Recensione de “Il maledetto” di Joyce Carol Oates
La veste severa dello storico fedele soltanto ai fatti, a ciò che è documentato e documentabile, alle conclusioni che è lecito trarre da una ricerca dettagliata, puntigliosa, da un vaglio critico delle fonti, da un esame imparziale delle testimonianze. E la realtà che d’improvviso sembra ribellarsi all’uomo e a Dio, rifiutare ordine, razionalità, scienza, respingere bontà, misericordia, compassione e offrirsi al caos, alla corruzione, alla demoniaca seduzione del male.
E la cronaca degli eventi, squarciata dall’impensabile, dall’impossibile, dal concretizzarsi dell’incubo, dall’irrompere della tragedia, dal dionisiaco scatenarsi del peccato, della colpa, dell’abominio, che esplode, come vetro infranto, in una miriade di frammenti, ciascuno dei quali riflette un singolo punto di vista, un’ombra sottile di verità, e si fa lieve sussurro di una vita vissuta lungo la tortuosa strada del dubbio e consumata dalla paura, dall’incertezza, dal bisogno.
Si muove incessante tra i poli opposti della puntuale ricostruzione del passato e dell’indagine “poliziesca” (ma anche psicologica, etica, e non ultimo politica) su un mistero – meglio, su una terrificante serie di situazioni misteriose – Il maledetto, ambizioso, splendido e monumentale romanzo gotico della scrittrice americana Joyce Carol Oates, preziosissimo gioiello letterario che racconta di una comunità privilegiata e chiusa (quella di Princeton al principio del Novecento) sprofondata nell’abisso di un sortilegio, sfregiata da un maleficio o forse soltanto vittima di un fenomeno allucinatorio di isteria collettiva.
Con studiata perfezione stilistica, Oates rievoca un momento storico sospeso tra le solide certezze della ricostruzione e l’infida nebbia del possibile, e nei panni di un ricercatore, figlio di un filosofo vittima tra le altre del delirio, dell’ipnotico sonno della ragione che senza sosta genera apparizioni mostruose e dà vita alle più vertiginose fantasie, ai più intensi desideri – memorabili, a questo proposito, le pagine dedicate al confronto tra il mite filosofo ormai completamente ossessionato e uno Sherlock Holmes “in carne e ossa” al meglio delle sue capacità deduttive – si sforza di rappresentare l’indicibile, di descrivere (provando anche a spiegarlo) il sorgere, all’interno di una ristretta cerchia di esistenze, di un nero sole di sanguinaria follia.
Come un dipinto che ritragga, assieme a quel che l’occhio vede, ciò che il cuore brama, oppure teme (o entrambe le cose), il lavoro dell’autrice statunitense, sostenuto da una prosa magistrale, di incomparabile bellezza nelle descrizioni d’ambiente, concreta e puntuale negli inserti biografici e nel disegno caratteriale dei numerosi protagonisti della vicenda realmente esistiti – da Woodrow Wilson, rettore dell’università di Princeton all’epoca dei fatti narrati, allo scrittore socialista Upton Sinclair, da Jack London e Mark Twain fino all’odiato-amato presidente degli Stati Uniti Theodore “Teddy” Roosevelt – e immaginifica e splendente d’orrore e sorpresa nelle diverse manifestazioni della maledizione, si spinge fino a sfiorare l’universale, fino all’ultime thule dell’alfa e dell’omega, della caduta e della resurrezione.
