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Vernichtungslager

Recensione di “La lista di Schindler” di Thomas Keneally

Thomas Keneally, La lista di Schindler, Fassinelli
Thomas Keneally, La lista di Schindler, Frassinelli

“Schindler scoprì attraverso le sue fonti che le camere a gas di Belzec erano state completate nel marzo di quell’anno sotto la supervisione di una ditta di Amburgo e di ingegneri delle SS provenienti da Oranienburg. Stando alla testimonianza di Bachner, le camere a gas potevano sostenere tremila uccisioni giornaliere. Erano in fase di costruzione dei forni crematori, per timore che gli antiquati sistemi di eliminazione dei cadaveri ponessero un freno ai nuovi metodi di sterminio.


La medesima società impegnata a Belzec aveva installato lo stesso genere di attrezzature a Sobibor, nel distretto di Lublino. Era già stato concesso l’appalto e i lavori di costruzione erano già parecchio avanzati per un’altra installazione a Treblinka, vicino a Varsavia. Camere a gas e forni crematori erano già operanti sia nel campo principale di Auschwitz sia nell’enorme campo II, a Birkenau, pochi chilometri oltre Auschwitz […]. Infine per la zona di Lòdz c’era un campo a Chelmno, anch’esso attrezzato secondo le nuove tecnologie. Riproporre questi argomenti ai giorni nostri equivale a ribadire dei luoghi comuni della storia. Ma scoprirne l’esistenza nel 1942, vederseli piovere addosso dal cielo di giugno, equivaleva a subire uno choc totale, uno sconvolgimento in quella zona del cervello in cui dimorano le idee più solide sul conto dell’umanità e delle sue possibilità. Quell’estate in tutta l’Europa alcuni milioni di persone, fra cui Oskar e gli abitanti del ghetto di Cracovia, adattavano faticosamente l’economia della loro anima all’idea di Belzec e di altri posti simili disseminati nelle foreste della Polonia”.

Nella sterminata letteratura dedicata all’annientamento del popolo ebraico pianificato e in larga parte realizzato dall’esercito hitleriano negli anni del secondo conflitto mondiale, nella più che abbondante messe di informazioni a disposizione di chiunque, dallo studioso più puntuale al cittadino più disinteressato e distratto, il pregio maggiore de La lista di Schindler dello scrittore australiano Thomas Keneally, biografia solo in minima parte romanzata dell’industriale tedesco Oskar Schindler, che giunse a compromettersi con i più alti papaveri del regime nazista, moltiplicando regalie e corruzione, pur di salvare la vita agli oltre mille lavoratori ebrei impiegati nella sua fabbrica, è quello di dare al lettore il senso della sorpresa, dello sgomento, dell’incredulità.

Di fronte a un’opinione pubblica che ha ormai accettato l’indicibile orrore e la perenne vergogna rappresentata dai campi di sterminio (Vernichtungslager), l’autore ha saputo restituire intatto l’animo terrorizzato eppure ancorato alla vita con tutte le proprie forze di un popolo destinato alla distruzione. Nelle dense pagine del suo libro, nel procedere quasi faticoso di una prosa ordinata, che non lascia spazio a nessuna raffinatezza formale per concentrarsi sui fatti, sugli accadimenti così come si sono verificati e sui documenti o le testimonianze orali che provano l’autenticità di ogni vicenda riportata, Thomas Keneally dà vita a un affresco di emozioni contrastanti, a un palpitare d’anime costantemente sospese tra orrore e speranza (quelle degli ebrei), caparbietà e sconforto (quella di Schindler, disposto a tutto pur di salvare gli uomini e le donne di cui aveva deciso di prendersi cura ma non sempre convinto di riuscire nel suo arduo e assai pericoloso intento), cupidigia, delirio d’onnipotenza e strisciante senso di colpa (quelle degli ufficiali nazisti a più riprese foraggiati da Schindler, e in primis quella del sadico Amon Goeth, comandante del campo di lavoro costruito a poca distanza dalla fabbrica di Schindler e all’interno del quale l’industriale sottrasse ebrei pagandoli in denari, oggetti preziosi, liquori e sigarette e in qualche caso persino vincendoli al gioco); e questo brulicare continuo di luce e buio, braccato dalla ferocia bestiale degli aguzzini in divisa, capaci di dare la morte senza neppure prendersi la briga di inventarsi una giustificazione, di troncare vite con una nettezza da Parche e una spietatezza che solo gli uomini (la stragrande maggioranza degli uomini, di cui i fantocci hitleriani non sono che una delle infinite possibili perversioni) sembrano possedere come naturale istinto, si muove senza sosta, barcollante e insicuro ma tenace, verso l’illusoria aurora boreale della libertà, verso lo spettacolo meraviglioso e irraggiungibile della normalità ritrovata, dell’incubo che finalmente, al risveglio, si dissolve, finché, come un miracolo compiuto quando più a nessuno è rimasta la forza di credere, la tanto agognata salvezza non si fa realtà, finché le promesse di Schindler smettono di mormorare nel vento e si fanno carne, la carne martoriata e afflitta, ma ancora calda e nervosa e pulsante, delle persone che quell’uomo, a costo della propria incolumità, ha condotto vive oltre il sanguinoso tracollo dell’impero nazionalsocialista.

Rigoroso documento storico che del romanzo ha solo l’estrinseca architettura narrativa ma non per questo si legge con fatica, La lista di Schindler è un lavoro che non solo coinvolge e affascina, ma permette al lettore di guardare da una prospettiva inedita una pagina di storia divenuta scomoda eredità universale. Rinunciando al compito impossibile di dirci qualcosa di realmente nuovo sulla Shoah, sull’atrocità rappresentata dai suoi numeri e dai suoi metodi, questo libro lascia che a fiorire e a farsi sentire sia l’esistere interiore delle vittime del nazismo, uno spirituale ardore che allora e per sempre ha unito i vivi e i morti.

Eccovi l’incipit. La traduzione, per Frassinelli, è di Marisa Castino. Buona lettura.

Nel cuore dell’autunno polacco un giovane alto, con un costoso cappotto e uno smoking a doppio petto, sul cui risvolto spiccava una grande svastica d’oro su smalto nero, uscì da un palazzo signorile della via Straszwskiego, ai margini del centro storico di Cracovia. Vide subito il suo autista che lo aspettava, emettendo sbuffi di fiato condensato, presso la porta aperta di una enorme limousine Adler, che sfavillava nonostante il buio in cui era immersa. «Attento al marciapiede, Herr Schindler», disse l’autista. «È ghiacciato come il cuore di una vedova».

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