Recensione di “Gli anni della leggerezza. La saga dei Cazalet I” di Elizabeth Jane Howard
1937. Il controllato piacere di vivere, la sobria felicità della ricca borghesia inglese hanno il ritmo quieto e regolare dei riti immutabili della quotidianità familiare e del rispetto rigoroso delle convenzioni sociali; il microcosmo individuale, con il suo circolo chiuso di affetti, ruota all’unisono con il formicolare della vita di società; gli impegni e i doveri della professione si stemperano nella generosa concessione di svaghi e ozi, tra eleganti pranzi al club e deliziose serate a teatro, mentre agli incontri d’affari riservati ai soli uomini fanno da contraltare le fitte chiacchiere tra donne scambiate all’ora del the.
Le cure della casa demandate a domestici e servitù, e quelle ai figli premurosamente dispensate dalle madri da una parte; la difesa e l’accrescimento del patrimonio, le carriere cui destinare i primogeniti e il futuro delle bambine, problemi che tocca ai padri affrontare, questioni che è compito delle famiglie trattare, dall’altra; un mondo intero separato da confini netti, da aree dirette di competenza, che trova il proprio equilibrio, la propria coesione, nella meccanicistica precisione dell’ordinamento domestico, specchio del più ampio consesso sociopolitico.
Sono anni leggeri, in buona misura perfino spensierati, gioiosi e lucenti quelli che preludono ai tragici genocidi del secondo conflitto mondiale, anni durante i quali si fa sempre più tenue la traumatica memoria degli orrori della Grande Guerra e parallelamente, giorno dopo giorno, acquista forza, e consistenza, la speranza che l’umanità non debba mai più conoscere l’abisso dello sterminio, la bestialità delle trincee, lo stupefatto terrore di fronte all’invisibile, inarrestabile, spietata morte dispensata dai gas chimici.
E questi anni di leggiadria, questo tempo carico d’innocente amarezza e sospeso dinanzi al più cupo degli abissi racconta, attraverso una prosa di superba bellezza, nello stile allo stesso tempo disincantato e meravigliosamente affascinante di una cronaca che è anche affresco, mosaico familiare, ritratto generazionale, romanzo psicologico e di formazione, la scrittrice Elizabeth Jane Howard (scomparsa un anno fa) ne Gli anni della leggerezza, primo, scintillante capitolo di una saga che vede protagonista la dinastia dei Cazalet.
La Howard sceglie una sostanziale unità di tempo (il romanzo, 600 pagine che si leggono d’un fiato, si svolge nell’arco di pochi mesi) e di luogo (la residenza estiva della famiglia nel Sussex, di proprietà del patriarca William, cui i figli Hugh, Edward e Rupert, tutti sposati con figli, hanno affibbiato, con ironico affetto, il nomignolo di Generale, e di sua moglie Kitty, ribattezzata Duchessa) per inoltrarsi nel chiaroscuro di dinamiche familiari e di coppia (oltre ai tre maschi, i Cazalet hanno anche una figlia, Rachel, altruista, gentile, votata agli altri, talmente devota al bene altrui da trascurare il proprio, da mettere in secondo piano l’appagamento personale, custodito, con gelosia e un sottile, tagliente senso di colpa, nell’amore, devotamente ricambiato, per la violinista Sid) disseminate di laceranti paure, segreti scomodi, angoscianti dilemmi, scomposte passioni, ambizioni confuse e impetuose e sogni incrollabilmente caparbi nella loro polverosa modestia; ed è nell’ordinarietà di eventi all’apparenza privi di interesse, nella loro manifesta “immaterialità” narrativa, che l’autrice, con sorprendente e prezioso talento, fa emergere un’indimenticabile galleria di ritratti, una teoria caratteri che riverberano, nella dolorosa fatica di vivere di anime destinate alla solitudine, dolcissime pene d’amore, fin troppo umane preoccupazioni, sordide miserie, trionfanti egoismi, cocenti rimorsi.
