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Perché sospirare?

Recensione di “Molto rumore per nulla” di William Shakespeare

William Shakespeare, Molto rumore per nulla, Mondadori
William Shakespeare, Molto rumore per nulla, Mondadori

La tragedia e la commedia, il complotto e lo scherzo, l’amore dissimulato e quello sbocciato d’improvviso; e ancora la verità e la menzogna, la lealtà e il tradimento, la disperazione e il lieto fine. Gli affanni, e il loro scioglimento; il tumultuare dei sentimenti, che ogni cosa colorano d’eccesso e nel bene come nel male non conoscono che sfrenatezza; il severo e saggio incedere del tempo e la divertita complicità del caso, geni dispettosi ma di buon cuore che al momento opportuno riportano ordine e giustizia e pace nel caos delle umane debolezze.


Così che dei peccati si possa sorridere, delle colpe aver misericordia, ai torti accordar perdono, e alla bontà e alla bellezza donare, di tutto cuore, il meritato omaggio. È un raffinato, gaudente e giocoso invito alla felicità quello che Shakespeare ci rivolge in Molto rumore per nulla, sapida “commedia degli equivoci” in cinque atti che fin dal titolo sembra voler raccontare una storia osservando gli eventi da un punto di vista neutro, terzo rispetto a quello rappresentato dai personaggi coinvolti, e in qualche misura più lungimirante, più consapevole. Come se i diversi protagonisti non fossero che burattini, o marionette, e l’autore un bonario Deus ex machina che assiste allo spettacolo messo in scena dai suoi pupazzi e interviene soltanto all’ultimo, quando l’intreccio rischia di sfuggire di mano ai generosi ma incauti interpreti.

Il grande bardo ambienta il suo lavoro a Messina, nella ricca casa di Leonato, governatore della città; è qui, tra le numerose stanze e i labirintici giardini della nobile dimora che si consumano tanto innocue schermaglie d’amore quanto sanguinosi disegni di vendetta. Shakespeare disegna i suoi protagonisti con astuta semplicità; rende perfettamente riconoscibili tanto i buoni (Don Pedro d’Aragona e il suo seguito, tra cui spicca il giovane Claudio, che si innamora di Ero, la bellissima figlia di Leonato) quanto i malvagi (Don Juan, fratello di Pedro, ripudiato dal principe ma in seguito tornato nelle sue grazie, e i suoi scherani) e prepara in tal modo il terreno alle sorprese, ai colpi di scena e ai drammi che caratterizzeranno ciascun atto dell’opera. Non a caso, è lo stesso Don Juan, nel primo atto, ad annunciare i suoi bellicosi propositi, il suo desiderio di affrancarsi dall’indulgenza accordatagli dal fratello e di dare sfogo all’odio e al risentimento che prova: “Preferirei essere un fiore selvatico che una rosa in grazia sua, e mi va più a genio essere disprezzato da tutti che simulare per carpire amore a qualcuno; perciò, se non si può dire di me che sono un adulatore onesto, non si può negare che sono un furfante franco”.

È l’amore, naturalmente, l’amore innocente, puro, vigoroso che sboccia tra Claudio ed Ero (e parallelamente quello fiammeggiante, pieno di incognite, di tranelli, di gustose ripicche e puntute gelosie che divide e unisce Benedetto, cavaliere di Don Pedro e signore di Padova, e Beatrice, nipote di Leonato, contraltare ironico e spumeggiante del primo) a offrire al “furfante franco” l’occasione di colpire il fratello: “Bene, bene, venite con me; questo può esser pane per il mio dente avvelenato. Quel pivello trionfa sulla mia disgrazia: se in qualche modo posso dargli la croce addosso, sarò al settimo cielo”. Il suo piano è allo stesso tempo diabolico e di facile attuazione; chiamare Claudio e Don Juan testimoni dell’infedeltà di Ero organizzando, alla loro presenza, un finto incontro amoroso tra Borraccio (uno degli sgherri di Don Juan) e Margherita, dama di compagnia di Ero all’oscuro del disegno e involontaria maschera della stessa Ero. Lo stratagemma riesce alla perfezione e le conseguenze, per tutti, sono terribili, ma è a questo punto, un attimo prima che ogni cosa precipiti, quando sembra esserci spazio soltanto per i rimorsi e i rimpianti che il burattinaio Shakespeare rimette le cose a posto. I capricci del caso giocano a favore dei giusti, il misfatto viene svelato ed Ero e Claudio (così come Benedetto e Beatrice) possono finalmente sposarsi. A trionfare, dunque, in un contesto di studiata ingenuità che non ha nulla di ingenuo, sono i buoni sentimenti e la vita, ma quel che conta qui non è la scontata consolazione data dalla virtù premiata e dal vizio punito, bensì una visione delle cose del mondo che offre, nell’impetuoso scorrere degli affari umani, la mediazione (non salvifica probabilmente, ma di certo assai opportuna) dell’ironia, dell’intelligenza scanzonata, di una morbida assunzione di responsabilità verso ciò che ci circonda, sia esso frutto di decisioni nostre o altrui. Perché spesso, troppo spesso, non c’è giustificazione al nostro rumore.

Eccovi, invece dell’incipit, il monologo finale di Benedetto alla vigilia delle sue nozze. Buona lettura.

Ti dirò, principe: neanche un’accademia di spiriti mordaci riuscirebbe a farmi cambiare idea a forza di canzonature. Credi che m’importi di una satira o di un epigramma? No: se uno si fa schiacciare dai motteggi, non si metterà mai addosso un bel vestito. Insomma, dato che ho deciso di sposarmi, non voglio tener conto di nessun argomento che il mondo può avere in contrario; quindi non venite a prendermi in giro per quel che ho detto io contro il matrimonio: perché l’uomo è un essere volubile, ecco la mia conclusione.

4 commenti su “Perché sospirare?”

  1. …. e ora siamo arrivati a Shakespeare, non male, ma difficile elevarsi dall’enorme marasma di commenti e critiche che riguardano questo autore classico e amante dell’Italia.
    Penso che te la sei cavata bene, senza strafare, complimenti.

      1. Nino, la letteratura critica su Shakespeare, come è giusto che sia, è sterminata, e in buona parte ottima. Io non sono certo uno studioso, solo un appassionato. Scrivo perché mi piace farlo, sperando di riuscire, di tanto in tanto, a dire qualcosa di interessante

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