Vai al contenuto
Home » Recensioni » Giallo » La morte inaspettata

La morte inaspettata

Recensione di “I diabolici” di Thomas Narcejac

Pierre Boileau, Thomas Narcejac, I diabolici, Adelphi
Pierre Boileau, Thomas Narcejac, I diabolici, Adelphi

Un delitto perfetto. Un piano infallibile. Una vittima ignara. Due assassini determinati, lucidi, efficienti. Una trappola mortale pronta a scattare. Nessuna possibilità d’errore, nessuna incertezza, nessun ostacolo. Un crimine studiato in ogni particolare, solido, inattaccabile, razionale, compiuto esattamente nel modo in cui è stato concepito, che obbedisce docile alla logica che lo ha plasmato, che risponde ai comandi come una macchina, così lineare da parere quasi rassicurante.


Fino al momento in cui quel che dovrebbe inevitabilmente accadere, quel che con certezza ci si attende succeda, non si verifica, e ciò che sembrava avere solidissime fondamenta si rivela un fragile castello di carte che in un attimo rovina su se stesso. In questo disturbante intreccio di razionalità e follia, nel continuo, febbrile intersecarsi di ciò che è (o per dir meglio dovrebbe per forza di cose essere, considerate determinate premesse) e di quel che invece, nella sospensione inquietante e terribile di ogni logica, si manifesta ai sensi e all’intelletto, si snoda lo splendido e cupo I diabolici, magistrale noir d’atmosfera scritto da Pierre Boileau e Thomas Narcejac.

La semplicità dell’architettura romanzesca (tre personaggi, Fernand Ravinel, rappresentante di commercio, sua moglie Mireille e l’amante di lui Lucienne, medico di professione, assieme alla quale Ravinel progetta l’omicidio della consorte, da far rubricare come incidente per intascare il premio dell’assicurazione sulla vita; un’ambientazione poco più che accennata, ridotta a squallide periferie cittadine che a malapena s’indovinano nella caligine di una fitta nebbia che accompagna, dall’inizio alla fine, la vicenda), che si specchia nella nitidezza del complotto – non a caso il romanzo accompagna immediatamente il lettore nel cuore della vicenda, lasciando che l’antefatto, e con esso il disegno di Lucienne e Fernand, si chiariscano da sé – è insieme il filo rosso della narrazione, il suo codice interpretativo, e il più astuto degli inganni, il più riuscito dei depistaggi.

Guardando alla storia con gli occhi di Ravinel e di Lucienne, infatti (non a caso gli attori che compaiono per primi, e assieme, in scena), non si può evitare di assumere il loro punto di vista, e dunque diventare in qualche misura complici della trama delittuosa, che viene svelata nel momento stesso in cui si concretizza, nell’attimo in cui tutti i tasselli vanno (anzi, sembrano andare) a posto, accarezzarne la conseguenzialità, ammirarne la precisione, l’esattezza; allo stesso modo, e all’opposto, non appena il quadro si capovolge, quando la povera Mireille, annegata in un appartamento lontano dalla villetta che divide con il marito, viene riportata indietro (nel corso di un viaggio infernale, magistralmente descritto dai due autori come una sorta di veglia allucinata, un delirio della coscienza di Ravinel rosa dal rimorso e dalla paura) e abbandonata nel laghetto che impreziosisce il giardino della proprietà Ravinel affinché venga ritrovata, qualche ora più tardi, dallo stesso Ravinel, di ritorno da una delle sue visite di lavoro, scompare senza lasciare traccia, letteralmente svanisce, per poi, altrettanto inspiegabilmente, ricomparire attraverso lettere indirizzate al marito, lettere nelle quali non v’è accenno alcuno all’omicidio, la sorpresa, l’incredulo sgomento, la rabbia e infine il vero e proprio terrore che colgono Ravinel quasi riecheggiano il nostro stupore, il nostro arrovellarci per cercare di svelare il mistero.

Così, il lettore, allo stesso tempo carnefice e vittima, assassino e detective, machiavellica mente omicida e bersaglio della sua stessa macchinazione, naufraga con il protagonista nell’incubo di una quotidiana ordinarietà minacciosa e grottesca (la vita che dappertutto, all’indomani del delitto, sembra proseguire come sempre e farsi beffe di quel ridicolo assassino, gli incontri fortuiti di Ravinel con amici e colleghi che provocano all’uomo continui spaventi, le soste nei bistrot e nei ristoranti, moltiplicate nell’inutile tentativo di ritrovare la calma, di capire, di reagire, gli appuntamenti clandestini con Lucienne, che si rifiuta di credere a quel che le viene raccontato, e oppone, alle deliranti spiegazioni dell’amante – che Mireille non sia morta davvero? Che si sia trasformata in un fantasma? Che sia tornata non per vendicarsi, ma per chiamare accanto a sé, in un’eternità di beatitudine, l’uomo che ha tanto amato? – ostinato pragmatismo e gelido buon senso – Mireille è morta. Se non si trova più è perché qualcuno l’ha portata via, forse per ricattare Ravinel. O forse è stato lo stesso Ravinel, incapace di accettare quel che ha fatto, a sotterrarla. E il resto non è che un parto della sua mente sconvolta), e come fosse l’ombra di quell’uomo perduto, percorre con lo stordimento del sonnambulo le strade di Parigi bagnate di nebbia, visita l’obitorio nella segreta speranza di ritrovare lì la moglie, si ritrova senza sapere bene come a casa del cognato solo per scoprire che Mireille è stata anche lì, e solo pochi minuti prima di lui, e infine, stremato e in preda alla più nera angoscia, torna a casa, dove trova un’altra amorevole lettera della moglie: si rivedranno quella sera stessa, è scritto in una grafia che non lascia spazio a dubbi.

Ed è l’attesa, l’ultima attesa di Ravinel, il vertice narrativo ed estetico del romanzo; la prosa, claustrofobica, palpitante, strozzata come un urlo che muore in gola, fa pensare al conto alla rovescia riservato al condannato a morte, che, scandito dall’intera casa, dove ogni cosa ha volto e voce, mormora il proprio j’accuse (nello scricchiolare delle porte, nel cigolare del letto, nel respiro caldo del camino, accesso per combattere l’umidità dell’inverno, nel frusciare di passi sul pavimento, che forse sono dell’uomo e forse dello spettro di sua moglie) e pronuncia l’inappellabile sentenza. Una sentenza di condanna.

Alle ultime pagine, in omaggio alle regole classiche del genere, il compito di sciogliere definitivamente l’enigma, di raccontare che cosa è davvero successo, di offrire risposte a tutte le domande rimaste in sospeso e di consegnare al lettore ormai tranquillizzato e tornato padrone di sé una piccola meraviglia letteraria, questa sì, perfetta.

Eccovi l’incipit. La traduzione, per Adelphi, è di Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco. Buona lettura.

«Fernand, ti supplico, smettila di camminare!». Ravinel si fermò davanti alla finestra e scostò la tenda. La nebbia si infittiva. Virava al giallo attorno ai lampioni che rischiaravano il molo, al verdastro sotto quelli a gas della strada. Ora si addensava in grosse volute, in pesanti masse di vapore, ora si trasformava in un pulviscolo acquoso, una pioggerellina sottile, fatta di minuscole gocce che brillavano come sospese.

2 commenti su “La morte inaspettata”

  1. Hello there! I could have sworn I’ve visited this website
    before but after browsing through some of the posts I realized it’s
    new to me. Anyways, I’m definitely happy I came across
    it and I’ll be book-marking it and checking back often!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *