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La voce del teatro e del tradimento

Recensione di “Un cadavere a Deptford” di Anthony Burgess

Anthony Burgess, Un cadavere a Deptford, Garzanti
Anthony Burgess, Un cadavere a Deptford, Garzanti

“C’era un filosofo che narrava di un gatto che miagolava perché lo lasciassero uscire e che poi miagolava di nuovo perché lo facessero rientrare. Ma, nell’interim tra un miagolio e l’altro, quel gatto esiste? In noi tutti alberga l’atteggiamento solipsistico, che non è che un simulacro della potenza dell’Onnipotente, il quale mantiene Tutto in essere, vale a dire che quanto si trova sotto i nostri occhi esiste, ma che è sufficiente che distogliamo lo sguardo, o che qualcuno ce lo distolga, perché venga disintegrato completamente, seppure temporaneamente”. È nei panni di un anonimo attore di teatro che lo scrittore britannico Anthony Burgess, in uno dei suoi ultimi lavori, intitolato Un cadavere a Deptford, ci racconta la vita avventurosa, scandalosa e geniale del drammaturgo e poeta Christopher Marlowe, dopo William Shakesperare la voce più luminosa e suggestiva del teatro elisabettiano.


E lo fa rivendicando all’immaginazione, considerata a un tempo come ancella del vero e come inestinguibile scintilla creatrice ex nihilo, il diritto e il dovere di farsi storia, racconto, indagine, mito, ricostruzione, leggenda, cronaca, invenzione – “quello che un uomo immagina”, egli scrive, “è spesso […] la sostanza reale e vera di quello che ha veduto”. Burgess, spericolato acrobata del linguaggio, stempera in uno stile multiforme, che sorprende il lettore a ogni pagina, la propria fedeltà alle regole del romanzo storico; l’Inghilterra del XVI secolo, dilaniata dalle dispute teologiche tra cattolici e protestanti, in aperto contrasto con la Spagna e alle prese con complotti interni tesi a restaurare il dominio della chiesa di Roma sull’isola, è disegnata con cura fin nei dettagli, ma ogni avvenimento, dal più grande e importante al più insignificante, vive di vita propria nella lanterna magica dell’ispirazione marlowiana, nella sensibilità acutissima e disperata di quest’uomo devoto soltanto ai versi, fedele amante dell’incanto del palcoscenico eppure condannato a tradire a più riprese la propria ispirazione (e dunque se stesso) per non essere costretto a rinunciarvi definitivamente.

Figura controversa, oscura, per molti versi enigmatica, in gran parte delineata dalle feroci accuse che gli sono state rivolte – ateo, bestemmiatore, omosessuale, agente al soldo della Regina responsabile dell’eliminazione di numerosi cattolici – Christopher Marlowe, che morì a soli 29 anni (il 30 maggio del 1593) spietatamente ucciso in un locanda di Deptford per mano uomini che fino a poco tempo prima gli erano stati, se non amici, compagni d’avventura, fu uomo di lettere nello stesso modo in cui fu semplicemente uomo: traendo ispirazione dal tumultuoso intreccio di arte e vita che segnò i suoi giorni.

Ipocrita e dissimulatore per necessità (lui, annoiato studente di teologia al collegio Corpus Christi – “Orbene, immaginiamolo a Cambridge”, scrive l’“attore” Burgess, “studente del collegio Corpus Christi, nelle sue brache grezze, nella sua giubba rappezzata, nelle sue calze ispessite dai rammendi, nel suo avvilente grembiule, costretto, per la natura della sua borsa universitaria, la Parker, al tedioso studio della teologia e a prendere, al compimento, gli ordini religiosi” – Marlowe impara l’arte pericolosa e sottile della menzogna e del doppio gioco nei ranghi delle spie al servizio del regno; lui, che fino a quel momento aveva concepito tutto ciò “che non è verità”, o meglio tutto quello che esiste nel regno infinito della possibilità, come innocenza e dolcezza, come un ininterrotto rimare di musica e bellezza, si trova alle prese con qualcosa di completamente nuovo e sconvolgente.

Inganni e mistificazioni, promesse non mantenute, giuramenti fatti e immediatamente dopo dimenticati, lealtà dichiarate e cancellate, tradimenti di ogni sorta messi in atto per il trionfo della “ragion di Stato” gli spalancano dinanzi al cuore e all’intelletto l’abisso senza fondo del potere, che sarà la più terribile e seducente delle sue muse. Così, l’orrore dell’uomo per le conseguenze sanguinose delle lotte di potere starà a fondamento dei magnifici edifici tragici dell’autore e renderà immortali gli eroi nati dalla sua penna: Tamerlano, Faustus, Edoardo II.

