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Il fantasy e la storia possibile

Recensione di “Conan di Cimmeria” di Robert E. Howard

 

Robert E. Howard, Conan di Cimmeria, Editrice Nord
Robert E. Howard, Conan di Cimmeria, Editrice Nord

L’arte, opposta alla vita. E l’avventura, prima sognata sui libri di altri e poi fatta propria, creata in un fiorire continuo di invenzioni, suggestioni e rimandi al mito, per contrastare la fatica dell’esistere con la libertà onnipotente della fantasia, per rendere inviolabile il rifugio costruito con l’immaginazione.


Il cammino letterario di Robert Ervin Howard, iniziatore del fortunatissimo genere dell’heroic fantasy (divenuto poi semplicemente fantasy), riconosciuto maestro dei romanzi di “cappa e spada”, scrittore infaticabile e uomo tormentato e solitario, morto suicida a soli trent’anni, riflette tanto la complessa emotività dell’autore (sempre sospesa tra paura e desiderio) quanto la sua particolare visione del mondo, un “dover essere” non privo di una certa ingenuità ma lucido, consapevole e soprattutto forte quanto riesce a esserlo l’afflato rivoluzionario dell’utopia. Così, ecco che accanto alla creazione “dal nulla” di un intero mondo, e all’elaborazione fantastica di una geografia eccezionalmente ricca di dettagli nella quale trovano spazio regni, imperi, libere città, e ancora oceani, isole, lande desolate e fredde, spazi desertici e terre selvagge, si fa strada la verosimiglianza di una datazione storica, l’individuazione di un tempo che diviene contesto di ciò che viene raccontato. In questo modo l’epica di Howard, violenta e scintillante nel suo eroismo come nella sua abiezione, pur calata in un universo fantastico perfettamente autosufficiente non abbandona mai del tutto quel che siamo abituati a considerare come realtà. I richiami dello scrittore americano al suo presente, o a qualsiasi altro contesto il lettore possa e voglia prendere come riferimento, sono numerosi e trasparenti, e poggiano proprio sull’idea forte del tempo, di un momento preciso nella storia del mondo nel quale avvenne ciò che l’autore (che, a condizione di accettare e rispettare l’illusione scenica alla base del suo lavoro, possiamo azzardarci a considerare come uno “storico”, o un cronachista), con stile sovrabbondante e immaginifico, si assume il compito di narrare, di tramandare. L’Era Hyboriana, dunque, senza alcun dubbio il capolavoro di Howard, è nella storia; nacque dodicimila anni fa e si sviluppò e morì nei millenni che intercorsero tra la distruzione di Atlantide e la comparsa dei primi documenti storici come li conosciamo; fu in quest’epoca caotica e turbolenta, splendida e terribile che visse e si distinse Conan, nerboruto barbaro proveniente dalla gelida Cimmeria, “che giunse a conquistare, nella maturità, la corona di uno dei regni più potenti”.     

Al pari di tutti i personaggi di Howard, Conan (il più noto insieme a Kull di Valusia) è un eroe moderno, complesso non tanto nella mentalità (è un barbaro, confida esclusivamente nella forza delle armi e nella sua intelligenza pratica e teme solo quel che non è in grado di comprendere, in modo particolare la magia), quanto nelle sfaccettature del carattere e nell’obbedienza a un codice morale da cui non sono alieni il compromesso, la vendetta sanguinosa, e quando occorre l’opportunismo. C’è il sogno nell’epopea fantasy di questo scrittore talentuoso, sensibile e ispirato, perché è il sogno il tratto distintivo di questo tipo di narrazione, spesso considerata (a torto, a mio avviso) fanciullesca e immatura, ma nelle sue storie a scontrarsi non sono il bene e il male schierati su opposti fronti (come per esempio accade nei romanzi di Tolkien, magnifici ma decisamente più lineari nell’architettura e nello sviluppo rispetto ai lavori di Howard), bensì gli uomini e le loro passioni, i loro desideri, le loro ambizioni e le loro viltà. L’eco lontana di civiltà scomparse, che la prosa howardiana ci restituisce viva, tumultuosa e palpitante, sussurra di conflitti eterni, di meraviglie e di catastrofi destinate a replicarsi finché esisterà colui che ne è la causa prima; l’uomo, in ogni tempo uguale a se stesso.  

Eccovi l’incipit del primo racconto contenuto nel volume Conan di Cimmeria, pubblicato da Editrice Nord. La traduzione è di G.L. Staffilano. Buona lettura.

Le ripide pareti di roccia nera si chiudevano su Conan come le ganasce di una tagliola. Non piaceva al cimmero il modo in cui i loro picchi frastagliati si intravvedevano contro le scarse stelle che scintillavano come occhi di ragno sul piccolo accampamento, posto sul fondo piatto della valle. Né gli piaceva il vento freddo, inquietante, che fischiava oltre le cime rocciose e vagava attorno al fuoco da campo. Esso faceva ondeggiare e palpitare le fiamme, e mandava mostruose ombre nere a tremolare contro l’aspra parete di roccia del lato più vicino della valle. 

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