Vai al contenuto
Home » Recensioni » Saggi storici e memorie » Suggestio falsi

Suggestio falsi

Recensione di “Processo a Galileo” di Giorgio de Santillana

Giorgio de Santillana, Processo a Galileo, Mondadori

“Questo studio fu impostato a suo tempo come semplice premessa a una edizione critica del Massimi Sistemi nella traduzione inglese secentesca del Salusbury. Via via, però, che tentavo di rintracciare il profilo di quella vicenda giudiziaria che si erge all’orizzonte dei tempi moderni mi rendevo conto di quanto esso apparisse incerto e mutevole; e mi fu meraviglia notare come anche ciò che era stato messo in chiaro dalla scrupolosa storiografia dell’Ottocento si fosse nuovamente ricoperto di nubi […].


Scrisse una volta M. de Bonald: ‘È tempo di restaurare, di contro all’autorità dell’evidenza, l’evidenza dell’autorità’. Queste parole […]esprimono assai bene la confusione in cui si dà opera a inflettere la vicenda galileiana nel senso di ragioni tutt’altro che storiche. Che essa abbia suscitato tutto un apparato difensivo è ben comprensibile. Fu per decenni il cavallo di battaglia del libero pensiero contro l’oscurantismo; da ambe le parti fu malmenata la verità senza esclusione di colpi […]. La vicenda galileiana non è dunque solo il punto di partenza dei tempi moderni, essa in un certo senso li riassume. Ortega y Gasset, secondo cui quella che intendiamo per civiltà moderna è un’isola nel tempo che viene a conchiudersi nell’età nostra, ‘sotto ai nostri piedi’, ha fatto di Galileo, in un suo bel libro, il simbolo di essa. Rievocando gli antichissimi riti di trapasso, egli ci ricorda come i romani noverassero tra i loro numi Adeona, deità dell’arrivo, e Abeona che s’invocava sul partire. ‘Se vogliamo, dice, cristianizzare i vocaboli, nulla può parere più giustificato che di fare Galileo patrono abeona del nostro partirci dalla modernità, patrono adeona del nostro entrare in un futuro grave di mistero’”.

Nell’introdurre l’edizione italiana del suo documentatissimo e appassionante studio (al punto che lo si legge con la medesima voracità con la quale si consuma un romanzo; e l’introduzione, è bene dirlo, è del 1960) intitolato Processo a Galileo, pubblicato da Mondadori nella traduzione di Giacinto Cardona e Anna Abetti, Giorgio de Santillana sottolinea come la lunga contesa tra lo scienziato pisano e la Chiesa, culminata con la condanna del 1633 e l’abiura di Galileo, al di là di quel che la storia ha decretato e che sembra ormai fuor di dubbio, sia tutt’altro che una vicenda conclusa, in merito alla quale, tanto le ragioni e i torti quanto le motivazioni a sostegno delle une e delle altre, meritino ancora studio, indagine e approfondimento.

“Anziché parlare”, egli scrive, “di conflitto fra scienza e religione, o fra laicismo e chiesa docente, si potrebbe meglio dire che la crisi ebbe luogo anzitutto all’interno dell’organismo ecclesiastico, dove l’elemento curialesco che deteneva il comando non seppe far fiducia ai propri esperti scientifici, non seppe capire le loro ragioni. Quello che era stato semplice errore tecnico nei consultori del 1616, teologi ignari della questione medesima, diventa solo anni più tardi stolta congiura volta a salvare lo statu quo, che si riveste della ragion di stato. Ex arcanis eorum sacris et politicis, osserva amaramente Campanella. Gli arcani, oggi che sono svelati, mostrano la solita costellazione di vendette personali, piccoli intrighi e stupidità facinorosa, in anime che Galileo aveva ben descritto come ‘piene di veleno e prive di carità’: personaggi oscuri e secondari, non solo spregevoli ma taluni apertamente spregiati dai loro superiori, pronti a deporre il falso, a falsificare atti giudiziari, a ingannare lo stesso Pontefice e a lasciarlo indifeso di fronte alla posterità, pur di raggiungere i loro fini. Di tutto questo, ormai chiaro, non si è voluto prendere atto. Il ripetere che l’errore del 1616 è ormai ammesso, e la vertenza chiusa, è una scappatoia. Non si tratta del decreto del 1616, bensì dell’assassinio giudiziario del 1633. L’evitare di parlarne non è semplice suppressio veri, è precisa suggestio falsi”.

Il Processo a Galileo, dunque, è nello stesso tempo una impeccabile ricostruzione di quanto accaduto e consegnato alla storia, una nuova rappresentazione di ciò che tutti sappiamo (o crediamo di sapere, e in forza di ciò che crediamo di sapere troppo spesso giudichiamo con superficialità eccessiva, limitandoci a inscrivere questo drammatico avvenimento nella vuota griglia di una lotta tra ragione e fede, tra intelletto e superstizione) e una vera e propria inchiesta tesa a portare alla luce tutte quelle contrastanti correnti sotterranee che hanno finito per condurre i protagonisti di questa titanica battaglia di idee sul palcoscenico del processo. Attraverso lettere, documenti, testimonianze, verbali delle deposizioni, scopriamo così, rapiti dalla scrittura pulita ma sempre straordinariamente evocativa del grande storico italiano, che la Chiesa, in molti dei suoi esponenti (in special modo gesuiti), condivideva le conclusioni cui Galileo era giunto e che aveva annunciato fin dalla pubblicazione del Nuncius Sidereus, pur nutrendo forti (e comprensibili) riserve sulla loro divulgazione; allo stesso modo, abbiamo la possibilità di valutare criticamente tutti i passi compiuti da Galileo, forte, certo, della verità cui le sue scoperte l’avevano condotto, ma anche eccessivamente spavaldo, temerario.

Come in una terribile ed esaltante partita a scacchi, Giorgio de Santillana si avvicina al momento del processo (e della condanna che ne sancirà la conclusione) dando la parola a tutti gli attori in gioco, illuminando con chiarezza estrema le intenzioni di ciascuno, chiarendo fin dove possibile ogni scopo; ciò che questo suo preziosissimo lavoro (oggi senza dubbio datato, ma non per questo meno importante, meno significativo) offre ai lettori è qualcosa che ogni opera storica dovrebbe dare: uno strumento di conoscenza nel lungo cammino verso la verità che tutti siamo chiamati a percorrere.

Eccovi l’incipit. Buona lettura.

Nel marzo del 1610, Galileo nel Nuncius Sidereus annunziava le sue scoperte telescopiche e con esse rivelava un nuovo universo: “Quel mondo, quello Universo” doveva dire, già cieco, al termine della vita “che io con mie meravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni ho ampliato per cento e mille volte più del comunemente veduto da’ sapienti di tutti i secoli passati…”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *