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Un socratico azzardo cubano

Recensione di “Paradiso” di José Lezama Lima

José Lezama Lima, Paradiso, Einaudi

«Sentivo mia nonna e mia madre parlare incessantemente del ricordo familiare. Parlavano, insieme agli altri familiari, degli anni di esilio a Jacksonville, rievocavano le lotterie per raccogliere fondi per l’indipendenza, le visite di Martí che era l’amico di mio nonno […]. I miei anni all’università di La Habana, nei giorni in cui si rappresentava un’epica giovanile contro il tirannucolo Machado, il paese afflitto a morte, il terrore, gli scomparsi, la miseria titanica. Gli amici, le conversazioni di giorno e di notte, gli odi, le immagini. Platone, i bestiari, l’angelologia tomista, la resurrezione. Cioè, la famiglia, gli amici, i miti. Mia madre, le tentazioni e l’infinitezza della conoscenza. Il molto vicino, il caos e l’Eros della lontananza». Così José Lezama Lima riassume Paradiso, il suo lavoro letterario più noto che in realtà è opera talmente complessa e labirintica da non essere riassumibile, è oggetto multiforme che sfugge a ogni possibile identificazione e che, nel suo essere essenzialmente linguaggio, di continuo oltrepassa la lingua così come siamo abituati a conoscerla e utilizzarla per plasmarla in qualcosa di nuovo, frantumando le definizioni in perifrasi, costruendo, come forzato argine alla comune sintassi, dighe di neologismi e di invenzioni figlie di sogni e d’incubi, e di sfrenata immaginazione ed enciclopedica cultura, privando l’atto stesso di esprimersi del suo fondamento per permettere a tutte le parti del discorso, dalla congiunzione al verbo, di guardare a se stesse sotto una luce completamente nuova, che in luogo della comprensione immediata, della scelta “classica” della forma romanzo, opta per un rinascere rivoluzionario e assoluto, per un atto di creazione che autenticamente prenda corpo dal nulla.

Alla sentenza latina che vuole che dal nulla non possa provenire alcunché, al definitivo ex nihilo nihil fit, Lezama Lima getta, con divertita spavalderia (ma anche con sorprendente decisione) il proprio guanto di sfida; è, la sua, una ribellione dal sapore prometeico, è il tracotante azzardo di Socrate, che nel continuo cercare qualcuno più saggio di lui osa, pur senza mai dichiararlo apertamente, mettere in discussione (di più, cogliere in fallo) l’oracolo del dio Apollo, che lo aveva definito il più sapiente tra gli uomini. A tu per tu con la lingua (ma sarebbe più esatto dire con tutte le lingue, o meglio ancora con la platonica idea di lingua, con il modello eterno della lingua), egli se ne impadronisce per divenirne demiurgo e nel momento stesso in cui lo fa è come se il nostro codice espressivo venisse privato della sua storia, della sua memoria.

Niente, nelle mani di José Lezama Lima, è più come prima; egli trascina il lettore in continenti sconosciuti, come una enorme divinità serpente lo avvolge nelle sue spire fatte di richiami alla filosofia, alla storia, e alla storia della filosofia, alla religione e alla storia della religione, a secoli e secoli di letteratura e poesia. Ma tutto questo non è che l’inizio, perché l’esultante affogare di Lezama Lima (e dei lettori con lui) nei più nobili trascorsi dell’umano esistere avviene grazie alla mediazione di una prosa che è qualcosa di stupefacente: una foresta vergine di sostantivi che in realtà sono aggettivi, di verbi scardinati in coniugazioni impossibili, di parole cui non si arriva mai attraverso la semplice identificazione, nel rispetto del principio di identità (si scrive tavolo per significare un tavolo e null’altro), bensì percorrendo un’infinita galleria di simboli, immagini, allusioni.

A partire dall’autore stesso, che Lezama Lima definisce “corpo pletorico, garbatamente allusivo di infermità permanenti” (la più importante delle quali è una forma d’asma che lo ha accompagnato fin dalla più tenera età), Paradiso si può dunque considerare un quadro, un arazzo o un affresco magico dove tutto ciò che è raffigurato muta di continuo; ciò che in questo libro si narra è solo in apparenza una storia di famiglia, anzi la storia della famiglia dell’autore (e in essa la sua), perché quel che si scopre leggendo, o meglio quel che si intuisce inseguendo, per oltre cinquecento pagine, il furioso zigzagare di Lezama Lima, è la perfezione del cerchio, la sua “unità parmenidea” che tutto contiene. Forse miglior spiegazione (che ancora una volta, nello stile di questo autore davvero unico, spiega solo in minima parte) di Paradiso è quella che ne offre lo stesso Lezama Lima al termine del romanzo, probabilmente in premio al lettore caparbio che ha scelto di seguirlo fino all’ultima pagina: «Nessuno dei miei personaggi fa parte della realtà nel suo significato immediato. Né il padre né la madre nel mio romanzo fanno parte di quella realtà esterna […]. Non distinguo tra il reale e l’irreale, il visibile e l’invisibile, l’espandersi degli strati concentrici tra il tellurico e lo stellare offre un continuo, un cosmo infinitamente relazionabile».

Eccovi l’incipit di Paradiso. La traduzione, per Einaudi, è di Glauco Felici. Buona lettura.

La mano di Baldovina scostò i veli dell’apertura della zanzariera, frugò premendo delicatamente come se fosse una spugna anziché un bambino di cinque anni: aprì la camiciola e osservò il petto del bambino coperto di piaghe, di solchi dal violento rossore, e il petto che si gonfiava e si contraeva come dovesse compiere un poderoso sforzo per prendere un ritmo naturale; aprì anche la braghetta dei calzoni da notte, e vide le cosce, i piccoli testicoli coperti di piaghe che si espandevano, e quando allungò le mani ancora di più sentì le gambe fredde e tremanti.

4 commenti su “Un socratico azzardo cubano”

  1. il libro difficilissimo. una festa di immagini.parole,fantasie,riferimenti di ogni genere.
    per questo difficile da capire. a volte si ha la sensazione di aver solo sfiorato il senso di quel che si è letto. d’altra parte per raccogliere la sfida di lezama lima e battersi ad armi più o meno pari bisognerebbe avere la sua sterminata cultura. in definitiva ,proprio per questo, si comprende qualcosa in più ad ogni rilettura.
    ci vuole volontà e pazienza.
    scusate la lunghezza e gli spropositi.

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