Recensione di “Vita di Apollonio di Tiana” di Filostrato
“I devoti di Pitagora di Samo dicono che non era nativo della Ionia, ma era stato un tempo Euforbo a Troia ed era rivissuto dopo la morte, avvenuta secondo il racconto di Omero. E narrano che egli rifiutava vestimenti tratti da animali morti, e che per mantenersi puro si asteneva da ogni cibo che avesse avuto vita e dai sacrifici […]. Apollonio osservò principi affini a questi, e in questo modo ancora più divino di Pitagora seppe accostarsi alla sapienza e sollevarsi al di sopra dei tiranni: ma benché sia vissuto in tempi non remoti né troppo recenti, gli uomini non lo conoscono ancora per la vera sapienza, che esercitò da filosofo e secondo virtù.
Della sua personalità alcuni esaltano un aspetto, altri un altro; e dato che si incontrò con i Magi in Babilonia, con i Bramani dell’India e con i Ginnosofisti che vivono in Egitto, vi è pure chi lo ritiene un mago e lo accusa di avere praticato la stregoneria: ma lo fa per ignoranza”. Romanzo d’avventura, “racconto fantastico”, agiografia, nostalgica rievocazione dell’età aurea del mito, la Vita di Apollonio di Tiana di Filostrato (scritto per espresso desiderio di Giulia Domna, moglie di Settimio Severo), è un’opera tanto splendida e lussureggiante quanto curiosa e originale.
Labirintica e oscura come la figura cui è dedicata, questa Vita è un inestricabile intreccio di vicende diverse; in essa respirano l’orgoglio di un mondo pagano destinato all’oblio ma ancora consapevole del proprio straordinario valore (nonché dell’intrinseca immortalità del proprio lascito), la seduzione dell’inconsueto – di volta in volta rappresentato dalla meraviglia dei luoghi visitati da Apollonio e dal suo discepolo Damis, e dal continuo fiorire di aneddoti volti a sottolineare l’eccezionalità di questo santo, filosofo e mago, i cui miracoli pare non fossero secondi neppure a quelli compiuti da Cristo – la storia (in ogni momento sfiorata da tutto ciò che storia non è e che per proprio per questo esercita un’irresistibile attrazione), e non ultimo, la testimonianza, il resoconto.
Non va dimenticato, infatti, che la Vita di Apollonio di Tiana è in promo luogo un lavoro di erudizione; è il lavoro di uno scrittore, e di uno storico; come ben scrive a questo proposito Dario Del Corno nella prefazione al volume edito da Adelphi, “È lo stesso Filostrato a informare che l’opera su Apollonio gli fu commissionata da Giulia Domna, e non c’è motivo di dubitare della notizia: ma a questo dato Filostrato aggiunge un altro particolare, da cui si insinua il sospetto che all’incarico dell’imperatrice egli abbia sovrapposto un proprio progetto letterario […]. Egli racconta dunque una complicata storia. Per gran parte della vita Apollonio fu accompagnato da un fedele discepolo, tale Damis nativo di Ninive, il quale tenne un minuzioso diario di tutti i suoi casi. Alla morte di Damis il manoscritto rimase ignorato, finché un suo discendente non lo consegnò a Giulia Domna […]. Ma Filostrato non si limita a invocare frequentemente la testimonianza del diario; nella storia di Apollonio, Damis assume quasi il ruolo di un deuteragonista […]; sa parlare varie lingue e tenere un diario, Apollonio gli confida le sue meditazioni e gli affida incarichi delicati. Tuttavia nei suoi rapporti con il maestro egli rappresenta l’altra faccia della vita e dell’uomo […]. Damis impersona il buon senso comune, la misura della realtà quotidiana, che Apollonio deve ignorare a pena di un tradimento della testimonianza che va portando tra gli uomini. Attraverso il contrappeso di Damis, il superuomo che è in Apollonio viene ricondotto entro le dimensioni di un caso da romanzo; e così anche Filostrato prende le distanze dal suo personaggio, assumendo le vesti non dell’apostolo ma del narratore”.
Tra le pagine della Vita di Apollonio di Tiana, suggestive, sorprendenti, nelle quali un mondo intero brulica ed esplode di vita, il suo autore sembra divertirsi tanto a mostrare quanto a nascondere; la grandezza di Apollonio, la sua straordinarietà, la sua unicità, non v’è dubbio, a più riprese rifulgono; eppure il ritratto che di quest’uomo ci presenta Filostrato non è semplicemente quello di un semidio o di un eroe preso in prestito dalla tradizione omerica; abituato a commerciare con il meraviglioso, Apollonio non somiglia al dio dell’arco e della lira assiso sulle superbe mura di Troia, egli è piuttosto ambasciatore di una classicità che si fa giorno dopo giorno sempre più impalpabile ma il cui cuore rifiuta di smettere di battere e ostinato rivendica il proprio posto in un tempo che incessantemente si rinnova e che nel farlo colpevolmente dimentica se stesso.
Eccovi, invece dell’incipit, le parole conclusive della già citata introduzione di Dario Del Corno. Buona lettura.
Apollonio vive, e fors’anche soffre, un momento di transizione, che deve rinunciare alle certezze del passato; e ne assume in sé le contraddizioni, novello Dioniso. Solo a questa condizione era possibile che il futuro, nel suo nome, pretendesse di scandagliare ciò che è al di là dell’umana ragione, rifiutasse di irrigidire l’essere supremo nel dogma di un culto e di una chiesa, assumesse l’insegna di una sapienza totale per riscattarsi dalle strettoie della specializzazione tecnica.