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Il più pericoloso dei crinali

Recensione di “Tutti i racconti” di Katherine Mansfield

Katherine Mansfield, Tutti i racconti, Adelphi

Nell’immagine restituita dallo specchio la verità di sé; nelle silenziose urla dei pensieri più segreti tutto quel che è essenziale, che identifica, che contraddistingue; nel muto inseguirsi degli sguardi, nel balbettio di gesti abbozzati e subito interrotti, il goffo respirare dello spirito; nell’ombra di giorni che, circondati d’indifferenza, senza sosta nascono e muoiono, l’affannarsi della vita.


Abitano il sottosuolo delle emozioni i racconti di Katherine Mansfield, narrano ciò che è nascosto, i moti e le pulsioni che innervano le esistenze dei singoli (e attraverso esse quella del corpo sociale, di cui sono, in pari tempo, fondamento e parte), le elaborate finzioni e le piccole e grandi menzogne che fanno da impalcatura alle convenzioni e alle regole della comune convivenza familiare, politica, umana, le strategie necessarie a farsi strada, a ottenere quel che si desidera, o più modestamente a sopravvivere, a non soccombere. Spogliate, almeno in apparenza, d’ogni tragicità, prive di qualsiasi sovrabbondanza epica – non c’è nulla di eccezionale nei personaggi della Mansfield, né sembra meritare di venir ricordato quel che accade loro – le sue storie hanno la rassicurante armonia di un paesaggio naturalistico dipinto con noiosa diligenza; la descrizione, tuttavia, la precisione del quadro al cui interno le cose avvengono, non è che un sottile, diabolico inganno.

Quel che per altri autori sarebbe un mero pretesto narrativo, un espediente, per Katherine Mansfield è una sfida, una scommessa; di più, un moto di ribellione, uno strappo. La scrittura, ci dice l’autrice neozelandese, abita altrove, non nella quiete di momenti che tutti ben conosciamo perché ne facciamo esperienza, bensì in ciò che quella quiete, quell’ordine, quella razionalità, perfino quella seducente bellezza che pare essere ovunque e che ci rapisce donandoci estasi e gioia, nascondono; nei polpastrelli umidi d’inquietudine che di continuo ci sfiorano, nel sussurro d’ignoto che ci attende, nella sfrenatezza dei desideri, nel loro scrosciare, nell’argenteo zampillare delle fantasie che un battito di ciglia è sufficiente a far svanire.

“La Dickinson”, scrive Lucia Drudi Demby nella prefazione a Tutti i racconti (il volume si compone delle due raccolte intitolate Felicità e Garden Party) di Katherine Mansfield pubblicati da Adelphi, “limava l’occasione fino a chiuderla per sempre nell’incastonatura del silenzio: silenzio e immobilità diventavano le parole del paradiso. Scaturita da uno spiraglio appena dischiuso di costole vittoriane, la Woolf imboccava la strada dell’affanno, l’affanno della mente, il tempo precipitoso di una staffetta che si teme perdente in partenza, il balzo del daino incalzato dai cacciatori. Con apparente umiltà e nitida disinvoltura Katherine Mansfield fa un fagotto di sé e si incammina ad affrontare direttamente i temi più usuali della donna: la gioia, gli affetti, l’amore. Muove, in realtà, sul più pericoloso dei crinali, il crinale dell’ansia. Scrittura d’ansia. E una sola cosa che la protegga,: la perfetta coscienza del pericolo […]. Per tenere a bada l’ansia Katherine Mansfield scopre la distanza […]. Chiuso nella sua stanza di sughero, Proust si avvolgeva nella memoria come in un’unica, iridescente, sontuosa foglia d’alveo, nodo d’autoimpiccagione e bergsoniano fluire d’infinità. Dosando il respiro fra incantati, aperti paesaggi di impossibili guarigioni, Katherine Mansfield, con una sperimentazione di tipo più joyciano, espelle la memoria da sé, la proietta in campi lunghi, campi medi e controcampi, la devolve a schegge d’altruità”.

