Recensione di “La famiglia Karnowski” di Israel J. Singer
“Sii un ebreo in casa tua e un uomo quando ne esci” afferma David Karnowski rivolto al figlio neonato al termine della cerimonia di circoncisione. Resta fedele, con l’intelletto e il cuore, al tuo mondo, al tuo credo, alla verità, e vivi tra gli altri, allo stesso modo degli altri, in tutto ciò che, pur senza essere essenziale, non è privo d’importanza: l’istruzione, la lingua, il lavoro. Adoperati affinché due mondi, destinati a essere estranei l’uno all’altro, trovino in te un punto di contatto, un equilibrio, un’ombra di pace.
La benedizione pronunciata da David Karnowski, e la speranza che riverbera in essa, sono il filo conduttore e la chiave interpretativa del romanzo La famiglia Karnowski di Israel J. Singer (fratello maggiore del più noto Isaac, premio Nobel per la Letteratura nel 1978), imponente saga familiare che, nel raccontare le vicissitudini di tre generazioni, copre un arco di tempo che va dalla fine dell’Ottocento fino ai primi, drammatici anni della dittatura nazista. La prosa severa di Singer evoca inquietudine, spaesamento, precarietà; nelle sue pagine risuonano tanto il flebile sussurro della speranza, della preghiera e della supplica quanto la voce limpida e chiara della volontà, della fierezza, della dignità. In questi estremi opposti, nella quiete apparente carica di ansie e di tormenti delle donne, dei rabbini e degli studiosi, e nella lotta tenace, testarda degli uomini per l’affermazione, il prestigio, l’assimilazione e il riconoscimento, risuona l’eco di un’unica, amara consapevolezza: quella di essere ebreo, dunque straniero, sempre, in ogni tempo e in qualsiasi luogo. E’ una genealogia del dolore e dell’umiliazione quella cui dà vita e sostanza Israel J. Singer; egli dipinge in tutte le possibili sfumature di colore l’affresco tragico di un riscatto mancato (o meglio, di un riscatto impossibile), mostra senza reticenze l’intollerabile vergogna dell’identità sistematicamente violata, descrive, con disillusa onestà, il quotidiano martirio di chi, senza ragione, viene privato del diritto di essere se stesso. E nel trascorrere degli anni e nell’alternarsi delle generazioni, l’autore racconta, attraverso la vita di tre protagonisti – il capostipite David, razionalista, ammiratore di Moses Mendelssohn e seguace del suo approccio illuminista alla fede, che decide di abbandonare la natia Polonia e la soffocante ritualità superstiziosa della comunità hassidica d’appartenenza in favore della colta e aperta Berlino; il figlio Georg, che proprio a Berlino, dopo un’adolescenza turbolenta, diverrà medico di successo e sposerà, suscitando non poco scandalo, una gentile, una donna tedesca; e infine il nipote Jegor, a un tempo goy (non ebreo) ed ebreo, puro e impuro, ariano solo in parte, perseguitato allo stesso modo dall’orgoglio del padre e del nonno e dalle dementi teorie razziali del nazismo nascente, che individuano in lui un facile bersaglio – la fatica d’esistere di chi è costretto, con ogni mezzo, a guadagnarsi la sopravvivenza, il respiro, lo schiudersi degli occhi al giorno.
Tra gioie e sofferenze, rovesci e fortune, i Karnowski, e con loro migliaia di altri ebrei tedeschi, insediati in Germania da generazioni oppure immigrati da poco dall’est, alimentano con coraggio, disciplina, qualche volta persino con astuzia (è il caso dell’acuto commerciante Solomon Burak, uno dei caratteri più riusciti del romanzo, consapevole del fatto che agli occhi del mondo “l’ebreo è impuro ma i suoi soldi sono kasher” e pronto a sfruttare a proprio favore la seduzione irresistibile del denaro) il sogno ingenuo della patria, della condivisione. Tedeschi tra i tedeschi, gli ebrei si danno da fare per la prosperità della nazione, allo scoppio del primo conflitto mondiale combattono nelle trincee, muoiono, sopportano gli stenti dei durissimi anni del dopoguerra e infine si arrendono alla retorica distorta ma piena di fascino della “patria rinascente”, che, bisognosa di un nemico, di qualcuno cui addossare la responsabilità delle proprie sventure, decide di nutrire il proprio popolo (gli ariani, il puro sangue tedesco) d’odio e di cieco desiderio di vendetta. Ricomincia allora, per coloro che per tempo riescono a salvarsi dagli aguzzini saliti al potere, l’eterno peregrinare, questa volta al di là dell’oceano, nell’immensa, accogliente e misteriosa terra d’America, dove, spogliati di tutto tranne del loro essere ebrei, giungono i Karnowski. Di nuovo poveri, di nuovo miseri, di nuovo alla ricerca di un angolo dove essere, senza vergogna né colpa, ciò che sono dalla nascita: ebrei.
Romanzo partigiano ma mai insincero, potente nella prosa, incisivo nella capacità d’analisi, colto e di grande lucidità nella concezione della storia, dell’uomo, del male e del bene, frutto di un pessimismo deterministico che convince tanto quanto spaventa, La famiglia Karnowski è un’opera di notevole spessore. Il lavoro, magnifico (l’ultimo), di un grande scrittore.
Eccovi l’incipit. La traduzione, per Adelphi, è di Anna Linda Callow. Buona lettura.
I Karnowski della Grande Polonia erano noti per il loro carattere testardo e provocatore, ma allo stesso tempo stimati per la vasta erudizione e l’intelligenza penetrante. La genialità era inscritta nelle alte fronti da studioso e negli occhi profondi e inquieti, neri come il carbone. Ostinazione e sfida si leggevano sui nasi forti e sproporzionati che spiccavano beffardi e arroganti nei loro volti scarni: poche confidenze! E’ per via di questa testardaggine che nessuno in famiglia era diventato rabbino, anche se non sarebbe stato difficile, e tutti avevano intrapreso la via del commercio.
Romanzo meraviglioso, capace di un’espressività emotiva e, al contempo, di un’analisi lucida tali degne di pochi.
Leggerlo mi è piaciuto quansi quanto leggere il fratello Isaac, di cui ho amato tutto
Il fratello mi manca, ma provvederò al più presto!
forte presentazione che mi permettrà d’ora in poi di ricordare il fratello Maggiore d’età ma minore nella notorietà e forse se capita lo leggerò, ciao
Grazie Nino; leggilo, ti conquisterà. Quanto a Isaac, ogni suo libro è magnifico; qui, se interessa, ci sono alcune recensioni
ok
Il primo Romanzo di Israel Joshua Che ho letto. E l’ ho trovato bellissimo. Il finale poi e’ sconvolgente e fantastico insieme!
L’ho trovato meraviglioso anche io. Ho conosciuto Isaac prima di Israel, ed è stato leggendo i capolavori dello scrittore premio Nobel che mi è venuta voglia di leggere anche il fratello maggiore. Ed è stata una felicissima scoperta.