Recensione di “Trappola per topi” di Agatha Christie
“La logica non lo spiega. Non spiega perché, con tutti i capolavori che vanta il teatro, proprio Trappola per topi si replichi a grande richiesta da ormai trent’anni e sia diventata qualcosa tra l’istituzione nazionale e l’attrattiva turistica, sul genere di Buckingham Palace. Nemmeno l’autrice aveva le idee molto chiare, in merito. «È il tipo di commedia alla quale si può portare chiunque» aveva cercato di teorizzare con un giornalista.
«Non è proprio un dramma, non è proprio uno spettacolo dell’orrore, non è proprio una commedia brillante, ma ha qualcosa di tutt’e tre, e così si accontenta la gente dai gusti più disparati». Non molto illuminante, ma già un notevole sforzo, per una persona così schiva che aveva riassunto la sua fama clamorosa osservando: «È importante, sì, essere un autore di successo: almeno puoi sempre trovare un tassì quando ti occorre»”.
Con queste parole (era il 1982), Ida Omboni, nella prefazione all’edizione Mondadori della celebre commedia di Agatha Christie, introduceva i lettori al “mistero buffo” di un’opera piacevolmente leggera, ricca di humour, ben costruita nell’intreccio e ancor meglio disegnata nei personaggi, assurta, chissà come, chissà perché, a immortale capolavoro. E così risponde al quesito da lei stessa posto: “I detrattori di Dame Agatha (per avere successo occorrono ammiratori, ma per essere celebri sono indispensabili i detrattori, possibilmente rabbiosi), sostengono che è un regalo del caso. La Christie, dicono, ha scritto ogni volta la stessa commedia, un’eterna partita a scacchi fra lei e lo spettatore. Cosa anche vera, ma ogni partita ha una sua strategia, un suo ritmo, persino una sua alchimia particolare, come afferma Bobbie Fischer, che qualcosa deve pur saperne. Sicché le ricorrenze tecniche non sono limitazione, ma stile. E può darsi che nella Trappola, queste ricorrenze o, se vogliamo cambiare metafora, gli ingredienti della ricetta-Christie […] si siano fusi alla perfezione, forse un po’ magicamente, come succede talora nella mayonnaise e negli amori felici. E individuarli […] è relativamente facile… Anche se il teatro giallo spesso si fa per chi ama il giallo ma non necessariamente per chi ama il teatro, la Christie si metteva all’opera come se dovesse scrivere una commedia di carattere. I suoi personaggi sono autentici, tridimensionali, solidamente quotidiani, e lei nel corso dell’azione li sfoglia come carciofi, rivelando via via nuove sfumature, coerenti e insieme inaspettate. Cadaveri e spaventi a parte, il pubblico li adotta perché sono persone vere, che forse ha incontrato e nelle quali può occasionalmente identificarsi”.
Commedia umana, dunque? È a questo che si deve il successo senza tempo di Trappola per topi? Al fatto di essere, al di là della trama, degli omicidi, dell’indagine e del finale disvelamento della verità, un acuto studio psicologico? Forse. Tuttavia questa spiegazione, al pari di qualsiasi altra, ha il difetto di seminare più dubbi di quanti contribuisca a dissiparne; perché se è certo che la commedia di Agatha Christie sia anche una commedia umana (come del resto è anche una commedia degli equivoci, una commedia brillante, e perfino l’ozioso – ma non per questo imperfetto, anzi – divertissement di una magnifica scrittrice), quel che è altrettanto vero è che Trappola per topi è un giallo delizioso, che conquista – di più, entusiasma – per l’accuratezza dell’ambientazione (un’elegante dimora che mostra i primi segni di un’inarrestabile decadenza all’interno della quale, come in ogni trappola per topi che si rispetti, un gruppo di ospiti si ritrova bloccato da una tormenta di neve), il ritmo della narrazione, la perfetta gestione della tensione, la progressiva scoperta dei personaggi, ciascuno assai diverso da come appare, nel bene come nel male.
