Recensione di “Il mondo alla rovescia” di Christopher Hill
Il secolo del trionfo delle scienze, il secolo di Galilei e Newton, del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e dei Principia Mathematica; il secolo del severo razionalismo filosofico di Spinoza e Leibniz e dei primi sviluppi del calcolo infinitesimale; il secolo di Pierre Bayle, del suo Dizionario storico-critico e dei suoi beffardi Pensieri sulla cometa, e ancora il secolo dell’uomo nuovo, dell’ateo virtuoso, il cui universo morale non ha nulla a che vedere con il credo religioso professato (o rifiutato).
In una parola, il grand siècle per eccellenza; quel Seicento nobile e magnifico che fu premessa dell’Illuminismo ma che conobbe anche, seppur per una brevissima stagione, rivolgimenti e caos, che nutrì afflati rivoluzionari, diffuse utopie egualitariste disordinate e tuttavia limpide nel loro coraggio visionario, che osò ripensare il posto dell’uomo nel mondo e il ruolo di Dio nella creazione, e finanche offrire agli uomini, e a Dio stesso, un ordine alternativo. Di questo convulso pugno d’anni, di questo spalancarsi d’idee nuove che prese avvio in Inghilterra poco prima della metà del secolo per poi esplodere nel 1649, quando il “re per diritto divino” Carlo I venne decapitato, racconta il grande storico Christopher Hill (scomparso nel 2003 a novantuno anni di età) nel suo dettagliatissimo saggio Il mondo alla rovescia – Idee e movimenti rivoluzionari nell’Inghilterra del Seicento (pubblicato in Italia da Einaudi). Studioso di eccezionale valore, Hill in questo lavoro, uno dei più significativi della sua produzione, narra con entusiasmo da romanziere e rigorosa puntualità critica la sfrenata follia di un sogno prossimo a divenire realtà, a tramutarsi in fatto. Attraverso una scrittura densa ed essenziale, allo stesso tempo ricca di spunti e carica di suggestioni, Christopher Hill riesce a restituire in tutta la sua complessità la singolarità affascinante e terribile di un contesto sociale, economico e politico i cui attori principali (i ceti più bassi, gli strati più umili della popolazione), condotte fino alle estreme conseguenze le proprie rivendicazioni di giustizia e superato di slancio il confine che separa essere e dover essere, hanno finito per proclamarsi cittadini di un mondo altro e si sono assunti la responsabilità di divenire legislatori di diritti e libertà universali, promotori di una concezione condivisa della proprietà, padri fondatori di un socialismo ancora senza nome ma non per questo privo di contenuto o di idealità.
Nelle splendide pagine del saggio di Hill risuona con forza l’eco dell’eresia dei poveri, degli ultimi, che come un’improvvisa scossa di terremoto ha attraversato l’instabile Inghilterra del Protettorato Repubblicano di Cromwell; livellatori, zappatori (il cui disegno sociale è tratteggiato nei particolari in un altro saggio fondamentale: Il piano della legge della libertà di Gerrard Winstanley), contadini, artigiani, un popolo nuovo, ribattezzato e risorto, fa sentire la propria voce, e a quella voce dà concretezza realizzando esperimenti di convivenza, costruendo ardite teorie economiche, cercando con ostinazione un modello di vita capace di rifiutare una volta per tutte e per sempre il sistema fino ad allora ritenuto intoccabile: un consesso umano basato sulle distinzioni di rango, sui privilegi, sul censo, e come se tutto questo non fosse sufficiente, gravato anche dal peso insopportabile del peccato, maligna eredità che una volta di più ferisce e umilia gli ultimi, condannati per i loro errori a un’eternità di pene e tormenti che non può non essere percepita e giudicata come grottesco specchio di un’atroce quotidianità.
Che ogni voce, ogni eco, si spenga nella restaurazione della monarchia, nell’incoronazione di Carlo II, nell’assolutezza del suo regnare (contraddistinto dall’abolizione del Parlamento), che l’epopea fragorosa delle “utopie dei pezzenti” fiorite dal 1645 al 1653 (gli anni presi in considerazione nell’opera di Hill) si risolva in un sostanziale fallimento, in una sconfitta, dimostra soltanto una sorta di “immaturità” delle forze propulsive della storia; nel quadro così precisamente rappresentato da Christopher Hill, infatti, si muovono, ed egli ha il merito di indicarcele con estrema chiarezza, quelle forze (di pensiero più che d’azione) che da una parte sfoceranno nella rivoluzione francese del 1789 e dall’altra (proprio in Inghilterra) saranno fondamentali nella realizzazione di un articolato socialismo libertario.
Il mondo alla rovescia, oggi purtroppo fuori catalogo, è una lettura più che consigliata. Non solo perché getta luce su un periodo poco noto ma assai fecondo della storia d’Europa, ma anche per il fatto che, come tutte le opere di ampio respiro, nel definire il passato in qualche misura contribuisce a spiegare il presente. Buona lettura a tutti, dunque.