Recensione di “Scia di morte” di Erik Larson
“Ho cominciato a raccogliere informazioni sul Lusitania seguendo un impulso scaturito dal mio metodo di letture voraci e promiscue. Quello che ho scoperto mi ha affascinato e sconvolto allo stesso tempo. Credevo di sapere già tutto quanto c’era da sapere su quella tragedia ma, come spesso accade approfondendo le ricerche su un dato argomento, non ho impiegato molto ad accorgermi di quanto mi sbagliassi. Ma soprattutto mi sono reso conto che, sepolta sotto i dettagli ingarbugliati dell’evento – intenzionalmente ingarbugliati, per certi aspetti -, c’era qualcosa di semplice e appagante: una gran bella storia. Mi affretto ad aggiungere, come sempre, che questo non è un romanzo. Tutti i virgolettati provengono da memorie, lettere, telegrammi o altri documenti storici. Il mio scopo era cercare di rimettere ordine tra le ramificazioni del fatto reale e, lo ammetto, i risvolti romanzeschi della vicenda del Lusitania, consentendo così ai lettori di rivivere l’esperienza proprio come l’avevano vissuta all’epoca i protagonisti”.
Apprezzato autore di “non fiction” (opere dalla solida architettura romanzesca ma nelle quali nessun dettaglio è frutto d’invenzione), il giornalista e scrittore americano Erik Larson racconta, nell’incalzante Scia di morte, l’ultimo viaggio del transatlantico Lusitania, orgoglio della Marina Mercantile britannica affondato da un sommergibile tedesco U-20 il 7 maggio del 1915 al largo delle coste irlandesi (occorsero solo diciotto minuti perché quel colosso dei mari colasse a picco), e insieme l’intreccio di circostanze (frutto del caso, ma anche di deliberate decisioni, spesso tutt’altro che trasparenti, prese dalle massime autorità militari inglesi) che ha reso possibile il terrificante evento e le personali vicende di alcuni dei passeggeri, che la storia ha reso testimoni di una delle sue pagine più buie.
Come negli altri suoi lavori – Il giardino delle bestie e Guglielmo Marconi e l’omicidio di Cora Crippen, di cui ho già scritto in questo blog – Larson affida alla fluidità della prosa il compito di tramutare in “materia narrativa” l’enorme messe di documenti alla base della sua dettagliatissima ricostruzione; dalla descrizione degli ambienti esterni e interni della nave (il compiaciuto sfarzo della prima classe, le particolarità ingegneristiche che facevano del Lusitania la nave civile più veloce tra quelle in servizio, l’accento sui materiali da costruzione utilizzati, il disegno dei diversi ambienti, dagli immensi locali che ospitavano le caldaie fino alla stiva, dove erano sistemati, accanto ai bagagli dei viaggiatori, oggetti di ben altro genere, compresi rifornimenti assai utili allo sforzo bellico) all’analisi delle imperfette ma comunque pericolosissime “macchine di morte” tedesche, gli U-Boot, i sommergibili per mezzo dei quali l’esercito del Kaiser fu sul punto di vincere la Grande Guerra – Larson dedica pagine splendide, di straordinario interesse, al modo in cui questi mezzi venivano usati, e alla grande perizia richiesta a comandante ed equipaggio affinché rendessero al meglio, così come alle condizioni di vita a bordo, spesso estreme – dalla complessa situazione politica mondiale, con al centro la neutralità degli Stati Uniti d’America, che gli inglesi e i loro alleati avrebbero voluto avere a fianco mentre lo schieramento opposto a più riprese mostrava di non temere, all’intricato gioco di spionaggio e controspionaggio, che vedeva i britannici, in grado di intercettare e decodificare praticamente tutti i messaggi scambiati tra le forze navali tedesche, godere di un vantaggio di inestimabile valore inspiegabilmente mai utilizzato, se non in un’ottica difensiva (e del tutto ignorato per quel che riguardava il Lusitania, partito da New York con destinazione Liverpool, e la sua necessaria protezione una volta giunto in acque considerate teatro di guerra), fino al destino dei singoli, cui toccarono in egual misura paura, sgomento, eroismo, miracolosa salvezza e l’anonima fine in abissi che non restituirono più i corpi inghiottiti, Erik Larson, in un continuo alternarsi di capitoli che intende offrire al lettore i differenti punti di vista dei protagonisti della vicenda, non solo restituisce il passato, non solo contribuisce a far luce sui numerosi aspetti ancora oscuri legati a quell’affondamento (in massima parte fortuito, certo, e tuttavia così gravido di conseguenze), ma recupera intatto lo spirito di un’epoca che vedeva nel progresso tecnologico una promessa di benessere e felicità, una promessa così salda e infallibile che finanche una guerra mondiale, con il suo immenso carico di morte, poteva al massimo offuscare ma di sicuro non tradire.
Magnifico, raffinatissimo “romanzo non-romanzo”, Scia di morte è una lettura travolgente, un tesoro di notizie, aneddoti e curiosità di irresistibile fascino, “una gran bella storia”, per dirla con le parole dello stesso Larson, o meglio ancora un armonico insieme di gran belle storie, storie che vorremmo non avessero fine.
Eccovi l’incipit. La traduzione, per Neri Pozza, è di Laura Prandino. Buona lettura.
La sera del 6 maggio 1915, mentre la sua nave si avvicinava alle coste dell’Irlanda, il comandante William Thomas Turner lasciò la plancia e si recò nel salone di prima classe, dove i passeggeri stavano partecipando a un concerto con numeri amatoriali, intrattenimento abituale delle traversate della Cunard. L’ambiente era spazioso e accogliente, con pannelli di mogano e moquette verde e gialla, e camini alti più di quattro metri che si fronteggiavano dalle due pareti contrapposte. Di solito Turner tendeva a evitare quel tipo di serate a bordo perché non amava gli obblighi mondani del comando, ma non era una serata normale e aveva delle notizie da comunicare.
molto interessante !
ciao alla prossima (Y)
Grazie mille Nino!