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Il più straordinario dei sogni possibili

Recensione di “Alice nel pese delle meraviglie” di Lewis Carroll

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, Newton Compton
Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, Newton Compton

“Una vena di incoerenza scorre inevitabilmente nella natura stessa del concetto di logica”, scrive Paola Faini nella nota introduttiva ad Alice nel paese delle meraviglie, il capolavoro di Lewis Carroll edito da Newton Compton. Non esiste dunque nulla di universale, una regola riconosciuta, un metro di giudizio accettato e condiviso con il quale misurare la realtà, distinguere quel che è giusto dal suo opposto, separare nettamente la razionalità dalla follia; e così, ecco che ciò che agli occhi di qualcuno (o di molti, o della maggior parte, persino) appare assurdo, possiede invece “una logica ferrea, indiscutibile”.


Ma quel che emerge da questo quadro in continuo mutamento, da questo scenario che non offre alcun punto di riferimento, non è, come a prima vista si sarebbe tentati di pensare, un semplicistico e sterile “elogio del caos”, bensì un gioioso, radicale, rivoluzionario ripensamento del nostro “essere nel mondo”. Nel creare un universo fantastico, un “paese delle meraviglie” che è specchio (cioè esatto contrario e nel medesimo tempo riflesso fedele) della nostra quotidianità, Carroll dà vita a uno spassoso, irresistibile “umanesimo filosofico” che liberatorio ruggisce contro la rigidità dei codici etici ed educativi dell’età vittoriana, contrapponendo alla necessità dell’esercizio del controllo (tanto a livello personale quanto nelle delicate dinamiche dei rapporti sociali) la spontanea e innocente autenticità della fanciullezza, quel preziosissimo arcobaleno di emozioni e vissuti non mediati che solo conduce a una maturità consapevole, integra e davvero responsabile. Come scrive ancora Faini: “[…] l’Alice della storia, benché cronologicamente e culturalmente inserita nel mondo vittoriano […] affronta da sola nuove e insolite esperienze. Sceglie e decide, accetta o contesta, ribadisce la propria volontà, e non cede se non quando lo ritiene necessario. Estraniata e lontana da quell’universo adulto che finora è stato il suo scudo protettivo, che le ha impedito tuttavia scelte proprie, ella scopre in sé un piglio via via più ardito, che nasce dalla consapevolezza di una conquistata interiorità”. Nelle bizzarrie che contraddistinguono (in quanto norma) la strana terra in cui finisce – popolata di animali parlanti, dove è possibile litigare con il tempo e ritrovarsi, per una sua ripicca, confinati sempre a una stessa ora, nel quale a spadroneggiare è un’irascibile carta da gioco, la Regina di Cuori, il cui unico interesse sembra essere quello di far decapitare chiunque la contraddica o semplicemente finisca con l’annoiarla, e nelle cui scuole si insegnano materie come Boria antica e moderna, Ondografia, Catino e Spreco in luogo di Latino e Greco, ci si esercita a Reggere e Stridere anziché Leggere e Scrivere e si studia matematica dedicandosi alle operazioni di Ambizione, Distrazione, Bruttificazione e Derisione – Alice vive un sogno, anzi il più straordinario dei sogni possibili, e insieme impara a conoscere se stessa, ad assumere la sua identità, a pensare, decidere, agire e soprattutto accettare le responsabilità derivanti da tutto ciò.

Alle prese con la logica rovesciata (ma stringente, proprio in quanto logica) dello specchio, la giovanissima protagonista di questo romanzo meraviglioso, delicato e irresistibilmente divertente si misura con acrobazie verbali capaci di mettere a dura prova maestri dell’oratoria, dotti linguisti e inflessibili professori di grammatica, rincorre il senso perduto di poesie e filastrocche talmente mutate rispetto a com’erano nei suoi ricordi di bimba e scolara da esserle diventate completamente estranee – “Non ricordo più le cose come prima”, si lamenta in uno dei primi dialoghi del libro, mentre chiacchiera con un bruco dal pessimo carattere – sperimenta, in questo labirinto semantico disseminato d’arguzie e doppi giochi, il rapporto diretto che lega parole e cose; e queste sue peripezie, che l’autore intreccia danzando con leggerezza e inimitabile maestria sul significato di ogni termine, distorcendo a bella posta il senso letterale di singole frasi e interi periodi, reiventando le regole stesse del racconto, scardinandone la cronologia e ridisegnando i concetti di spazio e tempo, diventano un fiabesco romanzo di formazione, una storia indimenticabile che vive nella perfetta eternità della fantasia creatrice. Così Alice, “eterna bambina, continuerà per sempre a rincorrere le sue avventure […] non dovrà passare e sfiorire, come tutte le cose umane, ricevendo il dono più grande, quello della memoria, finché la parola scritta vivrà”.

Eccovi l’incipit del romanzo. Le splendide illustrazioni sono di sir John Tenniel. Buona lettura.

Alice cominciava a non poterne più di starsene seduta accanto alla sorella, sulla riva del fiume, senza far niente: un paio di volte aveva dato un’occhiata al libro che la sorella stava leggendo, ma non c’erano figure né storielle, “e a che serve un libro”, pensò Alice, “se non ha figure né storielle?”. Cominciò allora a considerare tra sé (per quanto era possibile, perché la giornata molto calda la faceva sentire assonnata, intontita) se valesse la pena alzarsi e raccogliere un po’ di margherite, tanto per il piacere di intrecciare una coroncina. Quand’ecco che improvvisamente le passò accanto di corsa un Coniglio Bianco con gli occhi rosa.

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