Pesati sulla metafisica bilancia di una giustizia che sembra coincidere con l’ora fatale nella quale l’Europa divamperà nel fuoco distruttore di una nuova guerra, i protagonisti della famiglia Cazalet, passo dopo passo, nell’inconsapevole consumo del qui e ora, svelano se stessi nella più sincera delle confessioni, quella dettata dalle azioni: il gaudente Edward, seduttore brillante che non si fa scrupolo di tradire la moglie Villy e arriva fino a insidiare la propria figlia maggiore; Hugh, il primogenito, tornato mutilato nel corpo e nello spirito dal fronte, marito irreprensibile, padre amorevole, lavoratore onesto e intransigente, uomo dotato di ogni virtù, eccezion fatta quella di comprendere, e di conseguenza soddisfare, i bisogni della donna che ha sposato; Rupert, aspirante pittore in cerca della propria dimensione; tutti i loro figli, alle prese con la vertigine entusiasmante e spaventosa di una fanciullezza prossima a divenire adolescenza o di un’infanzia che il tumultuare degli eventi del mondo rischia di spezzare una volta per sempre; la già citata Rachel e il suo amore silenzioso e sofferto.
E assieme a loro ecco muoversi le ombre della servitù, cui l’autrice dona, con un magistrale senso delle proporzioni e un’attenzione autentica, voce, concretezza e dignità, e i parenti acquisiti, come Jessica, sorella di Villy, anch’ella sposata e madre di quattro figli, o la bellissima e insicura Zoe, seconda moglie di Rupert, risposatosi dopo la scomparsa di Isobel, morta nel dare alla luce il loro secondo figlio.
Romanzo “di piccole cose a precipizio sulla storia”, Gli anni della leggerezza non è soltanto un magnifico esercizio di scrittura e un esempio fulgido di creatività, è un’opera di rara intensità, irresistibilmente coinvolgente. La perfezione stilistica e formale di Elizabeth Jane Howard, unita alla sua lucida capacità d’analisi e alla sua non comune sensibilità (di donna e di scrittrice), permette la maturazione di una prosa unica, che quasi parola per parola nutre senza mai saziare, soddisfa lasciando inalterato il desiderio di leggere ancora, scoprire di più, sapere altro, penetrare così a fondo nel mondo che ha costruito da non poter più tornare indietro, da essere costretti ad abitare nelle sue pagine.
Prima di lasciarvi, come sempre, all’inizio del romanzo (la traduzione, per Fazi Editore, è di Manuela Francescon), desidero ringraziare di cuore Guido Grisolia, caro amico cui devo l’incontro con questa scrittrice e la folgorante scoperta de Gli anni della leggerezza. Buona lettura a tutti.
Lansdowne Road, 1937. La giornata cominciò alle sette meno cinque: la sveglia (sua madre gliel’aveva regalata quando era andata a servizio) si mise a suonare e continuò imperterrita finché Phyllis non la ridusse al silenzio. Sul cigolante letto di ferro sopra il suo, Edna gemette e si girò, rannicchiandosi contro la parete: perfino d’estate odiava alzarsi, e d’inverno capitava che Phyllis dovesse strapparle di dosso le lenzuola. Si mise seduta, si sciolse la retina e cominciò a togliersi i bigodini. Quel giorno aveva il pomeriggio libero, si sarebbe lavata i capelli.
ciao, Paolo, debbo confessare di aver letto questo tuo consiglio letterario con sufficenza, sono prevenuto sulle scrittrici, CHISSA’ PERCHE’; è un mio difetto, e lo steso vale per le saghe di famiglia, ognuno ha le proprie preferenze, amo i Thriller, le avventure, la satira, ecc ma non le saghe (al plurale si dice così? correggimi se sbaglio, grazie)
Comunque bravo e alla prossima, nino speaking
Ciao Nino, a ciascuno le proprie preferenze, ci mancherebbe, tuttavia questo è un caso (non l’unico, per fortuna) in cui non posso non invitarti a superare prevenzioni e pregiudizi; dovessi riuscirci, troveresti un tesoro. E se proprio vuoi avvicinarti a una storia di famiglia scritta da un uomo, ti suggerisco lo splendido “I Melrose”, di Edward St Aubyn, Neri Pozza Editore. Nel blog lo trovi.
Un abbraccio
Paolo
ciao, grazie del consiglio, proverò.
penso che chi non ci prova nella vita è destinato alla mediocrità, quindi …..
Buona lettura, dunque!