Recensione di “Sulla strada” di Jack Kerouac
“Sulla strada, uscito in America nel 1957, compare due anni dopo nella storica collana «Medusa» di Mondadori, tradotto da Magda de Cristofaro, con una prefazione di Fernanda Pivano. Da allora quel libro e, in misura minore, gli altri di Jack Kerouac hanno conosciuto qui da noi (ma anche in Francia e in Germania) una fortuna ininterrotta, sull’onda di decine di migliaia di tascabili l’anno […].
In Italia sono stati soprattutto i ragazzi, i ventenni, a passarsi la parola e il testimone, anche attraverso una frattura epocale come quella del Sessantotto, quando certi atteggiamenti di Kerouac in materia di politica venivano giudicati, con qualche sbrigatività ma non a torto, fascistoidi. La parola ha continuato a trasmettersi attraverso gli anni, finché, col volgere delle generazioni, non sono stati i fratelli maggiori, e poi i padri e le madri, a suggerire ai nuovi adolescenti il nome dello scrittore amato. È verosimile che Kerouac non sia un autore cui si ritorna più avanti nella vita, e però sembra rappresentare un passaggio obbligato per un vasto numero di giovani. Sulla strada, in particolare, libro deliberatamente scritto come testimonianza di un’esperienza vissuta, riesce a produrre sui suoi lettori un effetto di forte riconoscimento, addirittura di identificazione, pur se vicaria, che non si allenta malgrado il trascorrere dei decenni e il mutare delle circostanze. Ora che, a più di quarant’anni dalla prima traduzione, Kerouac passa dai tascabili dell’edicola allo scaffale nobile dei «Meridiani» e, presumibilmente, nelle mani di un pubblico non adolescente ma anzi avvezzo alle letture dei classici antichi e moderni (proprio il tipo di pubblico cui lo scrittore non ha mai inteso rivolgersi), chi lo ripresenta non può fare a meno di interrogarsi in primo luogo sulle ragioni di tanto successo”.
Con queste parole Mario Corona, nella lunga e densa prefazione agli scritti di Kerouac pubblicati da Mondadori nella collana i Meridiani (e significativamente intitolata Jack Kerouac, o della contraddizione), introduce i lettori alla scoperta – o se si vuole alla riscoperta – di un fenomeno letterario unico: quello rappresentato da uno scrittore generazionale legatissimo al proprio tempo, alla propria età, che esaurisce l’atto (e il senso stesso) dello scrivere alla genuina espressione di sé, alla soddisfazione di un bisogno, di una necessità, e tuttavia si rivela capace, al di là del passare del tempo, di attrarre sempre la medesima generazione, che di fronte alla prosa di Kerouac, alla sua sincerità brutale eppure costantemente circonfusa d’innocenza, ritrova se stessa, si riconosce per ciò che essenzialmente è.
Custode di un “umanesimo ingenuamente laico e libertario”, di un idealismo così generico e indefinito (ma allo stesso tempo palpitante, vivo, autentico) da scivolare nella neutra universalità dell’indistinzione, di un’utopia presentata come sogno condiviso e insieme come tensione verso un futuro possibile, come giusta rivendicazione (o meglio come la sola, giusta rivendicazione possibile) di un essere del mondo e nel mondo, Sulla strada è un’autobiografia collettiva, e come tale si racconta.
Le sue pagine confuse e furenti, l’infuocata immediatezza del linguaggio, le amicizie e gli amori vissuti e consumati come fossero gradini di un’immaginaria scala evolutiva culminante nella piena conoscenza (e di conseguenza nella compiuta rappresentazione) di sé, hanno l’aspetto bizzarro e affascinante di un ombrello rovesciato pronto ad accogliere le convinzioni e le speranze di tutti; nei panni del suo alter ego Sal Paradise, protagonista del romanzo, Kerouac e i suoi compagni d’avventura – Dean Moriarty/Neal Cassady, Old Bull Lee/William S. Burroughs, Carlo Marx/Allen Ginsberg – affamati di idee e libertà, sacerdoti del culto terreno (e umano, troppo umano) dell’improvvisazione e della precarietà attraversano a più riprese lo sconfinato continente americano da una costa all’altra come per metterne alla prova la finitezza, per sfidarlo, per suggerne l’anima, per definizione priva di limiti.
