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La cognizione del tempo, dell’uomo e del dolore

Recensione di “La cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda

Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Garzanti
Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Garzanti

A un tempo mezzo e fine, la scrittura esplora e conosce se stessa nel suo farsi, saggia potenzialità espressive e limiti intrinseci (tematici e formali) nel momento esatto in cui comincia a costruire l’edificio narrativo all’interno del quale vivrà, si mette alla prova nell’obbedienza o nella trasgressione alle regole di genere, muta (o prova a farlo) nell’originalità delle scelte e nell’acquisizione di nuovi punti di vista, rinasce nella voglia e nel coraggio di sperimentare, nel desiderio di dar forma a un racconto mai prima raccontato. Al tempo stesso mezzo e fine, la scrittura è dunque un eterno ritorno a sé, un continuo vestirsi e rivestirsi d’accenti e sfumature, un improvviso scintillare di luce che abbraccia l’orizzonte e una liquida pozza d’ombra gonfia d’ogni paura e satura di tutte le speranze.

In pari momento mezzo e fine, la scrittura è gioco lieve, e invenzione ironicamente crudele, e metaforico mascheramento del vero, e dramma tramutato in commedia nell’esplosivo romanzo incompiuto La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda, beffardo e funambolico apologo politico che inestricabilmente si intreccia a una dolorosa vicenda personale (il travagliato rapporto tra una madre e un figlio, specchio dei difficili vissuti familiari dell’autore). Aspro avversario del regime mussoliniano, Gadda lo mette magistralmente in burla (con maggiore e più efficace raffinatezza rispetto a quanto fatto nel suo capolavoro, Quer pasticiaccio brutto de via Merulana, già recensito in questo blog, dove bersaglio dei suoi strali era di preferenza la persona del Duce) ricreandolo geograficamente in un Sudamerica di fantasia dilaniato da un guerra (da poco conclusa ma sempre sul punto di riprendere) tra due stati confinanti: il Maradagál, teatro in cui l’azione si svolge, e il Parapagál. È qui, nel buffo e improbabile Maradagál, dove opera, a beneficio della sicurezza degli abitanti, il Nistitúo provincial de vigilancia para la noche (altro trasparente e beffardo richiamo alla retorica fascista su legge, ordine e disciplina), che il lettore fa conoscenza con Gonzalo Pirobutirro, protagonista del romanzo, notabile rispettato e temuto (in buona parte per il suo pessimo carattere) che vive solo con l’anziana madre. Con l’entrata in scena di Pirobutirro, attraverso il suo interagire con gli altri personaggi del romanzo (in primo luogo il dottor Felipe Higueróa), nel parziale disvelamento del suo legame con la madre (che egli sembra trattare in modo estremamente violento, costringendo la povera donna a vivere in un perenne stato di terrore), il romanzo trova il proprio punto d’equilibrio; attraverso le sue ossessioni, nel cauto resoconto dei suoi giorni e delle sue notti, la prosa di Carlo Emilio Gadda, vivacissima, sorprendente, sarcastica, amara, prepotente, viscerale, rabbiosa, spensierata, universale nella sua magistrale capacità di annullare qualsiasi stilistica contraddizione, si muove armoniosa e fluida dall’individualità alla molteplicità, dalla privata dimensione del singolo allo spazio pubblico della società (richiamato dalle numerose e feroci invettive del protagonista, che sono altrettanti j’accuse lanciati dall’autore all’indirizzo dell’Italia fascista).

In quest’assenza di confini, in questa negazione quasi brutale di uno spazio intimo, riservato, inviolabile, divampano, nello splendore di artifici linguistici e fascinosi azzardi grammaticali che si rinnovano quasi a ogni pagina, tanto l’articolato e sofferto mondo interiore del grande scrittore milanese (che forse in nessun’altra delle sue opere si è così generosamente messo a nudo) quanto la sua decisa presa di posizione politica, la sua critica radicale all’ordinamento sociale, il suo assoluto rifiuto della dittatura, la cui idea di potere si fonda proprio sull’annullamento del singolo a favore di un’indistinta, acefala e mansueta moltitudine controllata senza difficoltà. Uomo solo e insieme (e suo malgrado) parte di un tutto di cui non si sente affatto parte, Gonzalo Pirobutirro sfoga la propria rabbia scagliandosi contro un’idea di stato, di patria, che non ha nulla di umano, che può esistere e prosperare solo a patto di sacrificare spirito, idee, anima e pensiero sullo scintillante altare dell’obbedienza meccanica e della felicità indotta, propagandata, insegnata e diligentemente mandata a memoria. E sulle macerie del cittadino Pirobutirro, sui brandelli dell’“uomo sociale” Pirobutirro, Gadda disegna le inquietudini di un cuore ferito e l’atroce strazio di un uomo strappato a se stesso dal militaresco incedere di un tempo ingiusto.

Eccovi l’incipit. Buona lettura a tutti.

In quegli anni, tra il 1925 e il 1933, le leggi del Maradagál, che è un paese di non molte risorse, davano facoltà ai proprietari di campagna di aderire o non aderire alle associazioni provinciali di vigilanza per la notte.

3 commenti su “La cognizione del tempo, dell’uomo e del dolore”

  1. complimenti sei un vulcanico commentatore pieno di aggettivi, citazioni e non so come definire altre tue frasi.

    …………….. fascinosi azzardi grammaticali che si rinnovano quasi a ogni pagina, ………….
    …………….un improvviso scintillare di luce che abbraccia l’orizzonte e una liquida pozza d’ombra gonfia d’ogni paura e satura di tutte le speranze.

    mi ubriachi di parole e pensieri, complimenti e … alla prossima
    nino speaking

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