Recensione di “L’impero azteco – I presagi di Montezuma” di Jean-Yves Mitton
Gennaio 1525, Villa Rica de la Vera Cruz, porto della Nuova Spagna sulla costa orientale del Messico. Nel pieno della conquista del Nuovo Mondo da parte dell’esercito di Carlo V di Spagna, un anziano frate è inviato dalla Santa Inquisizione per esaminare il caso della misteriosa Marianna di Oaxaca, Doña d’España dell’Ordine della Santa Croce, Mayor de la Primiera Armada del capitan Cortés:
il buon padre Enrico Segura deve confessarla, in preparazione al processo inquisitorio. Tocca a lui dunque ascoltare il terribile racconto della sventurata Maiana Xochitla, nata contadina nel Messico meridionale, catturata come schiava dall’imperatore Montezuma II e sottoposta a ogni genere di torture e tragedie, per poi divenire con la sua astuzia l’amante dell’imperatore stesso e, in seguito, la favorita di Cortés, comandante dei conquistadores, venire ribattezzata con un nome cristiano e ora accusata di stregoneria e di altre nefandezze. Per scoprire che non tutto è come sembra… Jean-Yves Mitton scrive e disegna un impressionante affresco, ambientato durante la fase terminale dell’Impero Azteco: il lettore può seguire con padre Segura una doppia vicenda, quella in flashback, raccontata dalla fanciulla in catene, e quella in diretta, con gli intrighi del bieco Don Francisco de Las Felibres, vescovo di Vera Cruz. Agli orrori vissuti dalla giovane india per mano dell’imperatore pazzo Montezuma II – vittima delle sue angoscianti superstizioni e di una religione sanguinaria, con terrificanti sacrifici umani di massa – fanno da contraltare altri orrori, quelli dei conquistadores spagnoli, accecati dal miraggio dell’Eldorado e da una applicazione cinicamente strumentale della propria fede.
Attorno a questo doppio binario, l’autore riesce anche a dipingere molte figure secondarie, che aiutano ad entrare nell’atmosfera dell’epoca: dal giovane indio Tochtli, fidanzato di Maiana, al laido Culhu, giullare di corte di Montezuma e sua anima nera; dal maldestro frate Tancredi al pavido padre priore. Tutto questo è magistralmente illustrato dall’elegante tratto di Mitton (un passato anche tra i super-eroi, ma soprattutto una lunga carriera sul Fumetto di genere storico), di stile certamente molto classico, che non si fa intimidire dalle immagini panoramiche sulle architetture azteche, dalle tavole con le moltitudini di combattenti, né dalle scene più turpi, di sesso, sangue e violenza, mai gratuite o eccessive, sempre funzionali alla vicenda. Per farla breve, siamo davanti ad un volume che si legge d’un fiato (purtroppo non autoconclusivo, toccherà dunque attendere la prossima uscita), che siamo ben lieti di fregiare della nostra Sbam-coccarda SSGF (Signore e Signori, questo è Grande Fumetto). Nota tecnica: l’opera originale risale al 1997-2000, edita oltralpe da Glenat col titolo di Quetzalcoatl.
(Antonio Marangi)