Recensione di “L’amministratore” di Anthony Trollope
L’immaginaria cittadina di Barchester, “degna di nota più per la bellezza della cattedrale e l’antichità dei monumenti, che per una particolare prosperità commerciale”, specchio di tante altre reali città inglesi; il Jupiter, influente e temuto quotidiano dietro il quale si intravede The Times (che ai tempi di Trollope si chiava The Thunder); il saggio e mortifero dottor Pessimist Anticant, la cui fin troppo rigida figura, messa piacevolmente in burla, rivela più che nascondere il profilo di Thomas Carlyle; e infine il celebre romanziere Popular Sentiment, che altri non è se non Charles Dickens, il più noto e amato uomo di lettere dell’età vittoriana.
Questa la deliziosa ragnatela di finzioni (così intrisa di verosimiglianza, quando non di autentica verità, da aver l’attendibilità e il valore di un dettagliato resoconto di cronaca) che fa da sfondo a L’amministratore di Anthony Trollope, primo, fortunato romanzo di un ciclo composto da sei opere. Trollope, che di Dickens fu contemporaneo, al pari dell’autore di Grandi speranze e David Copperfield si dimostra un finissimo conoscitore della natura umana; ma al di là di questo specifico tratto, tutto il resto, a partire dalla sua prosa allo stesso tempo lieve e puntuta, per continuare con l’ironia garbata, elegante, che emerge tanto dalle descrizioni d’ambiente quanto dal disegno dei caratteri – “A Barchester la Maldicenza affermava che se non fosse stato per la bellezza della figlia, il signor Harding sarebbe rimasto un canonico minore […]. E la Maldicenza, prima di biasimare il signor Harding per essere stato nominato primo cantore dal suo amico il vescovo, aveva a gran voce biasimato il vescovo per aver così a lungo omesso di fare qualcosa per il suo amico signor Harding […]. Nemmeno i più ferventi ammiratori del signor Harding possono dire che egli sia mai stato un uomo industrioso; le circostanze della sua vita non hanno richiesto che lo divenisse; e tuttavia non lo si può definire un indolente […]. Dalla sua nomina a primo cantore […] ha molto migliorato il coro di Barchester […] e ha suonato il violoncello quotidianamente per quegli spettatori che è riuscito a riunire, o, faute de mieux, per nessuno spettatore” – fino ad arrivare allo stile limpido e ricco, alle atmosfere gravide d’attesa e nonostante ciò ostinatamente spensierate, al prezioso equilibrio tra dramma e commedia, e all’astuta esaltazione della muta, indecente comicità che è il sostrato ultimo di ogni avvenimento, dal più insignificante al più cupo, richiama Dickens tanto quanto se ne discosta, sottolinea le consonanze tra i due e insieme ne fa risaltare le differenze.
Così, il Charles Dickens impareggiabile creatore di personaggi (attorno ai quali la vicenda narrata si snoda) si ritrova soltanto in parte in Trollope, i cui eroi, più che plasmare il contesto sociale nel quale si muovono ne sono il prodotto; i loro vizi, le virtù, le bizzarrie e le originalità dei loro temperamenti, in una parola le qualità squisitamente dickensiane che hanno reso indimenticabili Ebenezer Scrooge e Samuel Pickwick, l’orfano Pip ed Esther Summerson, nelle pagine di Trollope si riducono a sfumature, utili a connotare (e non più a definire compiutamente) di volta in volta colui o colei che agisce o di cui si parla. E ancora i dialoghi, che da una parte sono arguti, scoppiettanti, rivelatori, al servizio di storie spesso labirintiche, complesse, dense di colpi di scena e sorprese, mentre dall’altra (quella di Trollope) sono semplice e quieta eco di storie minime, di personali travagli, di avventure ingenue, che suscitano sorrisi e pacate riflessioni.
Avventure come quella che occorre al canonico minore e amministratore del ricovero di Barchester Septimus Harding, uomo di buon cuore e specchiati principi morali che si ritrova nel bel mezzo della tempesta il giorno in cui uno dei suoi più cari amici, il medico John Bold (che ama, riamato, la più giovane delle figlie di Harding), riformatore idealista votato all’eliminazione di qualsiasi tipo di ingiustizia, mette in discussione il compenso ricevuto da Harding nella sua qualità di amministratore di un ricovero per indigenti nato dalle disposizioni testamentarie di un ricco cardatore di lana del XV secolo e divenuto, nel corso dei secoli, una ricca proprietà gestita dalla chiesa. Non è, si chiede Bold, gettando nel più tetro sconforto il povero amministratore che fino ad allora aveva ricevuto la sua paga senza nemmeno immaginare di stare commettendo un abuso, un palese tradimento delle volontà del fondatore del ricovero non distribuire ai poveri lì ospitati le ricche rendite del luogo e utilizzarle invece per assicurare un ottimo tenore di vita ai membri della chiesa che di quel bene immobile si sono assunti la cura? In un brevissimo torno di tempo il dubbio di Bold diventa una questione di pubblico dominio, trattata dai più importanti organi di stampa, discussa negli studi legali, dibattuta nei tribunali e nelle aule parlamentari; e al povero Harding, suo malgrado finito al centro di una battaglia morale e politica e desideroso soltanto di riottenere la propria tranquillità continuando a serbare pura la coscienza, non resta che una cosa da fare: rinunciare alla carica e prepararsi a trascorrere gli anni che gli rimangono nelle più severe ristrettezze. Ma quali conseguenze, per sé, per la chiesa che egli rappresenta e non ultimo per l’adorata figlia, potrà condurre una simile, drastica decisione?
Storia d’amore, agrodolce romanzo sociale che nella sua puntualità d’analisi ha il pregio di non prendersi mai troppo sul serio, nonché brillante apologo morale, L’amministratore è prima di tutto una lettura eccezionalmente piacevole, un divertimento genuino per il cuore e l’intelletto, un magnifico lavoro letterario.
Eccovi l’incipit. La traduzione, per Sellerio, è di Rossella Cazzullo. Buona lettura.
Il Reverendo Septimus Harding era, qualche anno fa, un ecclesiastico beneficiario, che viveva nella sede vescovile di…; chiamamola Barchester. Se nominassimo Wells o Salisbury, Exeter, Hereford o Gloucester, si potrebbe pensare che si vuole intendere qualche riferimento personale; e poiché questa storia riguarderà soprattutto i dignitari della cattedrale della città in questione, desideriamo in modo particolare che non ci sia il sospetto di allusioni di natura personale.