Scrittore di immenso talento, capace di abbigliare il proprio narrare tanto con le vesti sozze e scomposte del chiacchierar di strada di beoni e tagliagole (tra gli altri, un George Orwell realmente esistito) quanto con i ricchi e colti paludamenti delle dissertazioni filosofiche, delle ragionate professioni d’ateismo e dei confronti sulla scrittura per il teatro (compreso uno tra Marlowe e un William Shakespeare non ancora “grande bardo”), Burgess rende a Marlowe un omaggio appassionato e sincero. Non ne nasconde debolezze e meschinità come non ne esagera i meriti. Figlio di un tempo privo di requie e pietà, il grande commediografo va consapevolmente incontro alla propria fine; egli tuttavia resta miracolosamente ancorato alla sola eternità concessa ai mortali; quella dello spirito, delle lettere, delle scienze, della continua ricerca.

Eccovi, invece dell’inizio del romanzo, la bella nota conclusiva dell’autore. La traduzione, per Garzanti, è di Lydia Salerno. Buona lettura.

P.S. Questo mese Il Consigliere Letterario compie tre anni. Questo è il post numero 365. Volevo ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito fin qui. Mi auguro che continuerete a farlo e che a voi si aggiungeranno molti altri, perché io continuerò a scrivere di libri.

Nel 1940, alcuni mesi prima che avesse inizio la Battle of Britain, la Luftwaffe si abbatté su Moss Side, Manchester, su cui era di passaggio mentre andava a distruggere Trafford Park. In quel momento, in piena notte, a Moss Side, io, che avevo rimandato l’arruolamento nell’esercito britannico, me ne stavo seduto a battere a macchina la mia tesi di laurea su Christopher Marlowe. Le visioni dell’inferno del Dr Faustus non mi pareveno troppo lontane dalla realtà di quell’epoca. «Brucerò i miei libri – ah Mefistofele». La Luftwaffe avrebbe bruciato i miei libri, e anche la mia tesi. Mefistofele, come avrebbe mostrato Thomas Mann nel suo Doktor Faustus, non era un semplice spettro teatrale. Decisi allora che, prima o poi, su Marlowe avrei scritto un romanzo. Il 1964, quarto centenario dalla sua nascita, lo fu anche per il quadricentenario di William Shakespeare e ubi maior minor cessat. Quell’anno pubblicai il romanzo Non come il solo, una speculazione fantastica sulla vita amorosa di Shakespeare. Ora, con il quarto centenario del suo omicidio, vorrei rendere – per quanto mi è possibile, dato che ormai sono uno scrittore che invecchia – un qualche omaggio a Marlowe. Questo testo ha una certa pretesa di scientificità. Tutti i fatti storici possono essere verificati. Uno dei malfattori elisabettiani di cui conosciamo il nome si chiamava George Orwell, ed è quindi imbarazzante nominarlo, ma la verità non deve concedere troppo alla discrezione o alla delicatezza: dopo tutto, quel sicario da dimenticare aveva più diritto di accampare pretese su quel nome di quanto ne avesse Eric Blair. Un contributo importante mi è derivato dalle biografie di John Bakeless e F.S. Boas e dall’utilissima «vita informale» di H.R. Williamson. Lo studio più recente sul Marlowe-spia è The Reckoning di Charles Nicholl (di cui ho preso a prestito il nome per uno dei torturatori del mio libro). La ricerca scientifica continuerà, ma la verità verissima dei napoletani non si potrà mai sapere. La virtù di un romanzo storico è anche il suo vizio: la risoluta affermazione della possibilità come fatto. Ma l’uomo Marlowe, pur non essendo al di sopra del sapere scientifico, ci sorride un po’ ironico e continua a sconvolgerci e, talvolta, a esaltarci. Non a caso Ben Johnson definì mighty line, verso potente, il suo verso sciolto. Shakespeare forse oscurò il poeta Marlowe, ma non lo sovrastò né prese il suo posto. Quella voce inimitabile seguita a cantare.

4 commenti su “La voce del teatro e del tradimento”

  1. complimenti per il 365° e uguri per i prossimi 3.650 !
    e anche per questa frasce che mi ha coltipo

    “spericolato acrobata del linguaggio, stempera in uno stile multiforme, che sorprende il lettore a ogni pagina, la propria fedeltà alle regole del romanzo storico”

    ciao, alla aprossima

      1. Grazie! Per gli auguri e per la tua cortese e attenta assiduità. Chissà che non sia di buon auspicio, per questo blog e per tutto ciò che gli ruota intorno (in primis i miei libri). E’ stupido, lo so, ma non smetto di sognare.

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