Come labirinti che a ogni svolta celano trappole, simili a curve improvvise che rivelano scenari fino a un attimo prima quasi impossibili da concepire, i racconti della Mansfield scavano nell’animo umano con foga crudele; in un gioco spietato di luci e ombre, nel quale alla meraviglia della natura (sempre ritratta con una sorta di doloroso affetto) si contrappone l’infermità colpevole e disgustosa delle genti – “Non le era mai stato chiaro come in quel momento. C’erano tutti i suoi bei sentimenti per lui, forti e ben definiti, l’uno più autentico dell’altro. E poi c’era quest’altro, l’odio, non meno reale dei primi. Avrebbe potuto chiudere i suoi sentimenti in tanti pacchettini e darli a Stanley. Aveva una gran voglia di dargli anche quell’ultimo, come una sorpresa. Vedeva benissimo gli occhi di Stanley mentre lo apriva…” – quel che emerge sono debolezze, incongruenze, malvagità, sofferenze, e più di tutto il peccato originale dell’ignoranza degli uomini e delle donne; la loro assoluta incapacità di comprendere, e dunque valutare, la reale portata, la consistenza effettiva, dei sacrifici fatti, dei torti inflitti e di quelli patiti, di quel che si è stati in grado di dare e di ciò che, per merito o solo per buona sorte, si è ricevuto. Così limpida da ferire, così forte da assordare, così luminosa da accecare, la voce di Katherine Mansfield racconta la metafisica distorsione del nostro essere nel mondo, il nostro ostinato rifiuto di occupare il posto che, solo in virtù di quel che siamo davvero, ci è stato assegnato.

Eccovi l’incipit del racconto che apre il volume, intitolato Preludio. Traduzione di Floriana Bossi. Buona lettura.

Nel carrozzino non c’era un centimetro di spazio per Lottie e Kezia. Pat le issò in cima ai bagagli, ma lassù vacillavano; il grembo della nonna era occupato e Linda Burnell non avrebbe certo potuto reggere per molto il peso di un bambino. Isabel, dandosi un sacco d’arie, era appollaiata a cassetta, accanto al nuovo uomo di fatica. Borse, valigie e scatole erano ammucchiate per terra. «Queste sono cose di assoluta necessità e non voglio perderle di vista neanche un minuto» disse Linda Burnell, con la voce tremante per la fatica e l’agitazione.

4 commenti su “Il più pericoloso dei crinali”

  1. Quando nei sentimenti si vola alto lo schianto è più doloroso del solito. Magari non è propriamente uno schianto, ma solo il riappropriarsi della reale percezione delle cose: fa male comunque, si perde per qualche istante la capacità di discernerne il valore. In quei momenti leggo, leggo penne amiche, come sempre clandestinamente, nei ritagli di tempo tra un cliente e l’altro; come sempre la tua è un balsamo, calma i dolori, dona risposte alla scelta, pericolosa, di emozionarmi pur consapevole di essere esposta a nuove ferite. Leggendo la tua recensione pensavo che i moti e le pulsioni che innervano la mia di esistenza, quando concedo loro spazio di movimento (cosa rara), diventano sostanza imprescindibile di una scrittura che, in fin dei conti, mi salva sempre. Il tuo consiglio di lettura arriva nel momento ideale… Ed io, leggendoti, mi sono goduta, dopo tempo, i miei cinque minuti di sano scollamento dalla realtà per tornarvi più consapevole. C’è un sole sorridente e calmo stamane, in pausa pranzo farò una camminata ed un salto nella libreria che ti aspetta: Katherine aspetta me.

    1. Cara Simona, tu sai come trasmettere entusiasmo, non c’è dubbio. Leggo quello che scrivi, e mi sembra che quel che cerco di fare ormai da più di cinque anni un qualche valore l’abbia. Che non sia tempo perso, che non si esaurisca in uno scriversi addosso privo di qualsiasi utilità. Ancora una volta, dunque, grazie.

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