Recensione di “Il Monte Analogo” di René Daumal
“Nella tradizione fiabesca […] la Montagna è il legame fra la Terra e il Cielo. La sua cima unica tocca il mondo dell’eternità e la sua base si ramifica in molteplici contrafforti nel mondo dei mortali. È la via per la quale l’uomo può elevarsi alla divinità e la divinità rivelarsi all’uomo […]. Il simbolo ha dovuto rifugiarsi in montagne […] mitiche, come il Meru degli Indiani. Ma il Meru […], se non è più situato geograficamente, non può conservare il suo senso emozionante di via che unisce la Terra al Cielo; può ancora significare il centro o l’asse del nostro sistema planetario, ma non più il mezzo per l’uomo di accedervi.
Perché una montagna possa assumere il ruolo di Monte Analogo […] è necessario che la sua cima sia inaccessibile agli esseri umani quali la natura li ha fatti. Deve essere unica e deve esistere geograficamente. La porta dell’invisibile deve essere visibile”. Un monte più alto dell’Everest dunque, una vetta non ancora scoperta, non ancora scalata, ma esistente, reale, raggiungibile; un simbolo che si fa meta. E un viaggio, una spedizione, che di quel simbolo, e del suo essere meta, sono tentativo d’interpretazione, indagine filosofica, percorso conoscitivo, slancio metafisico, azzardo ermeneutico; e un resoconto di quel viaggio, di quella spedizione, riverberato in una scrittura magnifica, esaltante, ricchissima di suggestioni, semplice e geniale nella sorprendente profondità tematica, bizzarramente provocatoria nella puntualità delle riflessioni – “Le diverse branche della simbolica costituivano da molto tempo il mio studio preferito […] e d’altronde amavo la montagna da alpinista, appassionatamente.
L’incontro di questi due generi di interessi così diversi sul medesimo oggetto, la montagna, aveva colorato di lirismo certi brani del mio articolo. (Simili congiunzioni, per quanto incongrue possano sembrare, hanno molta importanza nella genesi di quello che volgarmente si chiama poesia; passo l’osservazione, come semplice suggerimento, ai critici e agli studiosi di estetica che si sforzano di chiarire il sottofondo di questa misteriosa sorta di linguaggio) – e radiosa nello stile.
Tutto questo è Il Monte Analogo (Romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche, come recita il sottotitolo), dello scrittore e poeta francese René Daumal, rimasto incompiuto a causa della morte improvvisa dell’autore (avvenuta nel 1944) e pubblicato postumo nel 1952.
La delicatezza della dichiarazione d’amore (verso la montagna, verso l’alpinismo) diviene privilegiato strumento d’indagine, indispensabile primo passo di un approssimarsi cognitivo ed emotivo che ha come proprio fine il raggiungimento di un mondo altro da quello di cui abbiamo esperienza; una realtà forse umbratile, visibile come fosse in trasparenza, per certi versi perfino indistinta, eppure certa, perché nata da una consapevole rinuncia, da un risoluto negare che è il più solido fondamento dell’affermare: “Sto scrivendo” dichiara Daumal in una lettera datata 24 febbraio 1940, un racconto piuttosto lungo nel quale si vedrà un gruppo di esseri umani che hanno capito di essere in prigione, che hanno capito di dovere, prima di tutto, rinunciare a questa prigione (perché il dramma è l’attaccarvisi), e che partono in cerca di una umanità superiore, libera dalla prigione, presso la quale essi potranno trovare l’aiuto necessario. E lo trovano, perché alcuni compagni e io abbiamo realmente trovato la porta. Solo a partire da questa porta comincia una vita reale.
Questo racconto avrà la forma di un romanzo d’avventure intitolato Il Monte Analogo: è la montagna simbolica che unisce il Cielo alla Terra; via che deve materialmente, umanamente esistere, perché se no, la nostra situazione sarebbe senza speranza…”. Luogo elettivo di libertà negativa (è necessario che il Monte Analogo ci sia perché altrimenti non avremmo nulla), filosofica dimora d’emancipazione e verità, il monte evocato (e agognato) da Daumal è prima di tutto una sfida intellettuale, un salto mortale del pensiero; è un concetto (o meglio un’intuizione, un brandello di verità) che si fa strada nel momento in cui la mente riesce a considerare “le idee come fatti esteriori” e così facendo stabilisce “legami nuovi tra idee apparentemente disparate”; è un nuovo processo logico che si innesca quando ci si spinga così lontano dai consueti schemi di studio e ragionamento da riuscire a considerare “la storia umana come un problema di geometria descrittiva” e le “proprietà dei numeri” alla stregua di “specie zoologiche”, e ancora “la fusione e la scissione delle cellule viventi” come un semplice “caso particolare di ragionamento logico” e le leggi del linguaggio derivanti da quelle della meccanica celeste. Allo stesso modo, una sfida, estetica oltre che intellettuale, è il romanzo di Daumal, a un tempo epico, avventuroso e labirintico; al lettore egli offre, nelle sue fitte pagine, un’elegantissima danza letteraria, un carosello d’invenzioni, evoluzioni, ipotesi e riflessioni le cui luci di scena illuminano, nello stesso istante e con la medesima intensità, il nostro essere e il nostro dover essere, l’immenso Everest, che separa cielo e terra, e l’ancor più colossale Monte Analogo, ponte che congiunge (e riunisce) natura umana ed essenza divina.
Eccovi l’incipit. La traduzione, per Adelphi, è di Claudio Rugafiori. Buona lettura.
L’inizio di tutto quello che sto per raccontare fu una scrittura sconosciuta, su una busta. C’era nei tratti di penna che tracciavano il mio nome e l’indirizzo della Revue des Fossiles, alla quale collaboravo e da dove mi avevano rispedito la lettera, un miscuglio avvolgente di violenza e di dolcezza. Dietro gli interrogativi che mi ponevo sul mittente e il possibile contenuto del messaggio, un vago ma potente presentimento evocava in me l’immagine del «ciottolo nel pantano dei ranocchi». E dal fondo saliva come una bolla la confessione che in quegli ultimi tempi la mia vita era diventata davvero stagnante. Così, quando aprii la lettera, non avrei saputo distinguere se mi faceva l’effetto di un soffio vivificante d’aria fresca o di una spiacevole corrente d’aria.