni e del proprio appetito, mentre alle cause dalle quali sono disposti ad appetire e a volere non pensano neanche per sogno, poiché non ne hanno conoscenza. Segue in secondo luogo che gli uomini agiscono sempre in vista d’un fine, cioè in vista dell’utile che appetiscono, donde accade che essi bramino sempre di conoscere soltanto le cause finali delle cose compiute, e si acchetino appena le abbiano apprese, perché, cioè, non hanno più nessuna ragione di proporsi altri dubbi […]. Poiché, inoltre, in sé e fuori di sé, trovano non pochi mezzi che contribuiscono non poco al raggiungimento del loro utile, come, per esempio, gli occhi per vedere, i denti per masticare, le erbe e gli animali per l’alimentazione, il sole per illuminare, il mare per nutrire pesci; da ciò è accaduto che essi considerino tutte le cose della natura per il conseguimento del loro utile. E poiché sanno d’aver trovato questi mezzi, ma non di averli apprestati, hanno tratto da ciò motivo per credere che ci sia qualche altro che li abbia apprestati per il loro uso […]. E quindi hanno ammesso che gli Dei dirigano tutte le cose per l’uso degli uomini allo scopo di legarli a sé e di essere tenuti da essi in sommo onore: dal che è derivato che ciascuno ha escogitato secondo il proprio modo di sentire maniere diverse di prestar culto a Dio affinché Dio lo amasse al di sopra degli altri e dirigesse tutta la natura a profitto della sua cieca cupidigia e della sua insaziabile avidità. 

6 commenti su “Il pensiero libero, maledetto dalla tirannide”

  1. Mi ricordo di un racconto di Singer “Dobbe nera”,protagonista il dottor Fleishmann,lettore esclusivo/ossessivo dell’Etica,che vive in una soffitta di via Crochalma finché…se non l’hai presente spero averti incuriosito,merita.Gianni il postino.

    1. Nhu!Per fortuna che il consigliere letterario lo fai te.Il racconto in realtà s’intitola “Lo Spinoza di via del mercato”Ho proprio cannato indirizzo.Ho visto che ti piace singer,e questa assieme a Borges (un’altro dei tuoi preferiti)è l’unica traccia di spinozismo che mi veniva in mente.Comunque W Spinoza,W Marco Aurelio e W Montaigne.Ciao, ti seguo sul blog gianni il postin

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