Lettori e spettatori, insomma, si trovano di fronte esattamente quel che si aspettano; un raffinato e prezioso mystery di Agatha Christie, un’opera semplice eppure superba, un lavoro che dà l’impressione di essere stato scritto in un ritaglio di tempo e malgrado ciò sfiora la perfezione, tanto per stile quanto per contenuto.
Trappola per topi irrita (gli immancabili detrattori citati dalla Omboni) per la stessa ragione per cui convince: perché sembra che la Christie non abbia voluto dedicargli più di qualche distratta occhiata e anche così sia riuscita a dipingere un quadro magnifico, impareggiabile. Non ci sono momenti particolari da ricordare in questa vivacissima commedia in due atti, né genialità da sottolineare, né vette letterarie raggiunte per la prima volta o eguagliate, e tuttavia ogni minimo particolare di questa diabolica pièce è al posto giusto, ogni dettaglio irrinunciabile, ogni sfumatura fondamentale; al lettore, allo spettatore, non resta che immergercisi, farsi ospite tra gli altri di questa villa, scoprirne poco alla volta gli inquilini, attendere fremente, spaventato e affascinato che la neve smetta di flagellare le strade e finalmente uscire all’aria aperta, con il colpevole consegnato alla giustizia e l’ordine ripristinato. E non è forse questo il puro piacere della lettura?
Prima di chiudere, lascio ancora la parola alla Omboni (anche traduttrice della commedia), alle ultime righe della sua prefazione, alla felicissima conclusione della sua analisi di Trappola per topi: “L’analisi potrebbe continuare, ma tutto sommato questi sono i dati base della Trappola, che possono spiegarne la struttura, la meccanica e la simpatia. Ma la valanga di successo?… Onestamente, no. E anche se terrà cartellone altri trent’anni, dubito molto che ci si potrà capire qualcosa. È l’ultimo mistero di Agatha Christie, l’unico non risolto. Ma perchè farci cattivo sangue? In fondo, è un mistero gaudioso”.
Eccovi l’incipit. Buona lettura.
Il salone principale di Castel del Frate. È quasi sera. Più che a un’antica dimora, l’ambiente fa pensare a una villa dove sia vissuta per generazioni la stessa famiglia, in condizioni finanziarie sempre meno brillanti. Sulla parete di fondo un’ampia vetrata che arriva quasi al soffitto. A destra un grande arco che dà sul vestibolo, dove si aprono la porta d’ingresso e quella della cucina. Un arco gemello, a sinistra, lascia intravedere la scala che porta alle camere da letto e l’uscio della biblioteca. Accanto, la porta del salotto. Sulla parete di destra un camino e la porta della sala da pranzo (che si apre verso l’esterno). Sotto la vetrata centrale, una lunga panca a muro e il calorifero.
(per avere successo occorrono ammiratori, ma per essere celebri sono indispensabili i detrattori, possibilmente rabbiosi)
ciao, ma tu li hai dei detrattori rabbiosi ?
io non lo so, forse tu puoi dirmelo
ciao alla prossima
Ciao nino. Non ho successo, dunque neanche detrattori, meno che mai rabbiosi
non si sa mai
magari nascosti fra le pieghe di internet
invidiosi del tuo blog
bye bye
Grazie Paolo per averne parlato. L’ho letto nella mia adolescenza ma ricordo pochissimo. Lo rileggo e lo propongo a mio figlio che al momento legge solo gialli della Christie!
Grazie a te! E buona lettura a tuo figlio, che si è scelto un’eccellente scrittrice. Mi auguro che dopo (sempre che l’abbia già letto) si dedichi a Conan Doyle, che nella mia giovinezza ho amato visceralmente
Io invece da ragazzina sono passata dalla Christie a Maigret. Di Conan Doyle cosa mi consigli per iniziare? Ha dodici anni.
Se ama la Christie può tranquillamente leggersi la prima avventura di Sherlock Holmes, “Uno studio in rosso”. Dovesse interessarti, qui la trovi