Recensione di “Q” di Luther Blissett
Una tumultuosa avventura elegantemente abbigliata da romanzo storico; una vicenda ricchissima di avvenimenti e colpi di scena, un crocevia del passato che, nella creazione letteraria, fiorisce tanto nella precisa ricostruzione di ciò che è stato quanto nella libertà dell’invenzione; una teoria magnifica e terribile di dotte dispute e orrendi massacri, di incruenti ma letali duelli per il potere, di drammatici assedi, di insensati eccidi; e l’eco della parola di Dio che ovunque risuona per bocca dei suoi interpreti, dei suoi sacerdoti, dei folli custodi della sua volontà, e la sua ombra infinita, gettata sul mondo, striata dal sangue di migliaia di vittime innocenti. Romanzo rivelazione, salutato da un impressionante successo di pubblico, Q, firmato da un quattro scrittori (i cui nomi sono da gran tempo noti, non è dunque necessario riportarli nuovamente qui) sotto lo pseudonimo di Luther Blissett, è senza alcun dubbio un lavoro in pari tempo ambizioso e riuscito.
Lacerato da conflitti etico-teologici, devastato da ogni sorta di guerra, egemonizzato da gigantesche figure di eruditi e predicatori, guidato da burattinai occulti, attraversato dal soffio esaltante dell’utopia, teso verso la purezza della palingenesi e trascinato nell’abisso delle più oscure e deliranti profezie apocalittiche, il XVI secolo, scenario del romanzo e insieme suo fulcro narrativo, è restituito al lettore in tutta la sua contraddittoria complessità; tra le pagine di Q, nel disordine delle rivolte contadine brutalmente soffocate dagli eserciti al soldo di questo o quel principe elettore così come nelle opulenti stanze dove banchieri onnipotenti, simili a Parche grottesche e spietate, distruggono dinastie e costruiscono dal nulla nuovi imperi; nei pericolosissimi segreti di corrispondenze private cui gli uomini affidano, con le convinzioni più radicate, le loro stesse vite così come nelle condanne senza appello dei severi collegi ecclesiastici che destinano al rogo gli scritti giudicati eretici, le ardite riflessioni che rischiano di minare un impianto dottrinario e di fede sul quale si regge l’ordine del mondo tutto, quel che si coglie con assoluta chiarezza è il palpitare incessante di un tempo unico, il tempestare una stagione fatta a pezzi dallo scatenarsi di un numero impressionante di forze, ciascuna opposta a tutte le altre:
“La Cattedrale spalanca le fauci. Quattro gradini larghi e sottili, di una spanna ciascuno, rialzano i due pilastri a sostegno dell’arco che precede e sovrasta il portale; appuntito al culmine, frastagliato sul bordo inferiore da tredici merletti di pietra come zanne acuminate. Due passi poi ancora quattro gradini, più stretti e ripidi, fino alle due porte […]. Quasi metà dell’attuale popolazione di Münster è riunita fin dai vespri di sabato tra queste tre imponenti navate. In ginocchio, le mani giunte, attendono cantando sommessamente ciò che il Profeta ha predetto per questo giorno. – Oggi farò sparire dalla terra ogni cosa, dice il Signore. Distruggerò uomini e bestie. Sterminerò gli uccelli del cielo e i pesci del mare, abbatterò gli empi. Sterminerò l’uomo dalla terra. Come un diluvio è il giorno finale. Questa nostra città è l’arca costruita sul legno della penitenza e della giustizia. Essa galleggerà sulle acque della vendetta finale”.
In questo immenso teatro dove i più turpi delitti si accompagnano alle più elevate meditazioni dell’intelletto e dello spirito, gli autori di Q narrano una storia nella storia, facendo coincidere microcosmo e macrocosmo; al servizio di un racconto a due voci, l’elaborata architettura del romanzo, all’interno del quale scenari e date cambiano in continuazione, illumina la sfida a distanza tra due uomini (la voce narrante dell’opera, un uomo del popolo conquistato dalla Riforma, e il suo avversario, il misterioso Q), entrambi chiamati a simboleggiare le differenti istanze che hanno infiammato il secolo.
Così, il viaggio nel tempo e nella storia che gli autori di Q così meticolosamente costruiscono finisce per esplodere di vita e d’autenticità proprio nel rincorrersi delle passioni, dei desideri e dei sogni dei singoli; ed è in questa dimensione squisitamente umana, fallibile, imperfetta, caduca, che si rivelano e si svelano le illusioni delle moltitudini, le pazzie dei popoli, l’eterno naufragare di un’innocenza collettiva irrimediabilmente perduta e incessantemente rimpianta.
Eccovi l’incipit del romanzo. Buona lettura.
Sulla prima pagina è scritto: nell’affresco sono una delle figure di sfondo. La grafia meticolosa, senza sbavature, minuta. Nomi, luoghi, date, riflessioni. Il taccuino degli ultimi giorni convulsi. Le lettere ingiallite e decrepite, polvere di decenni trascorsi. La moneta del regno dei folli dondola sul petto a ricordarmi l’eterna oscillazione delle fortune umane.