In queste ripetute, ossessive traversate, la generazione di Paradise, e con essa tutte le generazioni a venire, stregate e commosse dal quel Vangelo anarchico e atemporale che è Sulla strada (e l’atemporalità, si noti, è quanto di più prossimo all’eternità, all’immortalità, che in letteratura appartiene in misura eminente ai classici greci e latini), urlano, più che il proprio disincanto nei confronti di un ordine sociale che rifiutano, la propria unicità, il proprio inimitabile splendore. “La parola d’ordine”, scrive ancora Corona, “discende da Blake a Rimbaud a Whitman a Huxley fino a Genet, Ginsberg e Burroughs: sregolare i sensi, aprire con ogni mezzo le porte della percezione, far ricircolare l’energia vitale primigenia, secondo l’esortazione di Whitman […]«Schiodate i chiavistelli dalle porte!/Anzi, schiodate le porte stesse dai cardini!»”.
Eccovi l’incipit del romanzo. La traduzione, per i Meridiani Mondadori, è di Marisa Caramella. Buona lettura e buon Primo Maggio a tutti.
Incontrai Dean per la prima volta dopo la separazione da mia moglie. Mi ero appena rimesso da una seria malattia della quale non vale la pena di parlare, se non perché aveva a che fare con quella separazione avvilente e penosa e con la sensazione di morte che si era impadronita di me. Con l’arrivo di Dean Moriarty cominciò quella parte della mia vita che si può chiamare la mia vita sulla strada. Prima di allora avevo spesso fantasticato di attraversare il Paese, ma erano sempre progetti vaghi, e non ero mai partito. Dean è il compagno perfetto per mettersi sulla strada, perché c’è addirittura nato, sulla strada, nel 1926, mentre i suoi genitori si trovavano a passare per Salt Lake City a bordo di una vecchia automobile sfiancata, diretti a Los Angeles.
Ciao, mi hai fatto ricordare le mie letture da ragazzo, quasi di strada,
che usciva di casa senza il permesso dei genitori,
e le avventure con la tenda e lo zaino alla ricerca di chissà cosa,
naturalmente per me questo libro era un “cult”.
alla prossima
Ciao Nino. Ti ringrazio di questi tuoi commenti; è bello sapere che certe letture richiamano ricordi così importanti.
Alla prossima, e grazie ancora!
BUON 1° MAGGIO
Un libro senza tempo… i ragazzi di tutte le generazioni passate presenti e futuri, sentiranno quel vuoto, quel sapere che nel luogo dove sei ti manca qualcosa ed avere la voglia di prendere e andare a cercarlo. Nei personaggi di Kerouac c’è sicuramente qualcosa in più della semplice voglia, c’è una frenesia, un bisogno, lo slancio di chi sente che sta bruciando di vita, e che nel suo rogo, in fondo, sta la sua vera salvezza, come scrive Kerouac “il fondamento della Beatitudine”. Credo sinceramente che non si possa non essere affascinati dalla storia, dai paesaggi meravigliosi, dai personaggi di questo libro perché Kerouac ti accompagna in un viaggio nel suo vortice di parole, in un si è sempre più coinvolti.
Quella generazione ormai non c’è più, ma di certo il suo libro l’ha resa immortale, perché come ho detto all’inizio è un libro senza tempo perché parla di qualcosa che i ragazzi di tutte le epoche sentono, seppur declinandolo in modo diverso.
Grazie del bel viaggio nel viale dei ricordi
grande Veronica
Grazie a te del contributo, Veronica.
Un caro saluto
Paolo
L’ha ripubblicato su l'eta' della innocenza.