Recensione di “Io uccido” di Giorgio Faletti
Scintillante, ricca, snob, il bel volto attraversato, come quello del concierge di un grande albergo, da un freddo e garbato sorriso di condiscendenza, Monte Carlo è allo stesso tempo una delle ambientazioni più ardue e più affascinanti per un romanzo. La particolarissima realtà che rappresenta e riflette, quel suo essere così simile a un desiderio e nonostante ciò così a portata di mano, teatro di una mondanità il cui accesso è privilegio di pochi ma che pure, prodiga, si racconta a tutti, e a tutti sembra irresistibilmente ammiccare, è talmente scenografica nella sua verità da disarmare, da far pensare che non sia possibile aggiungere finzione a quel semplice, incontestabile dato di fatto truccato alla perfezione.
Eppure, la dimensione narrativa che, per la gemma più preziosa del Principato di Monaco, riesce a trovare Giorgio Faletti nel suo felicissimo esordio letterario (Io uccido, 2002, Baldini & Castoldi), somiglia a un abito tagliato su misura; descritta in dettaglio, accarezzata nel suo splendore un po’ posticcio, ridisegnata (o per meglio dire copiata) con cura, attenzione, perizia e indiscutibile affetto, restituita a una verosimiglianza la cui trama fittissima aderisce senza difetti alle impressioni del senso comune, Monte Carlo è una scommessa vinta, il teatro magnifico e terribile di una tragedia tanto sanguinosa quanto cupa.
Nei panni dello scrittore, Faletti, poliedrico artista dal talento unico, sceglie la trascinante complessità del noir, l’intreccio di storie diverse unite da un comune denominatore per mettere in scena una vicenda nella quale solitudine, patimento, colpa e rimorso giocano un ruolo centrale. Alla ricchezza dell’intreccio, disciplinata in un’architettura narrativa chiara, ordinata e conseguente, corrispondono personaggi ritratti con intelligenza e sensibilità, svelati poco alla volta in parentesi di ricordo o illuminati dal verificarsi di particolari situazioni, dall’innescarsi (a volte opportuno, a volte disastroso) di coincidenze; attraverso il loro agire, nei moti contrastanti delle loro anime, nel conflitto dei caratteri, nell’esplodere della violenza e nel fiorire delicato della tenerezza, della compassione, l’autore dà vita a un dramma difficile da dimenticare, a una vicenda oscura nutrita dalla più atroce delle cause: la sofferenza.
Nel raccontarla, Giorgio Faletti non imbocca scorciatoie di sorta; non cerca rifugio nell’eleganza dello stile, non cerca di attutirne l’impatto nella piacevolezza di una scrittura studiatamente ricercata nella sua sostanziale linearità, né di renderla in qualche misura più sopportabile adombrando un rassicurante lieto fine. Ai suoi protagonisti, ciascuno battezzato nel dolore, egli non risparmia nulla, e la morte, ghignante e inafferrabile che di continuo si mostra tra le pagine del romanzo per poi svanire d’improvviso quasi fosse lo strabiliante trucco di un illusionista, non è che il simbolo di un’infelicità quasi metafisica, che al pari dello sguardo di Dio non dimentica nessuno.
Nel ritmo serrato del thriller, nel crescendo della tensione (gestito con indubbia maestria), nel susseguirsi degli omicidi di un serial killer che si accanisce sulle sue vittime con impressionante ferocia, nel faticoso procedere delle indagini, nella sfida tra preda e cacciatore, tra assassino e detective, Faletti trova la partitura ideale per un’opera che è molto più di un giallo talmente avvincente da mozzare il fiato. Un’opera nella quale i delitti, tanto più efferati quanto più disperata è la motivazione che spinge l’omicida a compierli, superano la dolorosa contingenza del fatto compiuto (necessaria allo svolgersi della storia) per diventare un destino condiviso, la sola prova possibile dell’esistere della vita, del suo palpitare, del suo respirare.
Così, è l’ombra della morte, con il suo profilo inconfondibile e maestoso, quella che si staglia, nel rigoglio dell’estate di Monte Carlo, accanto ai profili degli attori del suo dramma: quella della moglie dell’agente dell’Fbi Frank Ottobre, suicidatasi, e del figlio del suo amico, il commissario della Sûreté Publique Nicolas Hulot, derubato della vita nell’esatto momento in cui stava preparandosi ad assaporarla, quella di Arijane Parker, una delle prime vittime dell’assassino, figlia del potente generale americano Nathan Parker, uomo con più di uno scheletro nell’armadio e disposto a tutto pur di ottenere vendetta per la perdita subita, e infine quella che incombe nei ricordi del killer, tormentandolo senza sosta, costringendolo, con le sue urla, ad agire, a uccidere: «Io sono uno e nessuno […]. Là fuori è pieno di gente occupata solo a procurarsi una faccia da mostrare con orgoglio, a costruirsene una che sia diversa da tutte le altre, senza nessuna preoccupazione all’infuori di quella. È il momento di uscire e andare a vedere cosa c’è dietro […]. Io di notte non posso dormire, perché il mio male non riposa mai […]. Io uccido…».
Eccovi l’incipit del romanzo. Buona lettura a tutti.
L’uomo è uno e nessuno. Porta da anni la sua faccia appiccicata alla testa e la sua ombra cucita ai piedi e ancora non è riuscito a capire quale delle due pesa di più. Qualche volta prova l’impulso irrefrenabile di staccarle e appenderle a un chiodo e restare lì, seduto a terra, come un burattino al quale una mano pietosa ha tagliato i fili. A volte la fatica cancella tutto e non concede la possibilità di capire che l’unico modo di seguire la ragione è abbandonarsi a una corsa sfrenata sul cammino della follia.
ciao Paolo, ho letto questo libro sull’onda della pubblicità al momento della sua uscita e devo dire che mi ha deluso, mi sembrava di vedere uno sceneggiato TV dell RAI.
comunque la tua esposizione è interessante come sempre, ciao alla prossima
Ciao Nino, e come sempre grazie della tua costante attenzione. Io non l’ho letto allora per gli stessi motivi che hanno spinto te a leggerlo. Ho lasciato passare tutto questo tempo e mi ci sono immerso con piacere. Non ho trovato un capolavoro ma un buon libro, solido, coinvolgente, ben scritto, questo sì. Faletti ha fatto molte cose diverse in vita, riuscendo sempre bene, e a mio giudizio la scrittura non fa eccezione. Un caro saluto