Ed ecco che all’impotente fiammeggiare d’indignazione che accompagna il rapimento (o per dir con più esattezza, la fuga, deliberata eppure inconsapevole) di Annabel Slade, adorata nipote del decano Winslow Slade, una delle personalità più eminenti e rispettate di Princeton, sottratta al legittimo consorte il giorno delle sue nozze dal “demone in forma umana” Axson Mayte (figura enigmatica e sfuggente, ombra d’oscuri archetipi letterari quali Dracula e Mr. Hyde) e condotta nel remoto Regno della Palude, dal quale riemergerà, irrimediabilmente corrotta, solo per testimoniare al fratello la propria umiliante e odiosa odissea, segue il tambureggiare inquieto delle ipotesi sulle ragioni di quanto accaduto affidate alle confessioni gelose dei diari; poi è di nuovo la marea montante del soprannaturale a schiumare su uomini e cose e il morbo della pazzia a violentare menti e anime e a esigere (in pagine di straordinaria intensità emotiva) la propria shakesperiana libbra di carne e a tormentare i vivi inducendoli all’autodistruzione.
Finché, all’apice del dolore e dello sconvolgimento, quel che tutti pensavano essere opera del demonio non si rivela essere, nella fremente predicazione di Winslow Slade offerta al suo gregge tradito il giorno della morte, il piano di Dio per l’umanità, e Slade nient’altro che uno degli innumerevoli strumenti della sua volontà: “L’infelicità della gente è sempre stata la gioia del Signore, dai tempi dei figli di Israele fino a oggi; poiché solo quando si prostrano davanti a lui nell’annientamento dei loro spiriti ribelli, e lo adorano come egli esige, il Signore Iddio è soddisfatto, e la sua ira si placa. Sappiate che il Signore Iddio è un Dio geloso, come ci ha avvertito la Bibbia Ebraica, egli ha infatti creato e comanda i venti turbinosi e gli abissi del mare, e ogni genere di parassiti per impiegarli onde l’umiltà, il servilismo e la paura incontrollabile siano il destino dell’umanità, e la sua gloria esaltata. I cinici, gli atei, e gli anarchici tra voi sono i nemici speciali di Dio, poiché non hanno bisogno di lui: perciò è un dovere dei credenti muovere battaglia a questi infedeli […]. Nostro fine è infatti seminare discordia tra le nazioni, e mettere gli uomini contro i loro simili, perché ogni tribù dell’uomo crede che il Signore Iddio sia il suo Dio, e odia tutte le altre tribù […]. Sappiate dunque che noi che siamo i suoi agenti siamo più apprezzati laddove predichiamo la discordia impiegando un vocabolario d’amore; e lo compiacciamo, parlando di Armageddon, e delle cose ultime, e delle città peccaminose dell’umanità ridotte a deserti devastati – più i nostri metodi saranno astuti, benigni e amorevoli, più saranno apprezzati dal Signore poiché noi siamo coloro che esortano lo schiavo a perdonare lo schiavista, e indossare i panni della sua religione come propri; esortiamo gli oppressi ad accontentarsi del poco che hanno, per paura dell’inferno; per fermare la mano del ribelle, in una falsa pace. Tutto questo mi fu raccontato alla vigilia della mia ordinazione. Mai una volta, in tutti gli anni seguenti, ho deviato da questa fede”.
Eccovi l’incipit del romanzo. La traduzione, per Mondadori, è di Delfina Vezzoli. Buona lettura.
I miei colleghi storiografi saranno scioccati, sgomenti, e forse increduli, perché oso insinuare che la Maledizione non si manifestò per la prima volta il 4 giugno 1905, il disastroso mattino del matrimonio di Annabel Slade, e data cui in genere viene fatto risalire l’inizio delle manifestazioni pubbliche della Maledizione, ma un po’ prima, verso la fine dell’inverno, la vigilia del Mercoledì delle ceneri al principio di marzo. Accadde la sera in cui Woodrow Wilson fece una visita (clandestina) al suo mentore di lunga data, Winslow Slade, ma fu anche la sera del giorno in cui il senso della famiglia di Woodrow Wilson, anzi la sua stessa identità razziale, subì un trauma considerevole. Iniziò in modo innocente: alla Nassau Hall, nell’ufficio del rettore, con la visita di un giovane seminarista di nome Yaeger Washington Ruggles che era stato assunto come precettore di latino all’università, per contribuire all’istruzione degli studenti.