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Una stagione politica

Recensione di “Colle Oppio vigila” di Fabrizio Crivellari

Fabrizio Crivellari, Colle Oppio vigila, Eclettica Edizioni
Fabrizio Crivellari, Colle Oppio vigila, Eclettica Edizioni

Leonardo Romani, responsabile della libreria Le Querce di Lido degli Estensi, è un carissimo amico. Con lui, ormai da qualche anno, condivido progetti e avventure letterarie di squisita fattura (la cui realizzazione è in massima parte merito suo), come la rassegna Librandosi, che si tiene ogni estate proprio a Lido degli Estensi, e il più recente progetto dei The Letterari, organizzato assieme allo scrittore Luciano Boccaccini e ospitato a Comacchio che quest’anno, dopo il grande successo ottenuto lo scorso inverno, festeggia, arricchito nel programma, la sua seconda edizione.


E un altro caro, carissimo amico è il giornalista Marco De Rosa, con il quale ho avuto il privilegio, per anni, di lavorare, imparando moltissimo, non solo a livello professionale. Ora, a parte il sottoscritto, questi due amici hanno in comune una militanza politica, vissuta in anni diversi ma (probabilmente) con la medesima intensità. Di questa loro esperienza, e di quella di tante altre persone come loro racconta Fabrizio Crivellari, compagno di vita e di partito di Marco De Rosa, nel suo Colle Oppio vigila (Eclettica Edizioni), romanzo che Leonardo ha letto con viva, sincera emozione e a cui ho chiesto di scrivere una recensione per Il Consigliere Letterario. Voglio ringraziarlo di tutto cuore per avere accettato il mio invito così come ringrazio Marco per avermi fatto avere il libro (è stato importante anche per me confrontarmi con realtà lontane dal mio modo di pensare e di vedere il mondo, e anche assaporare il gusto della vita politica attiva, il cui fascino ho sempre avvertito senza tuttavia mai trovare coraggio sufficiente, o ragioni sufficienti, per cedergli). A Fabrizio, che non conosco personalmente, il mio più sincero in bocca al lupo per questo suo scritto.

Ora spazio a Leonardo Romani.

La copertina del libro Colle Oppio vigila, scritto da Fabrizio Crivellari, mi osserva fiera come l’Augusto loricato, mentre le pagine mi abbracciano quasi con calore, simili a un gruppo di amici ritrovato dopo lungo tempo e altrettanto lunghi silenzi. E le parole è come se odorassero ancora di vernice, quella che usavamo per scrivere sui grandi striscioni da portare in manifestazione. Niente di strano, in fondo, almeno per me, perché quello che ho in mano, come avverte il sottotitolo, è un romanzo militante; una storia vera, ricca di aneddoti, certo, ma ancor più di fatti realmente accaduti (all’autore e non solo), di vicende raccontate senza retorica ma spesso con il respiro lieve e raffinato dell’ironia, dell’intelligenza scanzonata, persino un po’ strafottente. Cuore del romanzo è la vita della sezione romana del Fronte della Gioventù di Colle Oppio, ma da questo centro di gravità la narrazione poco alla volta si espande fino a comprendere nel proprio tessuto espressivo un intero mondo giovanile; un microcosmo perfettamente identificato e identificabile che pulsava, proprio come un cuore, che palpitava, come un’emozione, ed era capace di dialogare e scontrarsi, abbattersi e rialzarsi, e più di tutto di obbedire, rispettoso, a uno spirito di sincera fratellanza cui tutti si sentivano accomunati. Erano gli anni Ottanta, il fragore della bomba di Bologna aveva lacerato e gettato in uno stordito terrore il Paese, e mentre un’intera generazione si avviava, ignara e incosciente, verso l’omologazione di massa dettata dai mass-media, una parte di essa, quella ricordata da Crivellari, resisteva, impegnata a salvaguardare un passato che sentiva proprio, fatto di regole non scritte ma non per questo disattese.

In questo contesto, squisitamente romano ma che potrebbe ritagliarsi alla perfezione allo sfondo rappresentato da qualsiasi altra città italiana, Colle Oppio vigila si sforza di descrivere, di illustrare, il senso di un’appartenenza ideologica e politica che assumeva la forma potente, non priva di contraddizioni ma fondamentalmente autentica, di un cameratismo identitario, scevro da ammennicoli nostalgici e lontano dal polveroso neofascismo in orbace. Un cameratismo tanto più significativo perché tenuto in vita in una stagione particolare della storia italiana, nella quale l’agire politico non era scandito dalle convention renziane o berlusconiane, ed era palpabile, per quanto disordinata, sconnessa, travagliata, in molti casi persino truffaldina, o più semplicemente pelosa, un’attenzione, si potrebbe anche dire un doveroso riguardo alle questioni sociali, alla strada, al travaglio quotidiano che è di ciascuno di noi.

È un mondo, quello descritto da Crivellari, che non è esagerato definire perduto; che sì, vive nella nostra memoria, in quella dei singoli come in quella della comunità, ma che non possiamo non vedere quanto sia distante, e non solo cronologicamente, da quello in cui oggi, con gran fatica, ci muoviamo. Io ho avuto la fortuna di viverlo, quel mondo, e sono felice di aver potuto scrivere questa recensione militante, la sola possibile, a mio avviso, per un romanzo militante.

(Leonardo Romani)

7 commenti su “Una stagione politica”

    1. Figurati. I ringraziamenti non sono proprio necessari. Per il resto, che posso dirti? Si tratta di una storia di vita vissuta; per questa ragione ho chiesto a un amico di provare a raccontare il libro, perché lui, a differenza di me, in qualche modo ne ha fatto parte.

  1. Prima di tutto, doverosi ringraziamenti non solo al padrone di casa Paolo, ma anche a Leonardo per la sua appassionata recensione “militante”. È vero, il libro è una storia di vita vissuta. La storia di uno che è anche la storia misconosciuta di molti, ragazzi che sulle macerie esistenziali e politiche degli anni ’70 provarono a costruire qualcosa di autenticamente nuovo e originale, al di là della destra e della sinistra. Con un bel po’ di velleitarismo e una sostanziale inadeguatezza di fondo, certo, ma anche con tenacia, sincerità e stile. E che, nel tenere vivo un anelito rivoluzionario che passava anche attraverso la difesa di un passato onorevole e glorioso, seppero pure farsi un bel po’ di risate. A distanza di tanti anni sono soprattutto queste ultime che rimangono, riflessi di un afflato comunitario che, a ripensarci, scalda ancora il cuore.

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