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Il tempo non cancella niente

Recensione di “Un corpo nel lago” di Arnaldur Indridason

 
Arnaldur Indridason, Un corpo nel lago, Guanda
Arnaldur Indridason, Un corpo nel lago, Guanda

Una prosa commossa e amara, stretta ai ricordi e bagnata di rimpianto, disillusione e dolore; un presente che nasconde dentro di sé il passato come fosse una colpa e che d’improvviso si libera del rimorso mostrando ferite e cicatrici, esponendo all’incerto giudizio del mondo la propria vergogna: una grigia eredità di sopraffazione e morte. Una confessione, recitata come una preghiera, o balbettata come una richiesta di perdono, che si intreccia a un’indagine, a un caso, al sorprendente ritrovamento di un cadavere sul fondo di un lago islandese che, per imprecisate ragioni, si sta prosciugando.


Questo il contesto narrativo e tematico di Un corpo nel lago di Arnaldur Indridason, giallista islandese inventore dell’ombroso e tormentato agente di polizia Erlendur Sveinsson, protagonista di una ricca serie di romanzi (di uno di essi, Un caso archiviato, ho già scritto di recente in questo blog). Interamente costruita sullo scorrere del tempo, che l’autore fa coincidere con una progressiva (ma non per questo meno traumatica) presa di coscienza, con una violenta perdita dell’innocenza, con il feroce scardinamento di un’utopia politica e umana, quest’opera è un intenso dramma della memoria raccontato con gli accenti vibranti di un j’accuse e insieme con le cadenze ricche di suspense di un noir e di un thriller spionistico. In linea con il continuo alternarsi di scarti temporali, l’azione ha due differenti riferimenti geografici: il primo è Lipsia, dove, nei primissimi anni settanta, un gruppo di studenti islandesi di specchiata fede socialista viene invitato per studiare all’università; il secondo l’Islanda (che negli anni più cupi della Guerra Fredda aveva una grande importanza strategica ed era oggetto di un’aspra contesa tra America e Unione Sovietica), che nel restituire un corpo affondato decenni prima in un lago assieme a una ricetrasmittente riporta d’attualità la storia e i suoi orrori. Orrori che come un cancro si sono generati proprio a Lipsia, città modello di quella rivoluzione egualitaria che ha prima sedotto e poi brutalmente tradito intere generazioni. Nel dare voce alla sofferta rievocazione di uno di quegli studenti, che negli anni di Lipsia perse, oltre a tutto ciò in cui credeva, la donna che amava e ogni speranza di futuro, Indridason accompagna il lettore allo scoperta degli eventi che hanno condotto all’omicidio dell’uomo ricomparso sul fondo del lago in secca svelando inconfessabili segreti e oscuri moventi sui quali, con estrema fatica, cercano di far luce Sveinsson e i suoi colleghi.

Abile a mescolare realtà e fantasia, lo scrittore islandese si offre con sincera partecipazione emotiva alla sua storia; dà corpo e credibilità al sostanziale senso di estraneità che i poliziotti provano verso una stagione ormai trascorsa che non hanno vissuto sulla propria pelle e che non conoscono se non per sommi capi, e con la quale ora, per colpa di un corpo non identificato, sono costretti a confrontarsi, e nello stesso tempo spalanca, dinanzi ai ricordi di un uomo vinto, ogni possibile forma d’espressione della sofferenza, dell’impotenza, di una sterile rabbia che non conosce requie: “A volte, quando ripensava al passato, sentiva l’odore del quartier generale di Dittrichring, la puzza soffocante di moquette sporca, sudore e paura. Ricordava anche il fetore acido dello smog di carbone che aleggiava sopra la città e che alle volte oscurava persino il sole […]. Tornò in sé sentendo il dolore alla mano. Spesso, quando ripensava agli eventi accaduti in Germania Est, serrava i pugni finché le mani non gli facevano male. Rilassò i muscoli, si sedette sulla sedia, e si chiese, come sempre, se si sarebbe potuto evitare quello che era accaduto. Se avrebbe potuto fare qualcosa d’altro. Qualcosa per poter cambiare il corso degli eventi. Non arrivava mai a una conclusione”. Nel momento in cui il cerchio si chiude, e l’inchiesta, recuperati tutti i frammenti del passato, riesce finalmente a far luce sul mistero dell’uomo affogato nel lago, tutto quel che resta ai protagonisti è la consapevolezza, acuta e tragica, della propria fragilità, della propria assoluta insignificanza. Come fossero fatti di un’identica sostanza, eroismi e tradimenti, erosi dall’inarrestabile incedere degli anni, alla neutra luce del presente perdono di senso, d’importanza, di valore; a custodirli, come sogni, o più probabilmente come incubi, non restano che i cuori e le anime straziate di chi, una volta, scelse di farli propri, di incarnarli, di vivere in loro nome. “La questione è molto semplice” disse Lothar, “o sei comunista o non lo sei”. “No”, ribatté. “non hai capito, Lothar. O sei un essere umano o non lo sei”.

Un corpo nel lago è un romanzo doloroso e appassionante, una storia abitata in egual misura da pietà e miseria; è il resoconto, onesto e sincero, di una sconfitta.

Eccovi l’incipit. La traduzione, per Guanda, è di Silvia Cosimini. Buona lettura.

Rimase immobile a lungo a fissare le ossa, come se fosse impossibile che si trovasse lì. Almeno quanto lo era che ci si trovasse lei. All’inizio aveva pensato a una delle pecore che spesso annegavano nel lago, finché non si era avvicinata, aveva visto il cranio semisommerso sul fondo e aveva scorto le forme di uno scheletro umano. Le costole fuoriuscivano dalla sabbia. Sotto si distingueva il profilo delle ossa del bacino e dei femori. Lo scheletro era disteso sul fianco sinistro. La donna vedeva il lato destro del teschio, le orbite vuote e tre denti nell’arcata superiore.

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