Recensione di “Se ho paura prendimi per mano” di Carla Vistarini
Lungo il filo sottile che unisce il quotidiano, l’ordinario, al sorprendente e all’inaspettato; nel dolce incedere di una prosa che abbraccia la tensione del dramma, scivola nella delicatezza di un umorismo candidamente stralunato, si colora di sfumature cupe, sconfina in quelle seducenti regioni dell’impossibile che così tanto somigliano ai nostri sogni, e al desiderio di vederli realizzati, da prendere il nome di incanto, di magia, e riemerge alla speranza; nel disegno di una Roma fin troppo presente e allo stesso tempo abbozzata, incerta, rivelata dai dettagli, schiusa nell’improvviso splendore dei giochi di luce; e infine nei personaggi, nel profilo dei caratteri, nella divertita descrizione del loro confuso agire, nella loro umanità in chiaroscuro raccontata senza artifici né retorica, ritratta con commossa onestà.
Questa la cornice letteraria di Se ho paura prendimi per mano (Corbaccio), romanzo d’esordio della sceneggiatrice, musicista e autrice teatrale, cinematografica e televisiva Carla Vistarini, capace di confezionare, senza mai prendersi troppo sul serio, un noir agrodolce che sfocia in una storia d’amore, non nasconde qualche ambizione di critica sociale, si misura con la caduta e il riscatto e riflette sui legami familiari, sul loro significato e sulle responsabilità che comportano. Abile nella costruzione dell’intreccio, ricco di sorprese e colpi di scena, l’autrice narra l’oggi, le sue contraddizioni, le sue storture e le sue limpide nobiltà nel goffo e contrastato rapporto, nato per un capriccio del destino, tra un ex squalo della finanza ridotto in miseria e costretto a una vita da mendicante e una bambina di tre anni, al centro di un complotto tanto misterioso quanto letale.
Carla Vistarini guarda con condiscendente affetto i suoi protagonisti, ne descrive senza pregiudizi debolezze ed egoismi, lascia che le loro bontà risplendano per virtù intrinseca e si concentra nella simbologia (semplice ma niente affatto scontata) che emerge dalla relazione tra l’uomo e la bambina. Così, l’incontro tra due mondi talmente distanti tra loro da essere quasi sconosciuti l’uno all’altro (quello di un uomo che all’apice del suo successo professionale non era più pronto a essere genitore di quanto lo sia ora ma che nella sua nuova, difficile situazione, ha almeno avuto modo di conoscere la pietà, e quello di una bambina costretta senza colpa a chiudere dentro di sé l’amore che non ha potuto riversare su una madre che non ha mai conosciuto) rischia di naufragare a causa del più banale degli ostacoli, l’incomunicabilità; perché la piccola quasi non parla (il solo suono di senso compiuto che sembra in grado di articolare è un poco educato invito ad andare “a quel paese”), mentre il suo improvvisato tutore, almeno inizialmente, non riesce a dire altro se non che non può in alcun modo occuparsi di lei (salvo poi ritrovarsi a farlo, spinto non solo da un affetto che cresce di minuto in minuto ma anche da circostanze assai sinistre, che mettono in serio pericolo di vita entrambi); e ancora il loro stare insieme, che poco alla volta da sfortunata circostanza si fa complicità, si rafforza, si cementa, ed evolve in un legame sempre più forte, cui non è più estraneo l’amore, un amore disinteressato, pronto al sacrificio, si fa percorso di rinascita, di riconquista di sé.
Speculare al percorso esistenziale che compiono i due personaggi principali del romanzo è quello che coinvolge i loro comprimari negativi, il ricco avvocato d’affari Charles Brandt, che si ritroverà a fare i conti con un sete di vita che ha le fattezze mostruose, inumane, dell’avidità, e il suo complice, il dottor Mori, direttore sanitario di una clinica di lusso disposto a tutto (o quasi) per il proprio interesse, sordo agli scrupoli ma non alla paura, spietato ma incurabilmente vigliacco.
Scanzonato nei toni, piacevolissimo nel respiro narrativo, furbescamente ammiccante nelle citazioni colte disseminate dall’autrice, specchio delle sue passioni (la letteratura con Brecht e Dostoevskij, Shakespeare e Rostand, la musica classica con von Karajan e Toscanini), Se ho paura prendimi per mano è un romanzo incisivo nella sua leggerezza, un lavoro che sa coinvolgere, stupire e divertire. Come un incontro felice capitato per caso.
Eccovi l’inizio. Buona lettura.
«Fermi tutti!» disse una voce secca. Lo vide. Era un tizio col passamontagna e un grosso rotolo nero sotto il braccio. Stava a gambe larghe sulla soglia del supermercato. Qualcuno lo guardò distrattamente, altri lo ignorarono. «Ehi!» insisté il tizio, battendo il piede a terra. Ma nessuno se lo filò. L’uomo rimase immobile. Si sente solo, pensò Smilzo, oggi la gente ti può uccidere, con l’indifferenza. Ottanta per cento psicopatico, valutò, venti rapinatore. Era in fila alla cassa già da qualche minuto e per passare il tempo studiava i carrelli degli altri, pieni di tonnellate di roba. Quelle sì che sono famiglie felici. Gente che mangia a quattro palmenti, in compagnia, seduta in tavolate lunghissime, mentre si raccontano la giornata e sorridono. Nel mio carrello c’è la radiografia del nulla. Quattro mele, un pezzo di pane, uno yogurt. La solitudine si vede anche dal carrello.
mi hai proprio incuriosito, come sempre sarò obbligato ad ‘approfondire’ questo libro.
grazie
Grazie a te! E buona lettura