Recensione di “Da leggersi all’imbrunire. Racconti di fantasmi” di Charles Dickens
Colmo di disperato rimorso, ridotto in ceppi, terribile a vedersi eppure in qualche misura anche patetico, debole, infelice, lo spettro di Marley, insostituibile socio in affari (e in perfidi egoismi) del misantropo Ebenezer Scrooge, è con ogni probabilità uno dei più riusciti caratteri soprannaturali nati dalla penna di Charles Dickens.
Simbolo di una coscienza (e di un’esistenza) ormai quasi del tutto perduta e insieme strumento del suo ravvedimento e principio di una nuova vita, l’apparizione che apre il celeberrimo Canto di Natale (di cui ho già scritto in questo blog) racconta non solo del genio creativo del grande scrittore inglese ma anche della sua particolare inclinazione per il misterioso e l’inesplicabile, dell’attrazione provata verso quel mondo impalpabile eppure sempre presente (all’immaginazione, se non al raziocinio) dove dimorano i morti, dove respira l’orrore, dove ogni umana certezza si dissolve, e non ultimo dell’entusiastico interesse nutrito nei confronti del gotico letterario, così gravido di cupezza e così trionfalmente ricco di suggestioni.
Marley tuttavia, pur nella sua scintillante perfezione, non è che un personaggio tra i tanti, un fantasma in una moltitudine; una creazione certamente eccentrica, per molti versi indimenticabile, e nonostante ciò nient’altro che un’apparizione, una splendida opera d’arte destinata a impreziosire una sovrabbondante galleria di “ritratti d’oltretomba”.
Di questi ritratti e della loro genesi narra l’agile e preziosa antologia Da leggersi all’imbrunire (significativamente sottotitolata Racconti di fantasmi), raccolta di novelle macabre e spaventose che offrono, di Dickens, se non un profilo inedito, un quadro d’insieme non privo di sorprese. Impareggiabile narratore brillante, umorista finissimo, umanista intransigente e leggiadro, critico feroce delle disuguaglianze e delle storture sociali, Charles Dickens – che in questa raccolta viene presentato al lettore nei panni inediti (e senz’altro stretti, perché esclusivi) di “scrittore dell’occulto” – emerge in tutta la sua complessità nell’introduzione al volume (a cura di Malcolm Skey) e nella sua postfazione (dedicata ai padri, ai precursori e ai teorici della “letteratura spettrale” vittoriana); è tra queste pagine, infatti, che, tanto nella puntualità della biografia quanto nell’esuberante estemporaneità dell’aneddoto, si definiscono con precisione il contesto nel quale ha avuto modo di svilupparsi questa peculiare passione dickensiana, l’impatto che ha prodotto (sia in ambito privato sia dal punto di vista squisitamente professionale) e i frutti creativi che ha generato.
Ecco dunque che dallo spirito del romanziere evocato nel 1927 nientemeno che da Arthur Conan Doyle durante una seduta nel corso della quale Dickens “avrebbe rivelato la propria presenza sillabando sulla planchette lo pseudonimo «Boz», da lui usato in alcune delle primissime opere a stampa (per esempio Il circolo Pickwick)”, si passa alla descrizione di un ben preciso lato del suo carattere, figlio, oltre che di una personale propensione, di un innegabile condizionamento sociale: “È verissimo che Dickens (come quasi tutti i suoi contemporanei) provava un forte interesse per le cose dell’altro mondo e per le «interferenze» di questo nella vita quotidiana che egli, da bravo ex cronista e giornalista parlamentare, dipingeva nei suoi romanzi a tinte ferocemente realistiche. Non solo: arrivava persino a praticare una forma di mesmerismo (o «magnetismo animale»), di cui sono documentati almeno due casi […]. Sono noti anche l’amicizia e il rispetto che Dickens provava per Sir John Elliotson […], medico geniale e controcorrente, il quale nel 1838 fu costretto a dimettersi dalla cattedra all’Università di Londra per lo scandalo che destavano il suo entusiasmo per la «frenologia e il magnetismo animale», per non parlare delle popolarissime sedute mesmeriche che teneva nella sua residenza privata […]. Con tutto ciò, occorre […] sottolineare […] che i riferimenti nelle opere di Dickens allo spiritismo in quanto tale […] sono immancabilmente in tono beffardo”.
Questa sfaccettata rappresentazione è allo stesso tempo uno studio dell’uomo e dello scrittore e una bussola stilistica e interpretativa indispensabile al lettore per godere appieno tutto quel che rende meravigliosa la prosa dickensiana; l’ironia finissima, l’impeccabile precisione delle descrizioni d’ambiente, i geniali arabeschi fisico-psicologici che in pochissimi tratti definiscono un carattere fin nei minimi dettagli; caratteristiche uniche, che come gemme risplendono anche tra l’ombra densa d’inquietudine che abita l’inspiegabile, rendendo perfino l’incubo un viaggio entusiasmante.
Eccovi l’inizio del primo racconto della raccolta, intitolato Fantasmi natalizi. Buona lettura.
Nell’aria aleggerà per tutto il tempo un profumo di caldarroste e di altre buone cose, dal momento che stiamo narrando racconti d’inverno – anzi, a essere sinceri, storie di fantasmi – intorno al fuoco di Natale; e nessuno si muove, se non per spingersi un poco più vicino alle braci. Ma questo non ha importanza.